Unione europea: superare Lisbona
intervista a Massimo Lo Cicero di
Cristiana Vivenzio
[31 mar 05]
“Il presente dell’economia europea non è in linea con il timido
ottimismo che circolava alla fine del 2004: quando gli
osservatori internazionali ritenevano che, superati quattro
lunghi anni di stagnazione della crescita, l’economia del
vecchio continente potesse rimettersi in movimento”. Sono parole
di Massimo Lo Cicero, economista, professore di Politica
economica all’Università di Tor Vergata a Roma, firma di punta
di Emporion e del Riformista. Un’affermazione che trova
riscontro nei fatti, e soprattutto nei dati economici. “In
effetti, un quadro affidabile di queste preoccupazioni appare
nella diagnosi tracciata da Jean-Philippe Cotis, il capo degli
economisti dell’Oecd, nel febbraio del 2005. Nel 2004 l’economia
degli Stati Uniti cresce al 4,45, quella del Giappone solo al
2,66 per cento, quella europea raggiunge un tasso di crescita di
1,8 per cento. Ma mentre il Regno Unito cresce al 3,3 per cento
la Germania cresce solo all’1,1 per cento; l’economia italiana
si adegua al passo della Germania e non a quello del Regno
Unito.
Un quadro a dir poco preoccupante...
Preoccupano in questo caso tre circostanze. le incognite sulle
dinamiche a breve del costo del petrolio; una tiepida fiducia,
forse addirittura declinante, verso il futuro da parte delle
famiglie e delle imprese; la fragilità finanziaria delle
amministrazioni pubbliche in molti paesi europei. La previsione
sui primi due trimestri del 2005 conferma, in definitiva, il
divario nel tasso di crescita accusato dall’economia europea
rispetto a quella americana. Trimestre su trimestre, rispetto
all’anno precedente, la prima cresce di 0,5 per cento e la
seconda dell’uno per cento. Di questo passo la distanza tra le
due sponde dell’atlantico rischia di allargarsi, in termini di
benessere.
E l’Europa come continua a rispondere ad
un divario che invece di ridursi sembra sempre più incolmabile?
L’Europa intende reagire a questa situazione ed i capisaldi
della sua nuova strategia si trovano in alcuni documenti molto
importanti che sono stati redatti nell’ultimo anno: a cavallo
del passaggio tra la presidenza Prodi e quella Barroso alla
guida della Commissione europea. I binari fondamentali di quella
strategia sono i principi che furono affermati a Goteborg ed a
Lisbona, ma rivisitati ed assestati. Sia nel terzo rapporto
sulle politiche di coesione, presentato nel febbraio 2004 da
Michel Barnier – allora commissario europeo ma che è diventato
poi ministro degli Esteri in Francia – sia nei primi discorsi
tenuti da Barroso, dopo il suo insediamento alla guida della
Commissione. Il nuovo presidente ha esposto la sua
interpretazione della strategia europea in gennaio, di fronte al
Parlamento, e ne ha precisato i contorni in marzo di fronte alla
Commissione.
Ma in concreto su che cosa si baserà la
nuova strategia europea?
I nuovi cardini della politica europea sembrano essere tre:
convergenza, competitività regionale ed aumento
dell’occupazione, cooperazione territoriale europea. Ma questo
elenco suggerisce una prospettiva di continuità con il passato
mentre si viene affermando un certo cambiamento di ottica che
potrebbe avviare trasformazioni profonde nelle politiche che, a
cascata, le varie nazioni europee finiranno per adottare nel
nuovo corso che si va delineando.
Un nuovo corso che però, inevitabilmente,
dovrà tener conto dei vecchi problemi da affrontare.
Rimangono i problemi di bilancio, anche su scala europea. Come
sempre esiste un conflitto tra la politica agraria e la politica
di sviluppo e coesione, quella che deve promuovere l’efficienza
della crescita e l’equità della redistribuzione del benessere,
cioè dei vantaggi diffusi che possono essere finanziati dalla
crescita. Ci sono problemi di priorità nell’allocazione di
queste risorse che tendono a diventare più scarse: alcuni, ad
esempio la Gran Bretagna, preferirebbero affrontare decisamente
il divario tra i paesi dell’est ed i paesi dell’ovest europeo:
premiando i primi che, tra l’altro, presentano rapidi tassi di
crescita e potrebbero essere un mercato utile per i paesi, più
lenti, dell’area orientale. Certamente il candidato naturale a
questa funzione di rimorchio dello sviluppo orientale sarebbe la
Germania che, trainata dalla crescita dei paesi ex socialisti,
potrebbe tornare ad essere il centro del processo di
accumulazione industriale europeo. Il terzo rapporto sulle
politiche di coesione assume, nel febbraio 2004, una posizione
equilibrata su queste alternative: indicando nel 2011 l’anno nel
quale, in percentuale sul Pil europeo, la massa degli aiuti ai
paesi dell’Est dovrà essere superiore alla massa erogabile alle
regioni deboli dei paesi dell’Ovest, ovviamente solo nell’ambito
delle politiche di coesione. Bisogna, però ricordare, che
Francia e Germania, ed in certa parte anche il nostro paese,
sono i principali beneficiari degli aiuti disciplinati dalla
politica agraria. Nelle dichiarazioni di Barroso si può leggere
anche una terza tipologia di variazioni rispetto all’impianto
della strategia europea cui ci aveva abituato la presidenza
Prodi.
