Il tempo circolare secondo Castellitto
di Paolo Passaro

“Non ti muovere”. Dice Timoteo, il protagonista dell’ultimo importante film di Castellitto – regista e splendido interprete della trasposizione cinematografica del romanzo di Margaret Mazzantini. La frase racchiude in sé tutta l’essenza del racconto e ne costituisce il cardine intorno al quale implode la falsità degli ipocriti rapporti nell’esistenza di Timoteo, lucidamente e amaramente percepita, con l’effetto che avrebbe un buco nero astrale: così denso da assorbire la luce. La trama del racconto, esplosa per immagini, per quanto sapientemente costruita è solo un velo, appena trasparente. Nel film non vi è solo la rappresentazione della commedia della vita nei suoi piccoli quanto grandi misfatti, nelle sue bugie, nelle sue verità. Attraverso il tragitto di dolore di Timoteo che, angosciato aspetta che la figlia possa uscire viva dalla sala operatoria, ognuno può vedere il proprio percorso e, se vuole, aprire una finestra dell’anima verso il senso della ricerca. La ricerca vera: in noi stessi, nel labirinto inestricabile della psiche.

Forse non è il caso di scomodare Baudelaire – l’uomo e il mare – il confronto tra gli abissi marini, spaventosi, e quelli ancora più terribili, insondabili, dell’animo umano, ma il tema è sempre presente. Alla stregua dello sguardo spaventato di chi si affacci sull’orlo di un abisso, la ricerca dà un senso di profonda vertigine. Dietro le pareti sottili che ognuno si costruisce, a difesa del proprio piccolo mondo interiore, si apre il precipizio, l’orrido nel quale si è tentati di lasciarsi cadere. E nello stesso modo in cui terrorizzati ci si ritrae dalla vista di un profondissimo dirupo, Timoteo si ritrae in una fuga negli anfratti della memoria. Nell’angoscia di perdere la figlia rivive il dolore, provato tanti anni prima, di aver perso la persona a lui più cara: una giovane ragazza, derelitta, povera, emarginata e fragile, alla quale si era legato in un disperato tentativo di essere se stesso, di dare un senso alla sua ricerca. Il rapporto con questa persona, esasperato, violento ma dolce nello stesso tempo, è l’archetipo dell’angoscioso bisogno di trovare amore, la parte di sé che si è smarrita, anche laddove mai si sarebbe immaginato che fosse.

E’ il concetto ontologico della preesistenza dell’energia che governa la vita di noi, piccoli esseri umani. “Le persone che amiamo” – dice Timoteo – “ci sono prima di noi e ci saranno dopo di noi”. Quindi, non vi è nulla da inventare ma solo da cercare, da scoprire. Gli estremi si appartengono: la bellezza più radiosa, quella dell’anima, può essere racchiusa anche all’interno di corpi sgraziati e situazioni derelitte; mentre il freddo del vuoto spirituale, l’assenza, l’incapacità di percepire gli altri come persone, possono caratterizzare individui, uomini e donne, esteriormente belle e colme di ricchezza. Nella rincorsa tra passato e presente, che la regia di Castellitto riesce impeccabilmente a rendere per immagini, emerge una visione circolare del tempo che procede attraverso cerchi infiniti che si chiudono dopo amplissime volute nelle quali ci si può smarrire se non si è compreso il senso ultimo delle cose e del viaggio che si affronta: cercare noi stessi nel profondo.

30 aprile 2004

paolo.passaro@libero.it
 

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