Campo Vecchio laziale, principe tra i bianchi
di Franco Ziliani

“Anvedi quant’è bono!” è l’unica esclamazione vernacolare che può scappare assaggiando, sempre più stupito, l’ottimo bianco laziale Campo Vecchio 2002. Uno stupore ammirato e bisognoso di capire il motivo per cui, nonostante al dettaglio sia in vendita a soli 7,5 euro, la più romanocentrica delle guide italiche, la Duemilavini dell’Ais di Roma, non ne fornisce la descrizione organolettica, pur attribuendogli non meno di quattro grappoli sul massimo di cinque. Tanto per rendersi conto, meno della metà di un Fiano di Avellino “cru” di una pompatissima casa irpina, o di un tribicchierato uvaggio friulano pieno di legno, o ancora di un Gewürztraminer altoatesino dai residui zuccherini furbeschi o di un siculo Chardonnay, di quelli che dopo mezzo bicchiere non se ne può più.

Misteri della dell’italica enologia, o peggio ancora di quella strana corrispondenza d’amorosi sensi e dello stretto legame d’interessi tra produttori, stampa e guide. Ma di vini come questi, che sono autentici, che si bevono bene, espressione fedele del territorio e della sua storia e che (soprattutto) si possono acquistare senza svenarsi, è piena la nostra bellissima Enotria tellus.
Singolare storia, quella di questo Campo Vecchio bianco 2002, Lazio Igt, che la Castel de Paolis della famiglia Santarelli, con la consulenza intelligente e non invasiva dell’enologo Franco Bernabei, produce nella sua cantina di Grottaferrata, alternando un doppio registro, il rispetto delle tradizioni locali, esemplificato dai Frascati, e la sperimentazione, che oggi in terra laziale è particolarmente vivace, mediante l’introduzione di uve internazionali quali Syrah, Merlot, Cabernet, Petit Verdot, Viognier.

Fino all’annata 2001 questo vino si presentava, ottemperando fedelmente a quanto prescritto dal disciplinare di produzione, come Frascati Doc. Dall'annata 2002, una volta presa la decisione aziendale di farvi confluire tutti i vitigni autoctoni presenti in azienda in percentuale libera, e non più rispettando il disciplinare della Doc Frascati, che prescrive rigidamente “Malvasia bianca di Candia e Trebbiano toscano, da soli o congiuntamente, in misura non inferiore al 70 per cento, e poi Greco e Malvasia del Lazio fino al 30 per cento”, con una possibilità di altri vitigni a frutto bianco raccomandati e autorizzati in provincia di Roma, fino ad un massimo del 10 per cento, il vino ha dovuto confluire nella Igt Lazio. Questo nonostante all’atto pratico il Campo Vecchio, paradossalmente, rispecchi ancor di più il territorio, in quanto vi confluiscono la Malvasia del Lazio, Trebbiano Giallo, Bombino bianco, Grechetto, Bellone o Cacchione, Bonvino, Romanesca e Passerina.

Un vero Frascati, dunque, anche se del Frascati in etichetta non porta il nome sostituito dalla ben più generica e significativa dizione Igt Lazio. Comunque si chiami, il vino, con la sua calibrata miscela d’uve non solo autoctone, ma addirittura al profumo d’Arcadia vinicola, e caratterizzate da nomi che provocheranno sicuramente nei laudatores della modernità a tutti i costi come minimo un’alzata di spalle e un sospiro di sufficienza, è un vino da non prendere sottogamba. E al quale riservare la stessa considerazione che non lesiniamo, giustamente, al Vigna Adriana, (Malvasia puntinata, ma un pizzico di Viognier e di Sauvignon), e al rosso Syrah-bordolese I Quattro Mori. Data la complessità dell’uvaggio, che prevede un così vasto numero di vitigni, la gestione del vigneto è particolarmente importante, e difatti la raccolta avviene in ben tre fasi, tra l'ultima settimana di Settembre e le prime due di Ottobre a secondo del grado di maturazione delle diverse varietà. La vinificazione in bianco, con fermentazione per dieci giorni ad una temperatura da 12 a 18 gradi mediante serbatoi in acciaio inox termoregolati è quanto di più tranquillo e di meno sperimentale si possa pensare.

Il risultato è un vino dal colore paglierino verdognolo brillante molto luminoso, dall’ampio bouquet aromatico fresco, fragrante molto piacevole e aperto, con note di frutta matura (mela, banana, pesca noce) che si alternano a sfumature di fiori bianchi, vaniglia e lavanda. L’attacco è deciso e intenso, con una bella ampiezza e morbidezza al gusto, una bella materia ricca e fruttata, molto piacevole, che riempie bene la bocca con una notevole consistenza e ricchezza e una nota di mandorla molto precisa che regala sapidità e persistenza ed un finale nervoso. Che dire? Un vino di bella personalità e di grande equilibrio, che alterna freschezza aromatica, dolcezza d’espressione, e che si fa bere con molto piacere, per di più costando il giusto. Sarà forse per questo che le guide, anche quelle che dicono di proporre i vini “che parlano la tua lingua”, non se lo filano?

fziliani@winereport.com

16 marzo 2004

Azienda agricola Castel de Paolis, via Val De Paolis 00046 Grottaferrata RM
tel.06.941.36.48 fax 06.94.31.60.25. info@casteldepaolis.it. www.casteldepaolis.it  Prezzo: 7,5 euro

 

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