Lirica, l’amore al tempo della
rivoluzione
di Giuseppe Pennisi
L’Opera di Roma sembra si stia ispirando al Lirico di Cagliari che
da piccolo teatro regionale ha assurto dimensioni internazionale
utilizzando le inaugurazioni per “prime”, a volte mondiali a volte
italiane, di lavori mai rappresentanti. Senza dubbio, la prima
mondiale di “Marie Victoire” di Ottorino Respighi avvenuta al
Costanzi il 27 dicembre è stato uno dei grandi avvenimenti
dell’anno operistico. Platea e palchi erano affollati pure da
critici stranieri; la stampa internazionale (anche quella non
specializzata) la preannunciava da circa un mese. “Marie Victoire”
è stata composta nel 1913-14 ma non venne mai messa in scena
(nonostante se ne possano vedere le locandine stampate nel 1915)
per dissidi tra il compositore, da un lato, e l’editore ed maestro
concertatore scelto per l’evento, dall’altro. La arzigogolata
vicenda “à sauvetage” tratta dell’amore in tempi di rivoluzione e
spazia dell’epoca tra il Terrore ed il periodo napoleonico. Verte
sulla virtù che cede quando sa di essere in punto di morte ma si
riscatta con dolore e confessione; la vicenda principale è
inzeppata da vicende secondarie (tradimenti e imbrogli vari) che
ne renderebbero difficile la comprensione anche con una regia
tradizional-didascalica (quali quelle prevalenti negli anni in cui
venne composta).
Nell’allestimento sontuoso di Hugo De Hana viene rappresentata in
una stazione ferroviaria del 1913 (anno della messa in scena del
drammone di Edmond Guiraud su cui è basata) dove una compagnia di
teatranti, trovatone quasi per caso il testo, lo mette in scena
tra binari e locomotive: l’idea di passaggio tra antico e (quasi)
moderno è suggestiva, ma si scontra con aspetti della partitura
(ad esempio le “chansons” settecentesche) che rendono quanto
avviene sul palcoscenico del tutto inintelligibile. Al solito, De
Hana mette, specialmente nel secondo atto, più di un pizzico di
sesso, ed ovviamente anche di omo-sesso, nonostante non c’entrino
nulla né con il libretto né con la musica. In breve, “Marie
Victoire” arriva in treno al Teatro dell’Opera. E vi arriva
doppiamente in ritardo: inizialmente la sua “prima” era
programmata per il Carnevale 1915 ma saltò in quanto Respighi non
era soddisfatto né del direttore d’orchestra né dell’editore;
riprogrammata per il 23 gennaio deve essere intoppata poiché è
slittata al 27 gennaio. Musicalmente parlando, siamo in bilico tra
impressionismo ed espressionismo filtrati attraverso l’esperienza
pucciniana, specialmente delle opere più mature come “La fanciulla
del West”.
Importantissimo il ruolo del coro e dell’orchestra (che ha il
sopravvento sulla scrittura vocale). In effetti, l’aspetto più
interessante è la ricca orchestrazione, specialmente marcata nella
seconda metà del secondo atto ma anche negli atti finali).
Respighi era, con Puccini e Busoni, il solo compositore dell’epoca
con respiro europeo. Unitamente a Busoni interpretava la
dimensione della rivoluzione apportata da Debussy e anticipava
l’espressionismo. L’orchestra, concertata da Gianluigi Gelmetti,
ha fornito una grande prova nell’entrare negli antri più segreti
della partitura quasi con pudore, per non fare avvertire al
pubblico quanto è meno raffinata (in generale) la scrittura
vocale. Nelly Miricioiu sostiene con energia e passione il ruolo
di Marie Victoire. Alberto Gazale (di gran lunga il migliore) è un
Maurice tenerissimo. Giorgio Surian un Cloteau da libro “Cuore”.
Alberto Cupido (Clorivière) è il tenorone di cui conosciamo pregi
e difetti.
2 febbraio 2004
gi.pennisi@agora.it
|