Il potere, lo Stato, la libertà.
La gracile costituzione della società liberale,
di Angelo Panebianco,
il Mulino, Bologna, 2004
pp. 370, € 28
 

La lotta infinita del realismo liberale
di Raimondo Cubeddu
[05 gen 05]

Non si tratta di uno dei soliti pamphlet con cui autori sovente carichi di livore si scagliano contro obiettivi che spesso finiscono per mostrarsi frutti esclusivi della loro ignoranza. Certamente le domande che si pone Panebianco non sono banali: «Quali sono le cause che rendono la “società liberale”, nelle sue rare incarnazioni storiche, così poco libera?», e «che cosa rende così insoddisfacenti le descrizioni della politica che normalmente troviamo nel pensiero liberale? Perché il liberalismo ha quasi sempre incontrato grandi difficoltà nel pensare la politica in modo realistico?». Ancor meno banale è la tesi: «non avendo un’idea adeguata della politica, il liberalismo si trova anche nell’impossibilità di dotarsi di una realistica teoria dello Stato».

Questioni indubbiamente urticanti alle quali fino ad oggi i liberali hanno potuto agevolmente rispondere obiettando che il liberalismo che si critica non è quello dei pensatori liberali o che, per lo meno, non è quello della teoria liberale contemporanea. Il fatto è che Panebianco è un teorico del liberalismo, e che di esso conosce vita, esponenti ed opere come pochi altri. E il libro lo dimostra senza ombra di dubbio. Lasciando tutti i liberali, a qualsiasi delle tante tradizioni appartengano, nella condizione di dover ripensare molte ed importanti cose.

Il “fallimento” del liberalismo appare quindi consistere nel non aver voluto fare i conti con la realtà del potere e con la sua ostinata persistenza, ad onta dei tentativi di eliminarlo o di ridurlo e frammentarlo per poterlo meglio controllare. Di questa secolare lotta, come aveva già intuito Hayek (uno degli autori più citati e tanto simpatetici a Panebianco che ne adotta la definizione di libertà), bisogna prendere atto del sostanziale fallimento. Senza, tuttavia, mai abbandonare l’idea ispiratrice che una società libera sia preferibile a tutte le altre finora sperimentate. Si tratta allora di ripensare un realistico percorso politico del liberalismo analizzandone i presupposti teorici e le pratiche di governo senza ignorare che il successo o il fallimento di ogni teoria e sistema politico sono legati alla sua capacità di “produrre certezza e sicurezza” in un mondo da sempre caratterizzato dalla violenza, dall’emergere di novità e dall’insicurezza. Panebianco mette giustamente in luce come il tratto essenziale del liberalismo sia quello di ridurre la conflittualità “politica” tramite mezzi economici e giuridici. Il fatto è che quella strada non ha portato ai risultati desiderati. Per un insieme di motivi, tra i quali che l’ordine non si realizza spontaneamente e soprattutto che la politica e la lotta per il potere si sono mostrati ostacoli ben più ostinati di quanto immaginato sia perché parte insopprimibile della natura umana, sia perché finora non si è trovato nessun altro “produttore di certezza” che potesse competere con la politica e con lo Stato.

Eloquente il finale: «Non si deve abdicare alla difesa attiva e vigorosa di quel poco di libertà di cui godiamo. Né si deve rinunciare allo sforzo di ampliarla. Si deve però sapere che i nostri sforzi, sfortunatamente, non potranno mai essere coronati da un successo pieno». Una conclusione che pone il problema al centro dell’attenzione, già avvertito da molti esponenti del liberalismo, delle concrete istituzioni entro le quali realizzare la libertà individuale, e che sfata l’ottimistica credenza che la libertà si realizzerà spontaneamente come frutto dell’evoluzione della storia e della diffusione delle virtù sociali. Che le cose umane non vadano spontaneamente verso il bene è noto, e il documentato ed argomentato libro di Panebianco è sia uno stimolo a rimettere in discussione tesi ed obiettivi, sia un richiamo ad impegnarsi, in misura maggiore di quanto si è fatto finora, per una “teoria liberale delle istituzioni politiche”.