La lunga strada del soccorso pubblico Fiat
di Vittorio Mathieu
[25 feb 05]

Qualunque aiuto il governo italiano continui a dare al gruppo Fiat, si tratterà di un aiuto diverso dai tradizionali. Giovanni Agnelli senior unì le sue fortune a quelle dell’Italia durante la prima guerra mondiale, in cui la grande industria ebbe per tutti i belligeranti un’importanza decisiva. Poi importò il fordismo in Italia con la Balilla. Seppe resistere alla grande crisi (ricordo una canzone udita da bambino:"Viva la Fiat che non si chiude mai”). Collaborò alla guerra di Etiopia e, attraverso Vittorio Valletta (il Senatore si era ormai ritirato alla clinica Sanatrix), al sabotaggio dello sforzo bellico tedesco durante la Repubblica sociale. Poi la Fiat seppe far fronte a più di una crisi: a volte grazie ai suoi amministratori, a volte grazie ai celebri “quadri” che sfilarono per le vie di Torino uniti a gruppi crescenti di popolazione.

Ma non tutte le misure prese per far fronte alle difficoltà dell’auto (divenuta, o un prodotto raffinato per ricchi, o un manufatto di mano d’opera a basso costo) sono state sagge. Né è di consolazione che non fossero migliori quelle della General Motors. Nuovi impianti nel Mezzogiorno sono lodevoli ma, probabilmente, per produzioni molto più avveniristiche che l’auto. E il pagamento della rottamazione da parte dello Stato è divenuto proverbiale come palliativo per moribondi. L’aiuto politico probabilmente c’è stato per risolvere la crisi con la GM e potrà esserci ancora, a patto di differenziarsi sostanzialmente da quella contaminazione di impresa privata e amministrazione statale che è già durata troppo, sotto il termine ambiguo di “terza via”.

25 febbraio 2005

 

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