La “Dalia Nera” tradita da De Palma
di Giampiero Ricci
[04 ott 06]

“Sì, sono un grande moralista. Sono un protestante del midwest che odia Bill Clinton, un moralista che teme Dio. E’ difficile da credere visti i libri che scrivo, ma il senso morale della narrativa consiste nel mostrare le orribili conseguenze di un atto immorale e il prezzo karmico che le persone pagano per averlo perpetrato”. James Ellroy nasce a Los Angeles nel 1948, bambino, perde la madre in un delitto a sfondo sessuale tuttora irrisolto, spende la sua vita dissolutamente, finisce in carcere dove illuminato dalla lettura di romanzi polizieschi esce dal tunnel in cui si è cacciato per andare incontro alla letteratura come ad una vocazione. Il lavoro che gli permette di salire all’attenzione del grande pubblico è un romanzo apertamente, anche nel titolo, ispirato ad un altro omicidio irrisolto, avvenuto proprio vicino alla sua abitazione e salito alla ribalta della cronaca come il caso della “Dalia Nera”. La “Dalia Nera” proietta di nuovo Ellroy nella tragica vicenda della madre e ispira il primo tra i quattro romanzi della celebre saga sulla città degli angeli (“Dalia Nera”, “Il Grande Nulla”, “L.A. Confidential”, “White Jazz”), rappresentando per gli anni Ottanta una vera e propria rinascita dell’epica contemporanea attraverso una lettura originale e spudorata dell’ossessione metropolitana.

Il libro e il film raccontano di due poliziotti, ex pugili, Lee Blanchard e Bucky Bleichert che indagano sul delitto la “Dalia Nera”, al secolo Betty Ann Short, sfortunata attrice uccisa e mutilata orribilmente, i cui resti vengono abbandonati in mezzo alla strada. Mentre Blanchard rimane travolto da vecchi scheletri nell’armadio, dal morboso e torbido sfondo dell’orrendo delitto, arrivando al punto di mettere in crisi il suo rapporto con la sua donna, Bleichert rimane coinvolto in un’oscura storia di sesso con Madeleine Linscott, figlia di uno degli uomini più importanti della città, che si rivela legata alla vittima. Brian De Palma porta la “Dalia Nera” sul grande schermo con protagonisti Josh Hartnett, Aaron Echart, Scarlett Johansson, Hilary Swank e Mia Kirshner. Il regista di “Carlito’s way”, “Gli intoccabili”, “Omicidio a luci rosse” riesce però solamente nel finale a restituire l’anima del romanzo di Ellroy, restando probabilmente vittima di un casting troppo attento a logiche da rivista patinata.

Il tocco del regista è sempre ispirato, i piani sequenza sono sempre perfetti, alla De Palma ma, sotto molti punti di vista, il film risulta incompleto: prova ne sia la resa scadente della stessa ambientazione, forse per una fotografia non impeccabile; i costumi sono curati ma vuoti tanto da far pensare durante le risse e le scene degli scontri per le strade, di assistere ad un balletto più che ad una Los Angeles che esplode. E’ lei L.A. la vera protagonista in ogni parola scritta da Ellroy, senza L.A. il castello della mitologia immancabilmente crolla. “Il centro di Los Angeles era deserto, come se si fosse improvvisamente addormentato dopo una sbronza. In effetti, gli unici cittadini in vista erano gli alcolizzati in fila per la loro tazza di caffé alla Union Rescue Mission. Parecchie automobili erano parcheggiate irregolarmente, con i paraurti ammaccati che si toccavano, di fronte agli alberghi a ore della South Main. Dalle finestre pendevano festoni fradici di stelle filanti, che imbrattavano anche i marciapiedi. Il sole che cominciava a far capolino sopra il bacino orientale sapeva di caldo, di vapore e di emicrania. Mal si diresse in auto verso il Pacific Dining Car, augurandosi che il primo giorno del decennio finisse alla svelta.” (“Il Grande Nulla”, Mondadori).

Quella di Ellroy è una L.A. viscerale che nasce dalla corruzione dei costumi, propinata da cinema e TV come fosse progresso. Hollywood è una perfetta metafora di questa decadenza senza via d’uscita. Nel suo ultimo romanzo “Jungletown Jihad” (2006, Bompiani) il maestro del noir tornerà ancora a nella sua città per mandare contro la Hollywood dei giorni nostri un destrorso detective della squadra Crimini Irrisolti della Polizia di Los Angeles: obiettivo sventare un attentato suicida all’interno dello Spago nel dopo serata degli Oscar hollywoodiani. Ellroy si diverte creando un personaggio che incarna in pieno il fanatico estremista di destra americano tutto muscoli, pregiudizi, retaggi post-vietnam e nostalgie reganiane (sebbene guai a chi tocchi anche George W. Bush). L’antieroe di Ellory è innamorato di una starlet ultrasiliconata di terza categoria, detesta la corruzione che la morale del politically correct ha insinuato nel paese, è emotivamente sbandato e con una visione distorta del proprio ruolo di poliziotto: per la Left Coast praticamente l’immagine precisa di tutto ciò che di aberrante c’è nella Right Coast. Esilarante il finale dove il protagonista disgustato dalla notte degli Oscar arriva anche a chiedersi se sia veramente giusto che venga sventato l’attentato: il paese sarebbe meglio o peggio senza tutta quel nulla. E’ incredibile come la critica italiana abbia trovato nell’opera di Ellroy un altro luogo deputato a sbugiardare una cultura della violenza stimolata dai dettami dell’ipercapitalismo. Al di là di letture di parte, bastano le sue parole: “Io amo gli Stati Uniti d’America di oggi e credo che stiano seguendo in tutti i campi una strada positiva”.

04 ottobre 2006

 

 


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