Il Codice Genesi? E’ pseudoscienza
intervista a Piergiorgio Odifreddi di Tiziana Lanza
Michael Drosnin, giornalista investigativo del Washington Post, ateo e
abituato alla ricerca dei fatti, si trova a condividere con il matematico
israeliano Eliyahu Rips una sorprendente scoperta: la Bibbia contiene un
codice che rivela le sorti dell’umanità. Drosnin, narratore e protagonista
del libro “Codice Genesi II Conto alla Rovescia” (Rizzoli), dal tono
talmente romanzato da assumere i contorni di una vera e propria fiction,
finisce per assomigliare al personaggio di un thriller. Detentore di un
verità così lontana dal senso comune, non sa come proporla affinché venga
accettata. Ma spetta alla matematica dare sostanza alla tesi centrale del
libro. Il Codice esiste e in esso i nomi di Bush, Arafat e Sharon
compaiono con “fine dei giorni”, “olocausto atomico” e “5766” anno ebraico
per il 2006. Con quali occhi legge questo libro chi conosce bene la
matematica? Lo abbiamo chiesto a Piergiorgio Odifreddi che, oltre a
insegnare logica matematica nelle università di Torino e di Cornell, è
autore di numerosi articoli e libri divulgativi. Nel suo ultimo libro ha
portato il “diavolo in cattedra” per spiegare a tutti cosa sia la logica
matematica. Per questo non potevamo che rivolgerci a lui, sperando che il
risultato non sia quello che si ottiene accostando il diavolo all’acqua
santa.
Professor Odifreddi, per il matematico Rips la
matematica è sacra e dimostra addirittura l’esistenza di Dio. Lei che ne
pensa?
Penso che sia sacra per tutti i matematici, ma in un senso diverso. C’è
una lunga tradizione della sacralità della matematica. La setta dei
pitagorici credeva che l’essenza dell’universo fosse costituita di numeri,
in base anche al famoso motto di Pitagora “tutto è numero”. E per venire
ai tempi nostri, Einstein dichiarava di essere religioso ma soltanto nel
senso di Spinoza: “Dio, cioè la natura”. In questo senso sì che si può
essere religiosi matematicamente. Spesso gli scienziati dicono, e lo ha
ribadito anche S. Hawking alla fine del suo libro dal “Big Bang ai Buchi
Neri”, che se riusciremo ad avere una teoria del tutto unificata allora
riusciremo a leggere la mente di Dio. In questo senso la matematica
diventa per l’appunto una fede. Bisogna credere che qualche legge ci sia,
altrimenti il lavoro dello scienziato non avrebbe senso. La matematica
allora può essere l’espressione di una religiosità, ma di una religiosità
laica e razionale.
Quindi in questo senso la matematica non può
dimostrare l’esistenza di Dio…
In questo senso la matematica è Dio. Dio è il numero, oppure le leggi
della natura. Mentre dimostrare l’esistenza di Dio, nel senso in cui lo
intende la teologia, è un tentativo che è già stato fatto senza successo.
L’intera scolastica si è dedicata a questa impresa, ma non è un caso che
sia fallita. Ci sono stati due diversi tentativi. Quello fatto dalla
teologia naturale: le cinque vie di San Tommaso sono tutte prove fisiche.
Si guarda il mondo, e poiché ha certe caratteristiche allora si risale
all’esistenza di un certo tipo di divinità. Poiché le cose al mondo sono
sempre causate, di causa in causa si risale all’indietro, ottenendo un
regresso all’infinito che ai tempi di San Tommaso era proibito. E così per
fermarlo si arriva alla causa prima. Una dimostrazione poco convincente.
Altre dimostrazioni puramente logiche, come la prova ontologica di
Sant’Anselmo, costituivano un tentativo più alto, perché dimostravano
l’esistenza di Dio in maniera puramente razionale, ma neanche questo ha
funzionato perché Kant le ha poi smontate completamente.
Al giornalista Drosnin, ateo e abituato alla ricerca
dei fatti, invece la matematica fa nascere il serio sospetto che esista un
Dio…
Se non si è professionisti della matematica, è facile fraintendere fatti
che magari dal punto di vista matematico sono banali, o per lo meno
spiegabili. Faccio un esempio, che non è legato a questo libro, ma che è
molto significativo. La moglie del fisico Feynman morì giovane di cancro.
Proprio in un libro dove parla di religione, Feynman racconta di essere
andato in ospedale e di avere chiesto a che ora fosse morta. E di avere
poi notato che l’orologio della stanza si era fermato proprio a quell’ora.
Un’altra mente avrebbe dedotto da questo un intervento soprannaturale,
oppure una coincidenza significativa, nel senso di Jung. Lui che era un
fisico però ha cercato di vederci chiaro ed è venuto a sapere
dall’infermiera che quando la moglie è morta, lei non riusciva a vedere
bene l’ora e così aveva staccato l’orologio dal muro, e l’aveva poi
rimesso a posto. Questo movimento lo aveva evidentemente bloccato, visto
che era un vecchio orologio. Ecco come un fatto banale inserito in una
situazione emotivamente tesa poteva essere interpretato in maniera
mitologico-mistica. Ma Feynman aveva gli strumenti per non farlo.
