La tragedia russa fra Oriente e Occidente
di Giuseppe Pennisi
Quando il Teatro Comunale di Firenze ha calendarizzato “Khovanshina” di
Modest Mussorgsky, non si poteva immaginare che ogni parola e ogni nota
del lavoro sarebbe stata di bruciante attualità. Nell’opera, la Russia è
dilaniata tra tendenze modernizzatrici che la portano verso Occidente e
radici ultrareazionarie che la spingono, invece, verso Oriente. Le
congiure, il terrorismo, le decapitazioni, lo sfregio dei cadaveri degli
avversari e l’olocausto-strage di massa sono sul boccascena mentre il
protagonista (Pietro il Grande) non appare mai. Il titolo è un gioco di
parole: vuole dire, al tempo stesso, “Storia del Principe Khovanskj”e
“Pagliacciata”. Siamo negli anni dello scisma religioso, della rivolta
degli Streltsy o Strellizi (moschettieri) e dei “vecchi credenti”, nonché
del loro eccidio da parte dei “modernizzatori”, guidati da Pietro il
Grande, e dai loro alleati tedeschi. In scena a Firenze dal 24 settembre
al 3 ottobre in un allestimento diretto da James Conlon e con un grande
cast internazionale (è una co-produzione con l’Opéra National de Paris
dove è in repertorio alla Bastiglia), si tratta di un vero e proprio
avvenimento, dato che in Italia la complessa opera riceve raramente
un’esecuzione adeguata.
Ricordiamo il contesto storico di allora, non molto diverso da quello
della Russia di oggi. Nei decenni a cavallo tra la fine del Seicento e
l’inizio del Settecento, si svolse un conflitto cruentissimo sull’identità
russa e sul destino del paese. Il Patriarca di Mosca, Nikon, aveva
introdotto profonde innovazioni liturgiche; al Cremlino, in parallelo, una
serie di lotte di successione preparava l’ascesa al trono di Pietro il
Grande. Dopo tentativi di congiure e ricorso al terrorismo, i “raskolniki”
(“vecchi credenti”, avversari delle riforme liturgiche), legati agli
Streltsy (alle dipendenze del Principe Khovansky), vennero confinati in
alcuni monasteri della Karelia, dove i “duri e puri” si auto-immolarono in
un suicidio collettivo. Nel giro di pochi decenni, la “Moscova” diventò da
un principato con possedimenti in Siberia, un impero multinazionale di 12
milioni di chilometri quadrati. Vicende e tensioni non molto differenti da
quelle, che ad alcuni secoli di distanza, travagliano ancora quello che
fu, prima, il grande impero zarista e poi l’Unione Sovietica.
Un dettaglio, il Principe Khovansky, capo politico dei “vecchi credenti”
ed organizzatore di congiure ed attentati (il capo religioso è l’ascetico
Dosifej) fornica con danzatrici fatte venire dalla Persia, mentre suo
figlio Andrei è conteso tra le pulsioni erotiche per la tedesca (e
“moderna”) Emma e quelle per Marfa, seguace di Dosifej, ammaliatrice e
fattucchiera anche se sempre in abiti monacali. Nell’opera, i tre lustri
in cui si articolò la prima parte di questi avvenimenti (sino alla
sconfitta dei “raskolniki” ed al loro eccidio in una foresta) vengono
riassunti in poche giornate: una narrazione dostoevskiana caratterizzata
da pessimismo ravvivato, però, nella fede nella trascendenza. Un cenno
alla parte musicale. Il lavoro restò incompiuto, particolarmente
l’orchestrazione. Le sue innovazioni principali non vennero comprese da
Rimisky-Korsakov che, amico fraterno di Mussorgsky, lo completò
smussandone quelle che riteneva essere asperità.
Dalla fine degli Anni Sessanta, si dispone della revisione di
Shostakovich, considerata dallo stesso revisore come solo “un’ipotesi di
lettura”. E’ questa in scena a Firenze. La regia di Andrei Serban, le
scene ed i costumi di Richard Hudson e le coreografie di Laurence Fanon
calano il dramma nel suo contesto storico-politico. Uno spettacolo
grandioso reso possibile unicamente grazie allo sforzo produttivo
congiunto di due tra i maggiori teatri d’opera europei. Guidati da Conlon
e dal maestro del coro Joé Luis Basso i complessi del Maggio danno
un’interpretazione struggente. Il cast internazionale è di lusso: tra i
tanti ricordiamo Roberto Scandiuzzi, un Dosifej (il capo religioso dei
“vecchi credenti”) ieratico e maestoso, Elena Zaremba, una Marfa
appassionata, Vladimir Ognovenko e Clifton Forbii, i due principi
Khovanskj alla guida della congiura contro Pietro il Grande e Robert
Brubacher il traditore Golicyn.
28 settembre 2004
gi.pennisi@agora.it
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