Il Sud punti sulla classe creativa
di Domenico Mennitti

Pubblichiamo l’intervento di Domenico Mennitti, Presidente della Fondazione Ideazione e Sindaco della città di Brindisi, in occasione del sessantesimo anniversariodella fondazione di Assindustria a Brindisi. Era presente il Presidente dell’Associazione degli industriali, Luca Cordero di Montezemolo.

Signor Presidente,
considero due gli eventi che oggi celebriamo. Il primo riguarda i sessant’anni di vita dell’Assindustria di Brindisi, la organizzazione che governa nella nostra provincia il complesso mondo delle imprese che operano nel settore ritenuto fondamentale per lo sviluppo. Il secondo riguarda Lei, il profilo umano e professionale del nuovo presidente di Confindustria, interlocutore essenziale per il governo dei processi economici nazionali. E siccome viviamo tempi nei quali è difficile e forse inutile distinguere la dimensione nazionale da quella internazionale, è corretto sostenere che lei dirige una organizzazione che contribuisce a disegnare le strategie del nostro paese, chiamato a misurare la sua capacità competitiva sul grande spazio del mercato globale. Gli eventi, particolarmente quelli celebrativi, sono casuali, nel senso che non dipendono dalla volontà degli uomini ma dal calendario; tuttavia anche le casualità talvolta seguono una logica, nel senso che cadono in circostanze che sollecitano a guardare oltre la ritualità delle celebrazioni. Spero perciò che apprezzerà il tentativo di accompagnare al saluto, che ho l’onore di porgerLe a nome della città di Brindisi, qualche riflessione sulla condizione del Mezzogiorno, al quale il nostro territorio appartiene, riassumendone potenzialità e carenze, speranze e preoccupazioni. Non c’è bisogno che riferisca i termini dell’annosa questione, alla quale peraltro di recente Lei ha dedicato attenzione ed interesse siglando con le organizzazioni sindacali una intesa che punta a rimuovere gli ostacoli più ingombranti sulla strada del rilancio.

E’ un tentativo meritorio, come altri che lo hanno preceduto, di dare risposte alle emergenze, compito al quale nessuno che abbia l’esercizio di poteri pubblici o privati può sottrarsi. Lo ribadisco da Sindaco, incarico che segna il primo visibile impatto dei cittadini con lo Stato, ed in particolare da uomo che ricopre tale incarico a Brindisi, città-simbolo del Mezzogiorno, che le strategie economiche degli ultimi cinquant’anni non hanno sottratto al destino della precarietà. La obiezione che rappresento è che continuiamo a muoverci dentro un modello di sviluppo che ha fallito i suoi obiettivi e che andrebbe reimpostato guardandoci intorno, comprendendo quanto sta accadendo nel mondo, individuando quali nuove strade possiamo percorrere per superare la storica condizione di difficoltà che investe venti milioni di italiani che abitano la più vasta area omogeneamente sottosviluppata dell’intero mondo occidentale. La preoccupazione che esprimo a Lei, ma che coinvolge l’intera classe dirigente del paese, è che la pressione delle emergenze soffochi la necessità vitale di innovare, dotando di una marcia in meno l’economia italiana nella competizione mondiale. L’espressione mi è sfuggita dalla penna, ma mi affranca dalla banale esigenza di dover spiegare perché sottopongo a Lei questa riflessione. Mi perdonerà Confindustria se collego il suo nome innanzitutto alla Ferrari, simbolo del successo italiano nel mondo, che è considerata dotata, non solo metaforicamente, di una marcia in più. Bene, presidente, l’Italia ha bisogno di una marcia in più. Ed il Mezzogiorno ne ha disperato, più urgente bisogno.

L’invocazione vale per tutto il paese, ma il Sud deve recuperare in fretta i ritardi cumulati, che diventeranno definitivi se non modificheremo le strategie, ora che l’integrazione europea ha disegnato nuovi percorsi. Dobbiamo affrancarci dalla presenza ancora preponderante dello Stato nella economia meridionale, una condizione che ha distorto negli imprenditori il concetto del rischio e nei lavoratori quello della formazione. Vivo con angoscia l’idea che domani, celebrata questa bella occasione, ricomincino i nostri pellegrinaggi a Roma, presso le sedi dei ministeri e delle aziende che non si chiamano più pubbliche anche se la maggioranza della proprietà è nelle mani del Tesoro. So che dall’altra parte delle scrivanie troveremo schierati uomini ai quali è attribuito il triste compito di dover tamponare crisi piuttosto che programmare sviluppo. Questo stato di cose non è modificabile utilizzando gli strumenti legislativi e le risorse disponibili. Dobbiamo compiere un salto culturale del quale il Mezzogiorno può diventare artefice. E’ tempo di porci anche noi domande per capire chi sarà il protagonista del capitalismo italiano. Ed è tempo che il governo nazionale si adoperi per creare le condizioni perché l’economia possa liberamente svolgersi dentro un reale processo di modernizzazione del paese. Il saggio di Richard Florida (L’ascesa della nuova classe creativa: stili di vita, valori e professioni) è stato pubblicato in Italia due anni fa, in ritardo rispetto ai tempi del mondo occidentale che ne ha discusso a lungo e con interesse. Non è che le teorie di un professore dell’Università di Pittsburgh possano risolvere d’incanto questioni annose quali quelle del nostro Mezzogiorno, ma esse hanno il merito di introdurre nel dibattito elementi di novità, tratti da esperienze che hanno dato esiti positivi in importanti aree del pianeta.

Florida sostiene tesi alle quali un territorio come il Mezzogiorno non può restare indifferente, perché ci sollecita a considerare che oggi la ricchezza si produce generando nuove idee e non lavorando su idee altrui. E, in materia sociale, sostiene che il lavoro va verso il talento, non viceversa. Insomma è la rivendicazione del primato della conoscenza, tesi non nuova e neppure rivoluzionaria, che però in Italia trova grande difficoltà a realizzarsi. E’ peccato immaginare che nel Sud, irrimediabilmente marginale rispetto al modello di sviluppo prevalente, si possa cominciare a ragionare in termini nuovi? Che si possa ipotizzare da noi la crescita di una “classe creativa”? E che la creatività giunga al mercato e diventi innovazione, cioè un valore economico, superando il rischio di rimanere un semplice esercizio intellettuale? Le confesso, presidente, che immagino anche per la mia città un ruolo importante in questo tipo di sviluppo, perché è la carta più difficile da giocare, ma pure l’unica che ci può permettere di risalire il gruppo e di superare la condanna e stazionare nel fondo della graduatoria. Uno studioso pugliese dei problemi meridionali, Gianfranco Viesti, l’anno scorso ha scritto un libro con un titolo che sembrava liberatorio dopo lunghi anni di analisi:“aboliamo il Mezzogiorno”. Fu una provocazione felice anche perché le polemiche che il titolo suscitò contribuirono a costruire un successo editoriale. Ma il Mezzogiorno non possiamo “abolirlo”. Se non riusciamo a cambiarlo, resterà una sacca di arretratezza. E sarà una occasione perduta, addirittura una risorsa sperperata.

15 novembre 2004
 

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