Fiat-GM: vecchi problemi, nuove possibilità
di Alessandro Marrone
[21 feb 05]

La Fiat ha concluso pochi giorni fa l’accordo che sancisce la fine dell’alleanza con General Motors, e ne ha ricavato una liquidazione di 2 miliardi di dollari, pari a 1.55 miliardi di euro. Ma perché la GM ha staccato questo assegno alla casa torinese? Nel 2000 la Fiat, guidata dall’amministratore delegato Fresco e su volontà di Gianni Agnelli strinse un accordo strategico con la casa di Detroit che prevedeva tre punti principali: lo scambio del 20% delle azioni Fiat con il 5% delle azioni GM; il diritto per Fiat di vendere il restante 80% delle proprie azioni dal 2005 e l’obbligo per gli americani di comprarle; vari livelli di collaborazione a livello industriale e di ricerca, con l’apertura di diversi stabilimenti in joint-venture. Nei quattro anni seguenti molte cose sono cambiate a Torino. La Fiat ha continuato la decennale diminuzione di quota di mercato in Europa, scesa dal 13% del 2000 all’attuale 7%; la perdita di competitività e di fiducia sulle prospettive future si è riflessa sul titolo in Borsa, il cui valore è crollato dai 32,6 euro del marzo 2000 ai 5,9 del giorno precedente l’accordo.

La Fiat ha vissuto inoltre una dura crisi finanziaria, arginata solo dal maxi prestito di 3 miliardi di euro da parte di un gruppo di banche italiane nel 2002. Ha finalmente affrontato il deficit strutturale riuscendo a riportare le perdite del settore auto sotto controllo, dai 3,9 miliardi di euro del 2003 ai 900 milioni dei primi 9 mesi del 2004, tramite mobilità e cassa integrazione, a prezzo di duri scontri sociali come per lo stabilimento di Termini Imerese. La morte di Gianni e Umberto Agnelli ha disorientato il management, e quasi ha simboleggiato questo grave momento vissuto dall’azienda. Di fronte a tale situazione la General Motors ha preferito pagare 2 miliardi di dollari subito e lasciare la Fiat, piuttosto che accollarsi costi certamente superiori per la ristrutturazione di una impresa così improduttiva. L’amministratore delegato Fiat Marchionne, che ha condotto le trattative, ha ricevuto il plauso del management e dell’opinione pubblica per aver sfruttato questa situazione ricavando il massimo profitto finanziario e industriale per la Fiat, persino oltre le più rosee attese.

Management, sindacati, governo, e l’opinione pubblica in generale, hanno accolto con favore la notizia dell’accordo, sottolineando in particolare tre aspetti positivi: la boccata d’ossigeno per le casse della Fiat che questo introito assicura; il ritorno del controllo dell’azienda in mani esclusivamente italiane; la ritrovata possibilità d’azione per stringere nuove alleanze con le altre case automobilistiche internazionali. Gli esponenti politici e gli opinionisti più benevoli con la Fiat hanno considerato questo accordo un successo del management, un segno di vitalità dell’azienda, un punto di svolta rispetto al passato. Pochi hanno sottolineato che la GM ha pagato 2 miliardi di dollari non per quanto vale la Fiat, ma per quanto non vale: cioè per evitare il peso di un’azienda da anni strutturalmente in perdita.

Alla base dell’accordo c’è quindi il peggioramento dello stato della Fiat e non il suo miglioramento. È considerabile questo un successo per chi ha gestito l’azienda negli ultimi 5-10 anni? È oggettivamente vero che questo accordo è un nuovo punto di partenza, nel senso che ora il management attuale ha la completa libertà, e quindi la completa responsabilità, delle scelte strategiche di lungo periodo dell’azienda. Queste scelte dovranno fare i conti con un contesto che non è più quello di trent’anni fa: l’offerta sul mercato dell’auto eccede la domanda, tanto che per ogni 60 auto comprate se ne potrebbero produrre 100; le barriere nazionali non riescono più a impedire la concorrenza straniera, persino nell’iperprotetto mercato italiano; l’innovazione tecnologica ha enormemente accelerato il suo corso; si lanciano sempre più velocemente nuovi modelli automobilistici destinati a specifici segmenti del mercato.

In questa nuova logica non è utile né praticabile una qualche forma di aiuto statale, tipo la “rottamazione” operata dal governo Prodi che ebbe il solo effetto di rinviare i conti con la realtà, e quindi di aggravarla. Può essere invece un passo importante la costruzione di un polo del lusso con i marchi Alfa e Maserati. Ma il vero punto nodale è la riduzione delle perdite, e quindi dei costi, del settore auto, accompagnato un aumento delle vendite possibile solo con un radicale rinnovo dell’offerta Fiat che in merito ha annunciato il lancio da qui al 2007 di 27 nuovi modelli. Questo sarà il banco di prova del management, chiamato a innovare radicalmente l’azienda e prima ancora la sua cultura di impresa perché nel mercato odierno non sono sufficienti gli aiuti esterni, da parte di governi generosi o di partner sprovveduti
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21 febbraio 2005

 

alessandromar82@yahoo.it

 

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