Lo zio di Arafat: buon sangue non mente
di Dimitri Buffa
[03 dic 04]

Buon sangue non mente. Se Arafat ha sognato fino all'ultimo di marciare su Gerusalemme alla testa di un milione di "shaid" per cacciare gli ebrei nel mare, suo zio sognava di avvelenare le falde acquifere di Tel Aviv. Dopo avere letto l'interessantissimo saggio di Stefano Fabei su "Studi piacentini" a proposito delle manovre dell'ex Gran Muftì di Gerusalemme Haji Amin Ali al Husayni per terrorizzare la popolazione ebraica di Palestina e i soldati britannici, il primo pensiero che viene alla mente è proprio questo. Infatti quel muftì era zio per parte di padre del defunto Yassir Arafat, nato al Cairo ma mandato a vivere proprio a Gerusalemme all'età di sei anni, e cercò di convincere Mussolini per quasi tutta la seconda metà degli anni Trenta della bontà dei propri progetti terroristici, incluso quello di avvelenare l'acqua dell'acquedotto di Tel Aviv.

In pratica lo stato d'Israele all'epoca era ben al di là da venire ma i despoti palestinesi già possedevano una rodata fede anti-semita che li metteva in sintonia con i nazisti e, ma questo più che altro se lo auspicava lo zio di Arafat, anche con i fascisti nostrani. Il Duce in compenso, che aveva tutti i difetti del mondo ma non quello di essere avventato in politica estera, sebbene avesse ovviamente grossi interessi a fomentare la rivolta arabo palestinese in Medio Oriente, si guardò bene dal fornire ad al Husayni tutti quei soldi e quelle armi che lui gli chiedeva insistentemente, fino a "mettere in dubbio che gli italiani fossero così amici degli arabi come proclamavano".

Per di più, e questo dimostra come i palestinesi non abbiano mai imparato le lezioni storiche, a "tradire" le aspirazioni genocide dello zio di Arafat fu proprio il vecchio re dei sauditi, Ibn al Saud, che doveva mettere a disposizione i propri soldi e le proprie istituzioni affinchè il regime fascista salvasse la faccia, almeno a livello ufficiale, nell'appoggio a quella che oggi molti retoricamente ricordano come "la prima intifada palestinese", ma che sarebbe più giusto definire una rivolta anti britannica fomentata dal fascismo e dal nazismo.

Fomentata però non fino al punto di sporcarsi troppo le mani, cosa che i rais dell'epoca ritenevano invece indispensabile per proseguire la lotta contro le guarnigioni britanniche.
I contatti diplomatici con il muftì zio di Arafat vennero tenuti dallo psichiatra Carlo Alberto Enderle, nome islamico Ali Ibn Jafer, in realtà rumeno, naturalizzato italiano e di genitori musulmani. Il ministro degli esteri era ovviamente Galeazzo Ciano. I palestinesi chiedevano soldi in continuazione, più precisamente volevano 75 mila sterline dell'epoca ogni anno, più armi, munizioni e agenti per l'addestramento alla guerriglia. Il regime fascista da parte sua non intendeva finanziare direttamente e pretendeva che fosse il re Saud ad acquistare armi in Italia perchè con il ricavato si potesse pagare indirettamente la rivolta e il terrorismo. Il tira e molla su questo punto tra sauditi, fascisti e il gran Muftì di Gerusalemme si risolse in una sorta di dialogo tra sordi.

Le trattative che erano andate avanti dal 1933 al 1939 un bel giorno si interruppero per sempre con un nulla di fatto. Il gran Muftì da parte sua si accontentò di quelle 140 mila sterline di assaggio che il Duce era riuscito a fargli avere sottobanco. Probabilmente incassandole piuttosto che devolvendole alla causa arabo-palestinese. E anche in questa circostanza il richiamo della foresta con il sangue con Arafat risulta evidente. Si badi bene: il progetto di avvelenare l'acquedotto di Tel Aviv aveva ricevuto l'approvazione di Mussolini, ma la condizione per fare decollare economicamente questi progetti era che i feddayn palestinesi del gran Muftì ricevessero ben altri finanziamenti e soprattutto armi leggere e pesanti. Di fatto il fascismo, probabilmente operando una sorta di gioco delle parti con il regime saudita, usando lo spauracchio della rivolta araba come arma di pressione sugli inglesi, non spinse mai sull'accelleratore.

E quando il 30 marzo 1938 l'ambasciatore italiano comunicò al sottopancia di al Husayni, tale al Alami, l'intenzione dell'Italia di interrompere ogni ulteriore finanziamento, lo zio di Arafat non potè che prendere atto del fatto che tutto era abortito per il voltafaccia del re saudita. Che a suo tempo, cioè un anno prima, si era rifiutato di fare passare da Ryad le armi e le munizioni, nonchè i soldi che gli italiani avevano accumulato. Nella primavera del 1938 tutte quelle armi erano ancora chiuse nelle casse di alcune navi che stavano nel porto di Taranto. Benchè nei propri colloqui con la diplomazia fascista lo zio di Arafat avesse fatto di tutto per convincere l'asse Roma-Berlino che la formazione di un enclave ebraico, "o peggio di uno stato", sotto il mandato e la protezione britanniche, sarebbero stati una jattura per tutta l'Europa, con toni anti-semiti che sorpresero non pochi interlocutori (in fondo, molti scetticamente ragionavano così, anche questi palestinesi come tutti gli arabi sono pur sempre popolazioni semite!), Mussolini alla fine bloccò tutta l'operazione.

Magari non perchè amasse gli ebrei in quanto tali. Anzi è certo che il 7 di luglio 1937 la Commissione reale aveva pubblicato un documento in cui si spiegavano i pericoli che potevano giungere per l'Italia dell'epoca dalla creazione di uno stato ebraico come era nei progetti inglesi fin dalla dichiarazione di Balfour nel 1917. Probabilmente però la real politik di allora deve avere suggerito a Mussolini che il gioco non valeva la candela: terroristi di quel tipo, come gli armati dello zio di Arafat, potevano anche mettere in crisi i britannici e frustrare le ambizioni territoriali sioniste, ma alla fine non sarebbero potuti più venire controllati da nessuno. Almeno non una volta che fossero stati armati, finanziati e istruiti di tutto punto.

E la stessa cosa deve avere pensato anche re Saud. E questo, se non altro, a ulteriore riprova e spiegazione del perchè ieri come oggi i peggiori nemici dell'ideologia e delle ambizioni pan arabe e indipendentiste dei palestinesi siano spesso stati gli stessi regimi arabi. Perchè se è vero, ad esempio, che la dinastia saudita avrebbe fatto carte false per evitare che un domani, dopo la guerra, gli ebrei avessero avuto il loro stato nel cuore della "umma" araba, è altrettanto certo che quella stessa corte di sceicchi (che di lì a poco sarebbero diventati super ricchi con il petrolio) vedeva come il fumo agli occhi la creazione di uno stato indipendente palestinese. Magari laico e con obblighi di riconoscenza nei confronti dell'Europa nazi-fascista.

03 dicembre 2004
 

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