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      Taurasi, un gioiello della viticoltura irpina 
      di Franco Ziliani 
       
      Possiamo dirlo, e a chiare lettere, che il Taurasi, l’ottimo vino prodotto 
      in provincia di Avellino in Irpinia da vigneti di Aglianico posti nei 
      comuni di Taurasi, Bonito, Castelfranci, Castelvetere sul Calore, 
      Fontanarosa, Lapio, Lugosano, Mirabella Eclano, Montefalcone, Montemarano, 
      Montemileto, Paternopoli, Pietradefusi, Sant’Angelo all’Esca, San Mango 
      sul Calore, Torre Le Nocelle e Venticano, per una produzione che nel 2002 
      ha toccato i 13400 ettolitri (ovvero il 7,51% dei vini Doc regionali) da 
      una superficie vitata di 365 ettari, è non solo il migliore vino rosso 
      della Campania, ma è uno dei migliori (tra i primi dieci ?) rossi 
      italiani? Primo vino meridionale a vedersi assegnare la Docg, nel 1993, e 
      più che meritatamente, e considerato il "Barolo del Sud", ottenuto da 
      quello storico, eccellente vitigno Aglianico (il Nebbiolo, appunto, del 
      meridione) che è alla base dei più importanti vini rossi Doc di Campania 
      (Taurasi, Falerno del Massico, Aglianico del Taburno, Solopaca) e 
      Basilicata (l'Aglianico del Vulture), mentre in Puglia entra nell'uvaggio 
      del Castel del Monte, il Taurasi sta conoscendo in questi ultimi anni una 
      sorta di consacrazione. 
       
      Accanto a realtà storiche come Mastroberardino, (e alla Terradora, nata 
      dalla separazione dei fratelli Antonio e Walter Mastroberardino), e 
      Struzziero, dalla fine degli anni Ottanta, nella fase successiva al 
      terribile terremoto, sono nate progressivamente (qualcuna grazie ad 
      importanti sostegni politici e bancari…), tutta una serie di aziende che 
      hanno fatto del Taurasi il punto forte della loro produzione. Tantissime 
      aziende, al punto che oggi un attento osservatore come il giornalista 
      Luciano Pignataro, nella sua Guida completa ai vini della Campania 
      (Edizioni dell’Ippogrifo 
      info@edizionidellippogrifo.it tel e fax 
      081 5177000) che costituisce la più puntuale e completa esplorazione della 
      viti-vinicoltura campana, ne recensisce ben 35. 
       
      Questa vitalità e ricchezza d’espressione nell’universo del Taurasi, che 
      ha preso il nome da Taurasia, un piccolo borgo vinicolo che i romani 
      fecero loro dopo aver sconfitto gli irpini, nell’ottanta d.C e che come 
      molti vini del Sud d’Italia ha origini pre-romaniche, (l’Aglianico, il 
      vitigno principale da cui si produce questo vino, era un tempo detto 
      “hellenico” o “hellenica”, a sottolinearne l’origine greca) e questa 
      ribadita centralità nell’ambito dei vini rossi campani, hanno ovviamente 
      prodotto una diversificazione di stili e d’interpretazioni. Al punto che 
      oggi, sul mercato, esistono tutta una serie di Taurasi, Taurasi cru e 
      Taurasi riserva per i quali è molto difficile trovare un filo rosso ed un 
      minimo comune denominatore, dotati come sono di caratteristiche 
      contraddittorie. Questo non è dato solo dallo stile di vinificazione e dal 
      tipo d’affinamento scelto, ma, si vocifera in loco, da un’interpretazione 
      molto “libera” del disciplinare di produzione, che prevede che i 
      produttori possano utilizzare sino ad un 15% di vitigni a bacca rossa non 
      aromatici, ovvero Piedirosso, Sangiovese e Barbera, ma non certo uve come 
      il Merlot, la cui presenza, in chiave d’ammorbidente e di fornitore e 
      stabilizzatore di colore, sembrerebbe proprio trasparire nell’esame 
      organolettico di alcuni vini… 
       
