Occidente contro Occidente
di André Glucksmann
Lindau, Torino, 2004
pp. 218,
19,50

L’Occidente cieco che odia l’America
di Teodoro Brandis
[17 nov 04]

Potremmo usare decine di antinomie per descrivere l’attuale panorama geopolitico europeo: interventismo contro astensionismo; concretezza contro demagogia; libertà contro oppressione. Ma l’estrema sintesi l’ha trovata André Glucksmann, e mai fu più azzeccata: Occidente contro Occidente. La mancata adesione del governo transalpino a prendere parte alla missione in Iraq incornicia un pensiero che, a mano a mano che si procede nella lettura, si concretizza su più livelli. Partendo dal particolare, il filosofo arriva a dimostrare che, quasi paradossalmente, non c’è pace senza guerra, non c’è libertà se prima non la si è voluta, cercata e forzata, anche con l’intervento militare. Ma soprattutto che il pacifismo, ipocrita e retorico, è nemico di se stesso.
L’attacco all’Iraq è un atto di responsabilità e di civiltà che tutte le democrazie occidentali dovrebbero sostenere per evitare di essere rispedite indietro di secoli, nella più buia epoca che il genere umano abbia mai conosciuto: l’Età del Terrore. Come è deplorevole il non-interventismo di Chirac, lo stesso può dirsi del dietrofront di Zapatero: sopraffatto dalla paura, è come se avesse voluto abbandonare al loro destino le truppe italiane, britanniche e polacche ancora impegnate in Iraq, rimangiandosi di fronte al mondo intero l’impegno morale e l’alleanza politica sottoscritta.

Glucksmann, nel difendere la guerra anti-terrorista, ricorda gli errori commessi al tempo della guerra nei Balcani. «Dieci anni fa, mentre i massacri in ex Jugoslavia raggiungevano la loro nefasta velocità di crociera, l’élite occidentale predicava la virtù del non-intervento. Allora la tautologia si fece solenne e lo scherzo non faceva più sorridere. Era disgustoso! “Quale madre vorrebbe vedere il proprio figlio morire per Dubrovnik?” domandava il presidente della Commissione europea. Infatti, quale madre vorrebbe vedere il proprio figlio morire? Chi oserebbe “aggiungere guerra a guerra”, scongiurava l’allora presidente della Repubblica francese». La retorica pacifista anche allora ebbe la meglio nei confronti dell’opinione pubblica, che intimò ai deputati “bellicisti” di non nascondersi ma farsi riconoscere. La storia, però, cosa insegna? Lasciamolo dire a Glucksmann, in un condensato di verità, rabbia e durezza: «Rifiutate, ricusate, vituperate da un Occidente benpensante, le guerre sono rifiorite e hanno potuto insanguinare ancor più liberamente per otto anni, eccovi accontentati, il centro del nostro continente, Vukovar, Sarajevo, Gorazde, Srebrenica. Oggi i carnefici sono accusati di crimini contro l’umanità ma la canzone “antiguerra” non ha perso nulla della sua presunzione e galoppa in vetta al box-office universale. “Vivere in pace” è la parola d’ordine di tutte le vigliaccherie civiche ed intellettuali».

La demonizzazione del terrorismo islamico sarebbe dovuta avvenire naturalmente, anche se gli Stati Uniti non avessero preso per mano e accompagnate al fronte le democrazie occidentali. Per farlo capire, Glucksmann ragiona per assurdo: «Se Bush evaporasse magicamente, forse il conflitto israelo-palestinese si fermerebbe per questo? Se Bush avesse perso le elezioni, Saddam Hussein si sarebbe forse astenuto per decenni dal tradire, invadere, gassare, torturare, giustiziare senza alcuna esitazione? Mettete Bush fra parentesi, resta bin Laden, che non ha aspettato le elezioni presidenziali per preparare il più grande attentato terroristico della storia dell’uomo. Resta Kim Jong II a fabbricare i suoi missili artigianali e qualche testata nucleare». Al “pacifico lettore” non resta altro da fare che prendere atto della realtà e ravvedersi: il terrorismo si può vincere soltanto dichiarandogli guerra.