Anche Newton cercava un codice nella Bibbia…
Newton era un grande pensatore, ma era anche un po’ matto. Quando,
all’inizio del Novecento, Keynes trovò le scatole piene dei suoi
manoscritti, gli si drizzarono quei pochi capelli che aveva, perché ne
scaturiva un Newton che era l’esatto contrario dello scienziato che tutti
conoscevano. Quei manoscritti, che ora sono a Gerusalemme, non li volle
nessuno. Erano scritti di natura mistica, in parte cabalistica. Qualcuno è
stato pubblicato. Incuriosito, ho voluto leggerne uno sull’apocalisse.
Newton, che a quei tempi insegnava al Trinity College a Cambridge, dovendo
diventare ordinario (a quel tempo voleva dire proprio prendere gli ordini)
si mise a studiare la Bibbia. Si rese però conto che non si parlava mai
della Trinità: mancava lo Spirito Santo. Trovandosi proprio al Trinity
College, se lo tenne per sé, ma cominciò a sospettare che la Bibbia fosse
raccontata in modo sbagliato, forse per problemi di traduzione. Quindi
studiò l’ebraico e poi si mise a risolvere problemi di tipo matematico.
Per esempio, in base agli indizi contenuti nel testo sacro, calcolò la
vera forma e le vere dimensioni del tempio di Salomone e le riportò in
pianta. Qual era l’idea? Newton lo dice espressamente, nel volume
sull’apocalisse. Dio ha fatto due sole opere: una è la Bibbia, l’altra è
il libro della natura. Se le ha fatte lo stesso autore, avrà usato gli
stessi mezzi. Allora usiamoli anche noi per studiare l’una e l’altro:
osservazione e interpretazione razionale.
Quindi non in senso divinatorio…
Non era certamente Newton che lo faceva. Tuttavia, la tradizione di
leggere nella Bibbia quello che non c’è è vecchia quanto la Bibbia stessa.
Tutto è nato perché sia i greci che gli ebrei non avevano simboli per i
numeri. Avevano solo le lettere dell’alfabeto. E così entrambi portarono
il proprio alfabeto a 27 lettere. In tal modo le prime nove potevano
rappresentare i numeri da 1 a 9. Le seconde nove, le decine e le terze, le
centinaia. La Bibbia è allora scritta con parole che sono numeri, anche se
tutte le parole sono numeri ma non è vero il contrario. Tutto questo
andirivieni fra lettere e numeri è quello che oggi si chiama la Ghematria
e ha una tradizione secolare. Nel Codice Genesi non si fa altro che
riportare al giorno d’oggi una tradizione antichissima. In più, si usa uno
strumento moderno: la crittografia. Si può scrivere un messaggio cifrato
scegliendo come significative lettere a intervalli regolari: ogni 2, per
esempio. Ci sono infinite possibilità di questo metodo.
Allora basta un testo di lunghezza sufficientemente
lungo per ripetere la stessa esperienza che Rips ha fatto con la Bibbia…
Il procedimento è lo stesso di quello dei numeri casuali, nella matematica
combinatoria. Si può ottenere una successione infinita di numeri tirati
con le monete, e ci saranno molte regolarità. Se si tirano invece le
lettere dell’alfabeto si ottengono, a volte, delle sequenze di parole che
sono completamente sensate, di qualunque lunghezza. Più il testo è lungo
più si avvicina al modello, per cui un testo infinito generato a caso
avrebbe dentro qualunque cosa: la Divina Commedia, Moby Dick e così via.
La Bibbia non è infinita, però è abbastanza lunga da far saltare fuori
ogni tanto frasi sensate. Nel caso di Codice Genesi, non sono frasi che
saltano fuori leggendo, per esempio, cinque pagine di seguito di modo che
vengano fuori alcune righe di senso compiuto. Sono parole isolate e, a
volte, s’incontrano come se fossero dei raggi. Mi sembra una cosa molto
cervellotica. Il codice avrebbe più senso se fosse una cosa naturale. Ma
scegliendo a piacere le regole puoi fare uscire fuori qualsiasi cosa da un
testo sufficientemente lungo, sfruttando tra l’altro il vantaggio che
l’ebraico non ha le vocali. Se lo si fa con l’italiano, avendo le vocali
si trovano delle parole. Con l’ebraico si trovano soltanto degli schemi.
Se per esempio troviamo “pzz”. Che vuol dire? “pozzo”, “pazzo”, “pezzo”
“pizza”… dipende dalla vocale che ci metti.
E allora come mai la comunità scientifica ha preso
in considerazione la ricerca di Rips e dei collaboratori, pubblicandola
sulla rivista americana Statistical Science?