Che tipo di cambiamento di strategia?
Si tratta della diversa interpretazione del medesimo obiettivo –
rappresentato da una crescita che si fonda sulla valorizzazione
delle conoscenze e del capitale umano in generale e si realizza
nel rispetto dell’ambiente e nella sua conservazione – che si
legge lungo tre direzioni. Prevalgono i temi di carattere
settoriale, le grandi scelte e le opzioni di livello
continentale, rispetto ai temi di carattere locale che
enfatizzano come radice della crescita i sistemi economici
diffusi sul territorio. Prende corpo una certa attenzione per
l’impatto della globalizzazione, e della crescita che essa
attiva nel “far east”, in Asia e nell’America Latina,
sull’economia europea. L’economia europea, insomma, non viene
più considerata come un grande sistema chiuso, al quale si deve
dare uno scheletro infrastrutturale perché le sue varie regioni
e comunità locali possano meglio integrarsi tra loro.
E come viene vista, allora?
Come un sistema aperto agli scambi interni ma aperto anche alla
relazione con le altre economie regionali del mondo. Il valore
strategico della competitività nasce da questa prospettiva: solo
chi vive in un ambiente competitivo regge l’urto della
concorrenza che la globalizzazione attiva negli scambi
internazionali. L’efficienza indotta dalla competizione, e non
solo quella promossa dalla valorizzazione delle conoscenze e del
capitale umano, diventa la molla capace di spingere l’Europa
sulla strada della crescita.
Competizione e valorizzazione delle
conoscenze e del capitale umano: una doppia ricetta per favorire
la crescita. Ma a suo avviso è sufficiente?
Si potrebbe allungare e diversificare il sistema dei
trasferimenti finanziari che collega il bilancio di Bruxelles
alle politiche nazionali. Il cambiamento riguarderebbe sia la
modalità dei trasferimenti che la loro gestione. Da un parte,
condividendo un metodo che l’Italia ha adottato da sempre, viene
enfatizzato il regime di cofinanziamento: bisogna realizzare
investimenti che siano supportati sia da fondi pubblici
nazionali che da fondi europei. Quel regime viene integrato
dalla richiesta di far convergere anche fondi privati, raccolti
sui mercati finanziari, verso la creazione di infrastrutture e
beni pubblici. E, di conseguenza, si fa strada l’idea di dare
vita anche ad intermediari, trasversali rispetto al settore
privato ed al settore pubblico, che siano capaci di realizzare
questo ponte tra finanza pubblica e finanza privata. L’idea di
fondo è che la globalizzazione può generare tensioni commerciali
tra i paesi ma offre anche opportunità finanziarie: perché il
risparmio mondiale supporti investimenti nazionali, meritevoli
di credito in quanto capaci di rimborsare quei prestiti. Da
questi tre ripensamenti nasce l’esigenza di creare, negli anni
che ci separano dal 2007 – quando inizierà il nuovo ciclo delle
politiche, che si concluderà nel 2013 – un “quadro strategico
nazionale” (Qsn) che colleghi quello che è stato fatto, in
termini di investimenti e strategie per aumentare la capacità
competitiva delle economie nazionale nel periodo 2000/2006 con
quello che si vuole fare nel periodo successivo. Questo raccordo
servirà per rafforzare l’efficacia degli interventi futuri,
saldandoli meglio alla stagione precedente.
E questa iniziativa che tipo di
conseguenze produrrà sui paesi paesi membri dell’Ue?
Questo raccordo costringerà i singoli paesi, aderenti all’Unione
Europea, ad indicare prima quali siano i loro obiettivi di
crescita e la propria politica degli investimenti. I governi
dovranno pronunciarsi su come arrivare ai traguardi di Lisbona.
Barroso, infatti, chiede che in ogni Governo, anche senza
disporre di un portafoglio, possa sedere un ministro che abbia
il compito di ricordare agli altri la coerenza necessaria con
quegli obiettivi di fondo. Una sorta di “mister Lisbona” per
ogni paese. Individuati gli obiettivi bisognerà dire come si
realizzano, con quale combinazione di fondi pubblici, nazionali
ed europei, ed anche raccolti sui mercati finanziari. Dunque non
si dovrà programmare solo l’uso delle risorse europee ma
formulare vere strategie di investimento e gestire la loro
realizzazione in termini di strutture finanziarie complesse. Il
lavoro delle regioni italiane, come quello degli enti locali in
ogni paese europeo, diventerà più difficile ma anche più
stimolante. E gli elettori avranno una misura più precisa delle
capacità di governo delle classi dirigenti locali
31 marzo 2005
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