Morte di un critico
di Martin Walser
Sugarco, Milano, 2004
pp. 213, € 16,80
 

Il sacerdote dell’egemonia
di Francesco Galietti
[17 nov 04]

In Italia pochi conoscono Martin Walser, perché la maggior parte delle sue opere non ha mai avuto un’edizione italiana. «Scrive libri troppo tedeschi», così venne liquidata la questione da Gian Enrico Rusconi, uno degli studiosi italiani che più si occupano di Germania. Il che non sarà forse una frottola tout court, ma certamente non vale per tutte le opere di Walser. Come il recente Morte di un critico, edito in Italia da Sugarco, e tradotto da Francesco Coppellotti. Il romanzo parla di come un terribile critico letterario, assorto al ruolo di superstar mediatica, André Ehrl-Koenig, dopo aver condannato in una delle sue apparizioni l’opera dello scrittore Hans Lach, venga da questi apostrofato duramente, e, al termine di una serata mondana, non venga più trovato. Hans Lach viene arrestato subito in quanto superindiziato per l’omicidio del critico, e tutti gli elementi depongono contro di lui. Solo Michael Landolf, scrittore esperto di mistica, cabala, alchimia e Rosacroce, autore di Da Suso a Nietzsche, non ci vuole credere. Da qui l’inizio del romanzo vero e proprio, che culmina in un colpo di scena finale di cui non vogliamo privare il lettore.

D’altronde Martin Walser è uomo abituato a dare scandalo, come quando nel 1998, in una sua celebre orazione presso la Paulskirche di Francoforte, dove era stato insignito del premio per la pace dei librai tedeschi, si scagliò contro il progetto di memoriale dell’Olocausto a Berlino: una superficie disseminata di lapidi proprio davanti alla porta di Brandeburgo. «Un incubo grande come un campo di calcio» fu il commento di Walser.

Da allora, secondo un costume assai diffuso in Germania oggi, a Walser venne impropriamente rifilata l’etichetta di antisemita. L’uscita della Morte di un critico venne accompagnata da vistose polemiche da parte della FAZ, il principale quotidiano tedesco, che si rifiutò di pubblicare un’anteprima del libro, giudicato antisemita. Il che, ovviamente, fece di questo instant book uno dei libri più venduti in assoluto. Anche in Italia l’establishment vede in questo libro un inaudito affronto al suo potere: troppo forti le analogie tra André Ehrl-Koenig, il critico letterario-superstar del romanzo, e Marcel Reich-Ranicki, il suo analogo nella vita reale. Reich-Ranicki incarna il Verbo mediatico, è l’implacabile arbiter elegantiarum che può, egli solo, argomentare su cosa sia bello e cosa no. Le critiche in Italia si sono concentrate tutte sulla traduzione di Coppellotti.

Il tremendo censore dell’Indice, nascosto dietro uno pseudonimo, rovesciando le solite accuse di antisemitismo non sull’autore ma sull’interprete e curatore, aggiunge al proprio livore personale nei confronti di Coppellotti anche dell’altro. Non ci priva infatti della commovente immagine della maestrina da Libro Cuore, trasfigurata in versione Erinni feroce, quando taccia l’interprete di aver scopiazzato alla bell’e meglio ben metà della postfazione all’edizione italiana da un testo critico tedesco, e, colpa gravissima, di non trovarsi a suo agio «nelle malizie del discorso indiretto libero». Quando un romanzo genera una carica di ferocia tale, non può che trattarsi di un romanzo “importante”, ecco perché ci pare, in tutta franchezza, che Morte di un critico non sia per nulla “troppo tedesco”, ma adattissimo agli italici lettori.