Macché Irap, molto meglio tagliare l'Irpef
di Massimo Lo Cicero
[15 nov 04]

Montezemolo aveva esordito con uno slogan incisivo nel dibattito sulla riforma fiscale: una lira in meno di incentivi per una lira in meno di Irap. Negli ultimi giorni, al contrario, il presidente di Confindustria ha dichiarato che è inutile far cadere questa riduzione dell’Irap a pioggia su tutte le imprese e che la riduzione stessa dovrebbe essere mirata per sollecitare innovazione ed occupazione aggiuntiva. Montezemolo ha cambiato opinione anche perché la maniera in cui si stava per definire l’accordo parlamentare - prima del trauma che ha visto il disegno di legge finanziaria traslocare al Senato - avrebbe aperto qualche problema in Confindustria.

L’Irap è un'imposta iniqua perché colpisce il valore aggiunto distribuito dalle imprese ai salariati, alle banche ed ai soci. L’importo dell’imposta viene liquidato anche se l’impresa è in perdita, perché l’imposta è indeducibile. Il gettito dell’Irap viene incassato con larga prevalenza al Nord: in quell’area ci sono le grandi imprese e nelle grandi imprese si concentra larga parte della massa salariale, che concorre a formare la base imponibile dell’Irap. Nel Nord si incassano pochi incentivi, da parte delle imprese, mentre nel Sud le imprese sopravvivono solo grazie ai sussidi del governo. "Una lira in meno di incentivi ed una lira in meno di Irap" è un criterio fatto su misura per le grandi imprese del Nord. Dunque quel criterio deve essere trasformato.

Ad esempio, dicendo che l’Irap non si paga nel Sud e nelle nuove imprese. Cioè nella zona dove si vuole dare un aiuto generalizzato alle imprese nonostante la riduzione degli incentivi, e nelle nuove imprese, o nei nuovi stabilimenti delle imprese esistenti, perché questa riduzione è solo un primo passo in direzione di una riduzione della pressione fiscale. Una seconda ragione per abbandonare la condizione "una lira in meno di Irap e una in meno di incentivi", deriva dal fatto che, nella discussione sul superamento degli incentivi, si deve prendere in esame un’altra domanda. Si devono dare incentivi automatici e limitati nel tempo oppure incentivi discrezionali ed prolungati oltre l’orizzonte del recupero del gap infrastrutturale nelle regioni meridionali?

Su questi interrogativi bisognerebbe affrontare la discussione, chiedendosi anche se convenga davvero eliminare del tutto il contributo in conto capitale e sostituirlo solo con una agevolazione sul costo del denaro. Per le piccole imprese, e per le imprese cha avviano la propria attività, cioè in condizioni di start up, il contributo in conto capitale è molto più conveniente, per evidenti motivi aritmetici e finanziari. Quanto debito può accendere una piccola impresa in fase di avviamento? Infine, ma è molto importante, bisognerebbe riflettere sull’impatto di una riduzione dell’Irap e su quello di una riduzione delle imposte sul reddito delle persone fisiche. Siamo in una congiuntura di basso profilo dal punto di vista della domanda interna. I quotidiani ci dicono che, nella quarta settimana del mese, crollano le vendite nei supermercati perché le famiglie aspettano il prossimo stipendio per comprare anche i beni di consumo più elementari e basici. In questo contesto ridurre le imposte sul reddito espone il governo ad un rischio.

Se le famiglie non pensano che quella riduzione sia stabile e prolungata nel tempo, essendo in presenza di un futuro abbastanza incerto, potrebbero aumentare il proprio risparmio invece di aumentare il proprio consumo. Ma, se aumentano il consumo, si avrebbe un piccolo effetto tonico sul mercato interno. Se si riduce solo l’Irap, al contrario, sono le imprese che si ritrovano margini disponibili di liquidità. Ma le imprese, in presenza di incertezza diffusa, consapevoli della propria fragilità finanziaria e di fronte ad una domanda interna fiacca, non dovrebbero razionalmente investire quel margine di liquidità ma, più oculatamente, potrebbero usarlo per ridurre il proprio indebitamento.

Dunque, riduzione per riduzione, è più difficile che sia quella dell’Irap ad avere un effetto espansivo sull’economia italiana. Tagliare spese improduttive - che si traducono in rendite dei pubblici dipendenti o di qualche fornitore dello Stato, se non corrispondono ad una effettiva utilità sociale delle prestazioni dei loro destinatari - per finanziare una estesa riduzione della pressione fiscale sulle famiglie, avrebbe certamente effetti più espansivi.

15 novembre 2004

 

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