Perché questa è una ricerca interessante dal punto di vista statistico. Ce
ne sono diversi di questi studi. Il problema è quello che viene divulgato:
le interpretazioni millenaristiche e profetiche. C’è la Bibbia, c’è
l’assassinio di Rabin che Drosnin dice di aver saputo prima… Si prendono
cose che effettivamente ci sono, ma attribuendo loro significati che non
sono veri. Mi vengono in mente gli studenti di Leonardo: “guardate quella
macchia sul muro – andava loro ripetendo il maestro – e raccontatemi una
storia…” Io credo che la cosa più interessante di questo libro non sia
quello che dice che c’è nella Bibbia, ma quello che dice che c’è nella
testa dell’autore. Questo ci fa vedere come le persone possono usare una
pseudoscienza servendosi degli stessi metodi della scienza ma a fini
diversi, per dedurre conseguenze un po’ strane.
Che dire allora delle parole di Einstein usate come
frase centrale del libro: “La distinzione tra passato, presente e futuro è
solo un’illusione, per quanto radicata”. Forse non deve stupirci se quello
che è per noi presente è codificato in un libro di 3000 anni fa?
Einstein le intendeva in un senso diverso e ben preciso. C’è un libro
interessante, “Flatlandia”, che è la storia di un mondo piatto e il
tentativo di vedere cosa succederebbe se fossimo degli esseri a due
dimensioni. Come potremmo percepire la terza dimensione? La protagonista
del romanzo è una sfera, e si fa vedere passando attraverso il mondo a due
dimensioni. Si posa sul piano, e cominciamo a vedere un punto. Poi passa
dentro, e vediamo un cerchio che è la sezione. Poi continua e il cerchio
si allarga fino all’equatore, per poi restringersi e diventare di nuovo un
punto. Vediamo una sfera com’è, perché siamo tridimensionali. Ma se
fossimo esseri bidimensionali la vedremmo così come è descritta in
“Flatlandia”. Allora, se noi siamo esseri tridimensionali, quali siamo,
mentre il mondo è a quattro dimensioni, come facciamo a vederlo? Dobbiamo
fare sezioni di questo mondo e poi metterle insieme. Metterle insieme è
quello che si chiama tempo. Per Einstein il tempo non era altro che il
trucco inventato dagli esseri a tre dimensioni per percepire un mondo che
ne ha quattro. Quindi le cose non accadono, non succede niente. Non è che
Einstein dicesse: poiché non c’è distinzione fra futuro e passato, allora
noi possiamo nel passato prevedere il futuro. Non ha senso, perché per
Einstein non c’erano né l’uno né l’altro.
E’ proprio necessario dimostrare se questo libro sia
o no una bufala?
No… ma potrebbero esserci persone che ci credono. Ci sono tutti gli
ingredienti: Bibbia, matematica, profezie. Fa parte di una certa cultura e
così sui giornali e in televisione se ne è parlato. Ma certo non è
scienza, nonostante il fatto che usi strumenti scientifici come la
casualità e gli studi statistici. In fondo, non è tanto diverso da leggere
i fondi del caffè. L’approccio è uguale, anche se più alto in due sensi.
Invece di leggere i fondi, si legge la Bibbia. E poi per il suo aspetto di
razionalità. Anche gli astrologi lo fanno. Partono dall’astronomia, ma
usano nozioni in una maniera che non è scientifica. In più qui c’è la
Bibbia, che per i credenti è la parola di Dio. Se però si crede nella
Bibbia è inutile ricorrere alla matematica…
Nel Codice Genesi si legge che, soltanto quando
prenderemo veramente coscienza che l’unica vera alternativa alla pace è la
distruzione totale, allora si potrà parlare di pace. Lei crede alla
minaccia del terrorismo internazionale?
Io so solo che nel secolo scorso sono morte dai 150 ai 180 milioni di
persone, per vari motivi: guerre, genocidi, campi di concentramento…
Sembra una cosa enorme. Facciamo però una piccola riflessione, visto che
siamo matematici. Quanti siamo? Sei miliardi. I morti del secolo scorso
rappresentano dunque un quarantesimo della popolazione mondiale. Nel 1500
solo le conquiste spagnole e portoghesi hanno ammazzato dagli 80 ai 100
milioni di persone, ovvero un quinto della popolazione mondiale
dell’epoca, che era di 450 milioni di persone. Il terrorismo nella sua
intera storia ha fatto 15000 morti. Quindi no. Io non credo alla minaccia
del terrorismo. Ma non credo neanche al pacifismo, perché so bene che il
potere si prende e si conserva in maniera militare. Chi si dichiara
pacifista deve accettare la possibilità di non prendere il potere, se lo
vuole, e di perderlo, se ce l’ha. Il Dalai Lama lo ha detto chiaramente:
noi tibetani siamo così pacifisti che abbiamo perso il nostro paese.
15 aprile 2004
Michael Drosnin, "Codice genesi. Conto alla rovescia", Rizzoli, 2003, €
17,50 340 pagg. |