Cristo e/o Machiavelli
a cura di Beppe Benvenuto
Sellerio, Palermo, 2004
pp. 107, € 8o
 

Prezzolini, il liberale tra Gesù e Machiavelli
di Vittorio Mathieu
[05 gen 05]

Che alle origini del liberalismo ci sia San Tommaso, l’han pensato in molti. Guido Fassò lo definì «il primo whig della storia». Ma che ci sia anche Sant’Agostino lo si sente dire più raramente. Ciò che disse in proposito Sergio Cotta, probabilmente Prezzolini non lo sapeva, quando scrisse la serie di articoli raccolti nel 1971 sotto il titolo Cristo e/o Machiavelli e ora riediti da Sellerio a cura di Beppe Benvenuto. A Prezzolini stesso molti non riconoscerebbero la qualità di liberale: ma, a mio parere, l’ossimoro “anarchico-conservatore”, da lui accettato, è precisamente quello che meglio qualifica un liberale. Prezzolini riflette e scrive in stretta connessione con i problemi del momento: la tensione tra Stati Uniti e Russia, le brigate rosse, il Vaticano II, l’egemonia culturale di Gramsci, eccetera. Ma la ristampa di oggi è benvenuta perché considerazioni analoghe si possono estendere al rapporto tra Stati Uniti e Onu, tra gli Stati Uniti e l’Europa, nonché al fondamentalismo islamico e al terrorismo. E il riferimento continuo a Sant’Agostino è prezioso per farsi un’idea precisa della laicità dello Stato, che Prezzolini rifiutava di ridurre alla frase crociana del «non possiamo non dirci cristiani». La formula agostiniana delle due città, la città del diavolo e la città di Dio, non poteva non piacere a Prezzolini, il cui modo di esprimersi è altrettanto aspro e pungente. E l’identificazione della città del diavolo con l’Impero romano si lascia facilmente estendere a qualsiasi forma di Stato.

L’uomo politico in quanto tale, non solo può, ma deve, per non venir meno al suo dovere, compiere azioni che farebbero dell’uomo comune un delinquente in senso stretto. Di ciò il Machiavelli fu il principale teorizzatore. Quindi il dilemma posto da Prezzolini nel titolo pare debba risolversi in un aut aut. Eppure la città terrena oltre che diabolica è provvidenziale. In Agostino essa risponde al carattere dell’uomo caduto col peccato originale, in Machiavelli a un uomo malvagio per natura. Manca però in Machiavelli qualcosa che c’è in Agostino: un ordine fondato bensì sulla forza, ma che, appunto per poter esercitare la forza, deve organizzarsi in forme legali e rispettare certe regole (così come accade nelle società dei ladroni). Nella situazione umana una città del genere è necessaria per dirigersi verso la pace eterna secondo Agostino o verso una pace estremamente labile e precaria, pur preferibile al disordine, in Machiavelli. L’anarchia, quindi, è l’ideale ma non è realizzabile; e la minima oppressione possibile si ottiene solo da uno Stato forte (che è tutto il contrario di uno Stato invadente). Agostino ritorna in più punti sul precetto evangelico «date a Cesare quel che è di Cesare» ma si trovava in una situazione che, per quanto tragica, è più semplice di quella di oggi perché per lui Cesare significava un unico Stato, propriamente detto la Santa Romana Repubblica.

Noi, per contro, ci troviamo a vivere gettati per caso in questo o quello Stato nazionale, che ne trova di fronte a sé altri, con cui può entrare in conflitti che, in ultima istanza, vengono risolti con la forza, cioè con la guerra. Il servizio militare dei cristiani nell’impero romano era un problema facile da risolvere tanto che tra i santi uno si chiamava Pancrazio. Ma la generazione di Prezzolini ha conosciuto conflitti tra Stati di eguale legittimità e diabolicità, alcuni dei quali, però, erano più diabolici degli altri. Prezzolini fu fortunato nel poter conservare una certa coerenza, sia quando nel 1917 chiese di tornare al fronte, sia quando nel 1940 diventò cittadino americano. Da ultimo si stabilì in Svizzera. Tutti gesti simbolici ma che i più non ebbero possibilità di fare. Pensiamo a chi, nella seconda guerra mondiale, pur persuaso che la relativa ragione stesse dall’altra parte era costretto a portare la divisa dalla parte sbagliata. Machiavelli ai suoi tempi se la cavò con un amor di patria, retorico quando la grande patria era l’Italia, cinico quando era Firenze o la Romagna di Cesare Borgia. Dunque, Agostino e Machiavelli possono andar d’accordo, ma solo sulla base del pessimismo cristiano: la pace appartiene a un altro mondo. Sarebbero incompatibili se Machiavelli, come si dirà più tardi, fosse stato un ateo, ma nessuno sollevò questo dubbio ai suoi tempi. Prezzolini si rendeva conto del prezzo a cui Cristo e Machiavelli possono andar d’accordo. Lo attesta una definizione di sé da lui detta a Paolo VI in luogo di quella di “anarco-conservatore” (la riporta Marcello Staglieno sul Settimanale del 9 settembre 1979): «Prezzolini alla ricerca di Dio».