Montezemolo: soluzioni e scorciatoie
di Mario Seminerio*
[30 mag 05]

Tra le pieghe della torrenziale requisitoria compiuta da Luca Cordero di Montezemolo all’assemblea annuale di Confindustria, tutta improntata alla strenua difesa dell’imprenditoria italiana e dei suoi atrofizzati animal spirits, si segnala il grido di dolore sull’Irap, che va abolita d’urgenza per recuperare competitività. In sala, un diligente Romano Prodi prende appunti. Al termine della relazione di Montezemolo, il Professore scolpisce:

«La relazione di Montezemolo è forte e bella. Non ha nascosto i problemi del paese. È però responsabilità della classe politica di questo paese essere uniti. E proprio per questo – ha continuato il Professore - ho chiesto l’unità dell’Ulivo. La sua forza è indispensabile per salvare l’Italia».

Prodi, si sa, non sta attraversando un bel periodo. Durante il suo viaggio da premier in pectore in Cina e Russia, ha ricevuto la feral notizia che la stragrande maggioranza della Margherita dissente dalla sua strategia di assimilazione forzosa e forzata al grande carro rosso fuoco di Bertinotti & co., così come dissente dai piani di egemonia diessina sulla coalizione disunionista, anche se parlare di egemonia suona un po’ come un wishful thinking, perché il buon Fassino sta in realtà combattendo la battaglia della vita per impedire al Correntone di travolgerlo. Ma Prodi, la cui monotematicità inizia a diventare preoccupante riesce, con un’impeccabile torsione, a parlare del listone ulivista negli abituali termini moralistici e salvifici (“la sua forza è indispensabile per salvare l’Italia”) e a dare ragione a LCdM anche sull’Irap, la famigerata imposta introdotta dal suo governo nel 1997, ministro delle Finanze il diessino Vincenzo Visco.

Un’imposta bocciata dall’Unione Europea perché di fatto riproduce, come base imponibile, quella utilizzata per l’Iva, rappresentando un doppione mortale per la competitività delle aziende italiane. Prodi e Visco decisero, all’epoca, di puntellare la convergenza della lira all’Euro non attraverso liberalizzazioni, tagli di spesa e riforme del mercato del lavoro, bensì per mezzo di una gigantesca spremuta fiscale, con relativo blocco degli investimenti pubblici e del tiraggio di tesoreria, con buona pace degli enti locali che ora gemono di non essere in grado nemmeno di fornire l’illuminazione pubblica stradale ed il riscaldamento agli asili durante l’inverno. A tale ricetta illiberista ed illiberale, Prodi mise poi il carico finale di finte privatizzazioni, avvenute senza aprire preliminarmente i mercati alla concorrenza e consegnò, ai nostri audaci imprenditori, monopoli pubblici trasformati in monopoli privati.Il Professore, quindi, riesce contemporaneamente ad associarsi all’analisi di Montezemolo e a dissociarsi da se stesso e dal suo precedente governo.

Per inciso, se fossimo degli inguaribili demagoghi, potremmo ricordare a LCdM che è esteticamente sgradevole vedere gli ultimi spot Fiat, che olezzano di muffa autarchica, e apprendere dai giornali che, dopo aver ucciso Arese, essere a buon punto per l’eutanasia di Mirafiori e Cassino, con Melfi che ha la febbre alta (bisarche a parte), Fiat potenzia gli impianti polacchi e sta per avviarne uno in quell’Iran dove i diritti civili (sindacali inclusi) restano un’optional, come il climatizzatore sulla Stilo. Ma noi siamo liberisti, non demagoghi, categoria a cui sembra invece appartenere il senatore Nania (An) che ieri ha chiesto (a titolo rigorosamente personale, ça va sans dire) di affrontare il tema della fuoriuscita dell’Italia dall’euro o di una sua “ricontrattazione”. Ma tant’è, i primi caldi e l’unica emergenza che questa classe politica sembra percepire distintamente, quella elettorale, creano anche questi effetti.

Riteniamo poi utile segnalare il Rapporto Annuale Istat relativo al 2004, pubblicato mercoledì 25 maggio, e che è stato largamente frainteso e/o manipolato dai soliti censori progressisti. Il Rapporto evidenzia le radici profonde dell’attuale crisi economica, da ricondurre principalmente al rallentamento della produttività del lavoro, che in media annua è cresciuta nell’ultimo decennio appena dello 0,5% rispetto all’1,4% dell’Ue-25, e alla crescente difficoltà sui mercati esteri. Durante gli anni Novanta, la quota complessiva dell’Italia sull’export mondiale ha raggiunto infatti il massimo (4.7%) nel 1996 (anno d’insediamento del governo Prodi e dell’inizio della convergenza italiana all’euro, ndr) per poi diminuire con regolarità, fino al 3,7% del 2004, perdendo nel periodo circa un quarto del suo valore potenziale.

La crescita della produttività del lavoro, come noto, è legata anche al tasso d’investimento: sia di quello finalizzato a sostituire capitale a lavoro, quando quest’ultimo è eccessivamente oneroso, sia quello frutto di ricerca e sviluppo. Come evidenzia l’Istat, le tanto esaltate Pmi hanno rilevanti difficoltà sotto il profilo delle esportazioni e, soprattutto le microimprese, quelle sotto i dieci addetti, non fanno ricerca e sviluppo. Alcuni indicatori della propensione all’innovazione da parte delle imprese italiane, quali il numero di brevetti di prodotti high tech per milione di abitanti e l’incidenza sul prodotto interno lordo della spesa in ricerca e sviluppo, rispetto alla media della Ue a 25 membri, ci vedono poi largamente soccombenti.

La sintesi del presidente dell’Istat, Biggeri, è illuminante:

"Quelle che ci appaiono difficoltà congiunturali - ha ribadito il presidente dell’Istat Luigi Biggeri - sono imputabili all’emergere di movimenti di lungo periodo, che maturano da almeno un decennio e non da oggi e che derivano da situazioni strutturali che non sono state affrontate adeguatamente. Per questo la mia sintesi si intitola non a caso ‘Dare risposte ai cambiamenti’".

E proprio questa considerazione è stata largamente sottaciuta dai media, perché evidentemente dissonante rispetto al mantra del deterioramento strutturale dell’economia italiana, che si sarebbe sviluppato tutto ed esclusivamente nell’ultimo quadriennio. Ma i cospirazionisti troveranno il modo di dire che l’Istat manipola i dati ad uso e consumo governativo, e non è affidabile come l’Eurispes, quello che vedeva in doppia cifra l’inflazione percepita, senza tuttavia fare troppa disclosure sulle proprie metodologie di rilevazione, molto spesso frutto di semplici modifiche ai pesi delle singole voci di spesa del paniere rappresentativo dell’inflazione. I peccati d’omissione dell’attuale governo restano tutti in piedi, ma la lista delle cose da fare è piuttosto ben delineata. Al premier la volontà politica di procedere, pur con una ciurma sempre prossima all’ammutinamento elettoralistico e ad ipocriti e tartufeschi distinguo.

30 maggio 2005

* Mario Seminerio è il titolare del blog Phastidio


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