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Surprise,
Security,
and the American Experience
di John Lewis Gaddis
Harvard University Press,
Cambridge (MA), 2004
pp. 160, $ 18.95
($ 12.89 su Amazon) |
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Interventismo, la vera tradizione americana
di Giuseppe Mancini
[16 mar 05]
Attacchi preventivi, unilateralismo, egemonia. Ma la risposta
degli Stati Uniti ai devastanti attentati dell’11 settembre
2001, secondo lo storico americano John Lewis Gaddis, non è
stata ispirata da istinti militaristi o da smanie imperiali,
magari suggerite dai sulfurei “ideologi neoconservatori” che
agitano le notti insonni degli anti-americanisti. Al contrario,
intenzionalmente o inconsapevolmente, la “dottrina Bush” si
riallaccia a un’antica tradizione della politica estera degli
Usa; perché gli americani, se minacciati o addirittura attaccati
di sorpresa, hanno generalmente reagito passando immediatamente
all’offensiva, abbracciando rischi e assumendo responsabilità,
spazzando via le fonti di pericolo, cercando la sicurezza
nell’espansione della propria sfera d’influenza e d’interesse.
Come decise di fare il segretario di Stato John Quincy Adams
dopo la guerra anglo-americana del 1812-1814 e la distruzione
col fuoco britannico della capitale Washington: gli attacchi
preventivi nella Florida spagnola, l’unilateralismo della
dottrina Monroe, l’egemonia della preponderanza (limitata però
all’emisfero occidentale), che sostituisce idealmente
l’equilibrio di potenza su cui era basata la politica europea.
Nel libro di Gaddis, nato da un ciclo di conferenze alla
Biblioteca pubblica di New York nel 2002, è invece il Grand
Design di Roosevelt che appare una deviazione dalla tradizione.
Infatti, se da un lato la reazione americana all’attacco
giapponese contro Pearl Harbor del 7 dicembre 1941 fu l’impegno
bellico globale, la sistemazione del dopoguerra avvenne in un
contesto di cooperazione in cui la sicurezza collettiva dell’Onu
avrebbe dovuto rendere inutili gli attacchi preventivi.
Multilateralismo, containment, deterrenza e ricerca
dell’egemonia, stavolta su scala planetaria, per assicurarsi
quella sicurezza che gli oceani non potevano più garantire
contro i missili sovietici a testata nucleare.
Ma, a differenza di quanto accaduto a Pearl Harbor, quando a
finire sotto attacco fu una porzione periferica del territorio
americano, gli attentati dell’11 settembre sono arrivati a
colpire il cuore politico ed economico degli Usa rendendo il
suolo patrio vulnerabile come mai prima, insieme
all’infrastruttura stessa su cui si basa la società
contemporanea e globalizzata. L’amministrazione Bush pur
recuperando gli elementi fondanti – attacchi preventivi,
unilateralismo, egemonia – della grande strategia degli Usa
nell’Ottocento, li ha applicati con ancora più determinazione
prima in Afghanistan e poi in Iraq. Offrendone però
un’interpretazione che Gaddis giudica rivoluzionaria nella
National Security Strategy del 2002: difendere la pace da
terroristi e tiranni, preservare la pace anche attraverso la
collaborazione degli alleati, estendere la pace attraverso la
diffusione delle istituzioni e dei principi democratici in tutto
il pianeta. In questa formula, esplicitata da George Bush nel
suo secondo discorso inaugurale, è racchiusa anche la differenza
sostanziale tra John Quincy Adams e l’attuale presidente
americano, differenza che stempera l’ottimismo e l’apprezzamento
di Gaddis in una riflessione in cui serpeggiano dubbi e
incognite. Lo storico di Yale, infatti, si chiede se la
democrazia di tipo occidentale sia davvero compatibile con le
strutture socio-politiche prevalenti in Medio Oriente,
rifacendosi alla distinzione tra democrazia illiberale e
autocrazia liberale introdotta da Fareed Zakaria. Soprattutto,
mette in guardia contro il rischio già evocato da Adams, quello
di un governo che va all’estero a caccia di mostri da
distruggere e finisce con l’essere distrutto, trasformandosi da
faro delle libertà in dittatura del mondo. Ma nonostante i
rischi della grande strategia di Bush, nonostante i dubbi e le
incognite di Gaddis, la trasformazione del Medio Oriente sembra
oggi l’unico mezzo possibile per raggiungere l’obiettivo
inevitabile della sconfitta definitiva di terroristi e tiranni.
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