Il mercato del lavoro tedesco, l'eterno incompiuto
di Francesco Galietti
[21 feb 05]

Peter Hartz è il manager del Gruppo Volkswagen cooptato da Schroeder che dà il nome al pacchetto di riforme destinato a cambiare il volto del welfare state in Germania. All'interno delle Hartzreformen il pacchetto Hartz IV riveste particolare importanza, siccome si dà il caso che si occupi del mercato del lavoro. Il pacchetto, anche considerato che il governo è di matrice rosso-verde e quindi storicamente corre il rischio di accondiscendere oltre il dovuto alle istanze dei sindacalisti, è in verità abbastanza coraggioso, anche se, come spiegheremo più avanti, rischia di non tappare le falle strutturali del sistema tedesco. In buona sostanza Hartz IV fa in modo che gli stimoli a rimanere disoccupati siano deboli, incentivando l'ingresso nel mondo del lavoro. Una sfida non da poco in una nazione in cui notoriamente è ricorrente il fenomeno per cui i disoccupati preferiscono incassare il sussidio di disoccupazione piuttosto che cercare lavoro.

Nell'Est la cosa é davvero drammatica, come puntualmente rilevano le statistiche occupazionali. Ecco allora che chi non frequenta i corsi di formazione finanziati dal governo federale vede venir meno il diritto al sussidio. Un'altra misura è quella per cui chi rifiuta un lavoro in linea di principio non è più a carico dello Stato, siccome non è compito di quest'ultimo assecondare i capricci dei disoccupati.

Questione di cifre...

Siccome l'interesse immediato di Schroeder è poter dire che le riforme Hartz funzionano, ha un disperato bisogno di evidenza numerica a supporto della validità delle proprie scelte. Il governo Schroeder, all'alba dell'entrata in vigore del pacchetto di riforme Hartz IV, sta alacremente facendo il conto dei percettori di sussidi di disoccupazione. Per adesso le statistiche diramate dall'Agenzia Federale per il Lavoro danno la cifra totale di disoccupati di dicembre 2004 a 4,46 milioni di disoccupati, in aumento rispetto a novembre 2004. La media annuale di disoccupati per il 2004 è stata di 4,38 milioni di soggetti, vale a dire 4300 in più rispetto al 2003. In soldoni, il peggior anno per il mercato del lavoro dal 1997. Il che cozza violentemente con tutti i gioiosi proclami del governo, ma anche con quanto detto da qualche quotidiano italico, incapace di prendere in mano le statistiche ufficiali. E dire che Hartz IV dovrebbe, oltre ad affrontare il problema reale della disoccupazione, anche servire ad addolcire le statistiche. Con l'introduzione di Hartz IV dalle file dei percettori di sussidi scompare mezzo milione di soggetti, che tuttavia rimane disoccupato ai fini statistici. Questo perché secondo Hartz IV dispone di patrimoni superiori a quelli contemplati dalle nuove misure per l'ottenimento dei sussidi. A partire da gennaio emergono tuttavia almeno ulteriori 300.000 percettori. Siccome però le statistiche arrivano per ora solo fino a dicembre, Hartz IV non influisce sulle statistiche, perlomeno fino a febbraio, che secondo gli esperti dell'Institut der deutschen Wirtschaft, l'istituto economico tedesco, dovrebbe essere il mese in cui si registrerà il picco massimo stagionale di disoccupazione.

...ma il vero problema è a monte

Il pacchetto Hartz IV ha il merito, per nulla "artificioso", di escludere dai sussidi quelli che non hanno voglia di lavorare: gente che per esempio ripetutamente non si presenta ai corsi di formazione obbligatori pagati dal governo. Ha pure il merito di ridurre l'entità dei sussidi, insomma di incentivare in molti modi la ricerca attiva di un lavoro. Gli esperti stimano che le statistiche in definitiva dovrebbero vedere una diminuzione nel numero di disoccupati di 100.000 disoccupati. Poco importa se i principali benefici per le statistiche verranno essenzialmente dagli "Ein-Euro-Jobs", i lavori sottopagati, Hartz IV è la prima misura che ci prova. Tuttavia il pacchetto di riforme Hartz si guarda bene dall'affrontare l'altro corno della questione: il lato della domanda. E' questa la ragione per cui l'economia tedesca non parte, e lo confermano impietosamente Rolf Ackermann sulla Wirtschaftswoche, il più autorevole settimanale economico tedesco, e Manuela Preuschl, esperta di mercato del lavoro della Deutsche Bank. Che dire per esempio dei problemi legati al mostruoso sistema fiscale tedesco, vero moloch che costringe alla fuga le stesse imprese tedesche.

Per dirla con Ernst Pfister, ministro dell'Economia del Land Baden-Wuerttemberg, "è più probabile che Erode divenga presidente del Telefono Azzurro piuttosto che la coalizione rosso-verde metta mano a una riforma fiscale". La spassosa immagine è senz'altro impietosa, ma dà il polso della situazione in Germania. L'Austria ha portato l'aliquota dell'imposta sul reddito d'impresa al 25%, sottolineando che la misura è nell'ottica della competizione fiscale. Già, competizione: un concetto a quanto pare del tutto ignoto in Germania. Chissà quanta acqua dovrà passare sotto i ponti a Berlino prima che i cugini tedeschi si decidano a cambiare il proprio sistema fiscale? Ancora prima però dovrebbero provvedere a ripensare l'apparato normativo del mercato del lavoro.

Il bavaglio dei sindacati

Come noto da tempo, in Germania vige un modello detto di partecipazione istituzionale alla gestione o, più brevemente, di cogestione. La diretta conseguenza di questo sistema è che, a partire da un certo numero di dipendenti, nelle società è costituito un Aufsichtsrat, un "consiglio di vigilanza" composto di una rappresentanza dei lavoratori, pari a quella degli azionisti. A questo consiglio spetta il compito di eleggere il Comitato direttivo della società e di controllarne l'attività, in certi casi anche con diritto di veto; il fatto è che, a parte le situazioni di stallo che evidentemente si propongono in seno alle società quando arriva il momento delle scelte cruciali, questo consiglio è anche un onere non indifferente. Basti pensare che l'obbligo di tenere uno Aufsichtsrat scatta in determinate circostanze già quando i lavoratori sono cinque, dico cinque di numero.

La patata si fa scottante quando i dipendenti della società superano la soglia dei duecento. A quel punto, a costi della società stessa, i membri del consiglio di vigilanza vanno dispensati dal lavoro ordinario per legge. Una vera rovina soprattutto per il foltissimo sottobosco di piccoli imprenditori, che in Germania è molto maggiore di quanto si pensi. Per farsi largo nelle nebulose pagine del diritto del lavoro tedesco bisogna quasi sempre ricorrere ai servizi, mai a buon mercato, di avvocati specializzati in questo campo. Un costo che non tutti sono disposti a sostenere, con i ben noti risultati per l'occupazione. Anche il World Competitiveness Report 2004, il rapporto annuale di competitività stilato dal World Economic Forum è impietoso con la Germania, sottolineando in particolare i pesanti vincoli giuslavorativi della Germania, che nella classifica dei difetti tedeschi arrivano ancora prima della pressione fiscale. Alla stessa conclusione giunge d'altronde il celebre Economic Freedom Report, in cui la Germania dal 1970 è scivolata dal nono al ventiduesimo posto, soprattutto per l'iperregolamentazione del mercato del lavoro. All'interno di quest'ultima voce la Germania occupa il novantaquattresimo posto su novantacinque Paesi, e con questo è detto tutto.

21 febbraio 2005

stampa l'articolo