      Oltre a queste “libertà” e licenze creative, che penso possano costituire 
      materia d’indagine per l’Ispettorato centrale repressione frodi – se 
      questa avesse tempo e voglia di fare il proprio dovere – il Taurasi 
      conosce, pur in questo momento favorevolissimo, un altro non indifferente 
      problema. Sto parlando della crescita dei prezzi e dello stabilizzarsi di 
      vari cru “coccolati” dalle varie guide in una fascia, tra i 25 e 40 euro 
      (ovvero tra 50 e 80 mila delle vecchie care lire), che rischia di rendere 
      il vino molto meno appetibile ed interessante per i normali consumatori. A 
      questa pericolosa tendenza ad interpretare molto liberamente il Taurasi e 
      a proporlo a prezzi esagerati, sfugge, fortunatamente, oltre alla storica 
      casa Mastroberardino e a quelle citate, l’azienda agricola Di Meo posta in 
      contrada Coccovoni di Salza Irpina, una trentina d’ettari vitati, con 
      vigneti che per l’Aglianico destinato al Taurasi (la cantina produce anche 
      validi Greco di Tufo e Fiano d’Avellino, oltre alla Falanghina del Sannio 
      e ad un paio di Igt rossi), sono posti, in località Montemarano, a 650 
      metri d’altezza. 
       
      L’unica “ingenuità” di questa azienda, che vede agire i fratelli Di Meo, 
      con Roberto, intento alla parte enologica, molto impegnato anche 
      nell’Associazione enologi a livello regionale e nazionale, è forse – mi 
      sia consentito bonariamente sottolinearlo – proporre il proprio Taurasi 
      con un’etichetta, nera, con scritte oro e rosso, che ricorda moltissimo, 
      anzi troppo, quella del “Taurasi Radici di Mastroberardino”… Per il resto, 
      e posso dirlo con sicurezza, avendo assaggiato insieme, e alla cieca, la 
      riserva 1998 di Di Meo e il 1998 Radici dell’azienda di Atripalda, i due 
      vini sono sostanzialmente diversi, più tradizionale il secondo è, 
      moderatamente, più moderno, dal colore più intenso e dalla componente 
      fruttata più sottolineata, il Taurasi 1998 dei Di Meo. Ma è, in ogni caso, 
      un gran bel bere, questo Taurasi 1998, affinato per due anni sia in botti 
      di rovere di Slavonia che in barrique e poi ancora due anni in bottiglia, 
      come prevede la tipologia riserva. Rubino brillante, dall’intensità vivace 
      e con un’unghia che vira più sul violaceo che sul granato, mostra un naso 
      fitto di nitida espressione, molto pulito e franco, che richiama la 
      ciliegia matura, le spezie, il sottobosco, la liquirizia e mantiene una 
      freschezza quasi balsamica sorprendente, che vivacizza e anima il 
      bicchiere. 
       
      Al gusto, molto asciutto, carnoso, vellutato, anche se dotato ancora di 
      tannini che devono smussare qualche spigolosità di troppo, mostra una 
      bella materia ricca, una notevole consistenza e persistenza. Rispetto al 
      Taurasi Radici di Mastroberardino, assaggiato in tandem, è leggermente 
      meno vellutato al palato, più carnoso e polputo, sicuramente più potente, 
      e con un’eleganza leggermente meno spiccata e meno in grado di ricordare 
      un grande Nebbiolo (alias Barolo), oppure, quando vira sul lampone e sul 
      ribes (ed un grande Taurasi di qualche anno tira fuori di queste finezze), 
      un Pinot nero, ma la terrosità, il carattere spiccato, l’alcool ben 
      calibrato, l’equilibrio d’insieme, fanno di questa riserva 1998 un Taurasi 
      classico di riferimento. Molto più interessante, godibile, piacevole al 
      gusto, e autentico, di taluni “Taurasi” dai colori sparati e dai muscoli 
      sospetti, che solo l’insipienza e la dabbenaggine di alcuni guidaioli 
      possono collocare al vertice della denominazione. Su carni rosse, 
      selvaggina, piatti a base di funghi, formaggi piccanti e stagionati, 
      piatti speziati, questa Riserva 1998 farà sicuramente un figurone. 
       
      bubwine@hotmail.com 
              
              
              14 aprile 2004 
               
              
              
              Azienda agricola Di Meo, Contrada Coccovoni 1 83050 Salza Irpina 
              AV 
              tel. 0825 981419 fax 0825 986333,
              
              www.dimeo.it,
              
              info@dimeo.it 
              Prezzo 16 euro    |