Francia, una riforma fallita
di Jérôme Rivière
Senza complessi, la destra deve pensare ad un progetto di società
coerente e volontaristica, evitando di sprofondare nella gestione
dell’eredità socialista. Dobbiamo fare quello per cui siamo stati
eletti ed indirizzare un messaggio forte a tutti i francesi,
facendo loro capire senza ambiguità il nostro obiettivo di
governo: la sostituzione della legge sulle 35 ore con una
procedura di dialogo sociale che favorisca la flessibilità e
l’intraprendenza, in concertazione con le forze sociali. E’
stupefacente constatare con quanta prudenza e timore sia stato
affrontato il problema delle 35 ore. In fondo, la questione è
culturale più che strutturale. La differenza principale fra le
successive alternanze di governo sta nella velocità con cui la
sinistra attacca i simboli della politica di destra, senza
lasciare il tempo all’opposizione di rafforzarsi. Per usare
un’immagine forte, diciamo che una volta arrivata al potere, la
sinistra inizia in fretta a cambiare il nome delle strade, mentre
la destra preferisce lasciare le cose a posto, contando su un
acquietamento soltanto illusorio. La destra quando è al governo,
quasi chiede scusa. La sinistra mai. Anche le 35 ore entreranno a
far parte dei tanti nuovi nomi di strade imposti alla Francia da
vent’anni di socialismo: “Viale dell’insicurezza”, “Corso
dell’irresponsabilità”, “Strada senza uscita della cultura della
scusa”, ed ancora “Rotonda del comunitarismo”. Riusciremo a
cambiarli e ad evitare che la Francia si perda durante il cammino?
Il vicolo cieco in cui sono entrate le 35 ore è un esempio
emblematico. Rimettendo all’ordine del giorno la discussione di
questa falsa riforma sociale, sveliamo le menzogne della sinistra.
Prima di attribuire alle 35 ore il bel nome di “conquista
sociale”, sarebbe stato meglio chiedere ai francesi che cosa ne
pensavano. Le 35 ore sono una riforma popolare? No, se si da
credito al sondaggio pubblicato il 14 settembre scorso da
“L’Expansion” ed effettuato dal Csa: il 67 per cento dei francesi
pensano che esse non siano servite a combattere la disoccupazione.
Di questi, il 52 per cento pensa che nei prossimi anni le 35 ore
andranno progressivamente scomparendo. Il catastrofismo
permanente, sfruttato senza vergogna dalla sinistra al tempo dei
tentativi di riforma per denunciare gli “attentati alle conquiste
sociali” inevitabilmente “regressivi” di una destra presentata
come “anti-sociale”, non ci deve fermare. La palese inefficacia
della legge sulle 35 ore è sotto gli occhi di tutti: studi
economici, sondaggi o rapporti parlamentari la accusano di essere
rigida, dottrinaria e inadeguata. La creazione di posti di lavoro
derivante da una legge che si basa sulla limitazione imposta
dell’orario di lavoro non ha mai creato illusioni. La precarietà
dell’assunzione, che è andata a penalizzare soprattutto i giovani,
è stata la conseguenza principale di quest’esperimento di chimica
collettivista applicata alla Francia che lavora, crea impresa e
paga le tasse. Le 35 ore hanno prodotto una Francia del lavoro
divisa, iniqua, dove il risentimento tra le categorie
professionali e tra le generazioni cresce di pari passo con le
ingiustizie generate dalla legge.
Le 35 ore permettono ai lavoratori attivi di oggi di farsi
mantenere dalle nuove generazioni, senza però chiedere il parere
di quest’ultime. Per i reduci dei “trenta anni gloriosi” l’arrivo
all’età della pensione potrebbe coincidere con l’inizio di una
guerra tra generazioni, visto che, secondo le previsioni,
aumenterà il numero dei pensionati rispetto ai lavoratori attivi.
Questi ultimi, giovani e sempre meno numerosi, non accetteranno di
finanziare all’infinito i privilegi ingiustificati di certuni
irresponsabili profittatori del sistema della solidarietà
esistente sin dal 1945. Mettendo in difficoltà numerose imprese,
imponendo negoziati lunghi e difficili sull’orario di lavoro
attraverso accordi settoriali, le 35 ore hanno frenato
l’imprenditoria nel paese, soprattutto per i neo-laureati e per i
creatori d’impresa, che preferiscono espatriare, creando ricchezza
e impiego all’estero, pur di non subire le utopie socialiste che
vorrebbero la fine del lavoro e l’avvento della “civiltà dei
piaceri”. In realtà, le sfide legate all’impiego ed al lavoro nei
prossimi anni sono enormi. La Francia dovrà fare i conti con la
deregolamentazione selvaggia, con la concorrenza dei paesi
emergenti, in una battaglia dove tutti gli attori economici
internazionali useranno le loro armi migliori.
Noi come potremo competere a lungo se combattiamo con una mano
legata dietro la schiena? Si pensa forse che la produttività dei
lavoratori francesi, oggi una delle più alte del mondo, sia
sufficiente a preservarci dall’adottare misure necessarie?
Demografia, globalizzazione, concorrenza, disoccupazione
“strutturale” al 9 per cento: tutto si coordina, tutto si combina
oggi per condannare questo sistema delirante. Soltanto un ritorno
al lavoro inteso come valore farà rientrare il paese in
carreggiata. Affrontare le cause, e non le conseguenze derivanti
da errori passati, deve essere la parola d’ordine della nostra
politica di rottura e di riforma. E’ arrivato il momento di
staccare questa targa corrosa dal sogno delle 35 ore,
sostituendola con una politica che sappia adattare il tempo di
lavoro ad una nuova concezione di sviluppo e di impiego. Cercando
di sistemare questa legge attraverso un compromesso, cioè
ricorrendo a correzioni progressive delle disuguaglianze generate
da una riforma ingannevole, cosa peraltro lodevole, il governo si
è rifiutato di ammettere la sostanza: le 35 ore sono nocive agli
imprenditori così come ai salariati, al pubblico come al privato.
Gridiamolo quindi forte, senza timore, e con tutta la
determinazione oggi necessaria alla particolare situazione
economica francese: le 35 ore sono un errore, uno dei più grandi
vicoli ciechi politici ed economici degli ultimi trent’anni, un
Gosplan sovietico nell’era del telefono cellulare. La
responsabilità dell’attuale maggioranza è storica: l’occasione di
tornare indietro e di rivedere questa legge aberrante sulle 35 ore
forse non si ripresenterà più.
26 luglio 2004
traduzione dal francese di Stefano Caliciuri
Jérôme Riviere è deputato francese eletto
nelle liste dell’Ump nel collegio Alpi-Marittime.
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