Prima che Alitalia vada in fumo...
di Carlo Stagnaro


Alitalia perde 50 mila euro all’ora. Il management, stretto tra l’incudine della concorrenza e il martello dei sindacati, non sa che pesci pigliare. L’unico spiraglio per la salvezza della compagnia sembra provenire dall’elemosina pubblica, a suon di miliardi sottratti al contribuente.

Alla mancanza di fantasia dell’azienda e del governo pone rimedio la truppa italiana della battagliera organizzazione Forces. L’uovo di colombo di questi estremisti della libertà è semplice e geniale: aprire nuovamente gli aeroplani (o almeno alcuni di essi) ai fumatori. “Molta gente usa l’auto invece dell’aereo per viaggi brevi – spiega il presidente Gian Turci – perché può fumare. E sulle tratte intercontinentali sono moltissimi quelli che ormai usano l’aereo solo quando assolutamente indispensabile. Se l’Alitalia diventasse la smoking airline i biglietti sulle tratte che serve andrebbero semplicemente a ruba”. Anzi: molti fumatori, esasperati dalle persecuzioni cui sono soggetti con mesta puntualità, sarebbero perfino disposti a pagare di più per poter gustare l’aroma d’un sano Cohiba mentre viaggiano.

In fondo, il tabacco è una meravigliosa scoperta che rende la vita più bella. Non stupisce che tante persone s’innamorino del suo aroma vellutato e desiderino la sua compagnia lungo un noioso interminabile viaggio. “La sigaretta – diceva Giovannino Guareschi – non è un semplice pezzetto di carta con dentro un pizzico di tabacco... Ci si trova soli e vuoti senza la sigaretta. La sigaretta rappresenta il trait d’union fra il mondo delle cose reali e il mondo della fantasia. E’ il ponte di fumo che ci permette di abbandonare la riva dei bruti e di passare alla sponda opposta”. C’è da restare a bocca aperta, semmai, di fronte alla mania politically correct di far piazza pulita di questa pianta di cui il buon Dio ha voluto fare omaggio all’uomo.

In effetti, sono pochissime, oggi, le aerolinee che consentono ai viziosi d’accendere una “bionda”. Si tratta, perlopiù, di piccole compagnie che operano in Paesi ai margini del mondo. Con alcune lodevoli eccezioni: dalla compagnia di bandiera indonesiana, Garuda, ad Air India. La giapponese Hokkaido International Airlines, nel 2000, ricorse proprio a tale espediente per tappare un bilancio che faceva acqua: la mossa venne decisa in seguito alla constatazione che un concorrente, la All Nippon Airways, aveva tratto giovamento proprio dall’aver ritardato l’introduzione dei voli smoke free. Fuma e lascia fumare è una cosa da imparare insomma: almeno per i manager scrupolosi.

Comprendere perché non è difficile: basta un’occhiata distratta a un libro d’economia. Il mercato vive dell’incontro tra la domanda e l’offerta. Quando v’è la domanda d’un bene o d’un servizio, automaticamente si apre uno spazio di profitto. Questo attira uomini coraggiosi e creativi come le pappette dietetiche a base di soia Girolamo Sirchia. Il problema, piuttosto, è quando leggi, regolamenti, striscianti ricatti politici impediscono all’offerta d’agguantare la domanda. I guai sorgono allorché il ministro di turno mette il becco tra le relazioni che legano due individui adulti e vaccinati – il gestore d’un’aerolinea e un viaggiatore armato di pipa, per esempio. La “guerra al fumo” (leggi: ai fumatori) è, invero, figlia dell’abbraccio mortale tra la pretesa di dominio dell’integralismo salutista e la poco nobile caccia di rendite politiche (per esempio da parte dei produttori di sistemi di ventilazione e dei venditori d’inutili cerottoni per “smettere”).

La possibilità di ricavare voli per fumatori e no, oppure di dividere uno stesso aereo in due sezioni, garantisce per giunta il rispetto dei “polmoni delicati” non meno che dei diritti di quanti, invece, preferiscono assaggiare la vita a grandi boccate. Del resto, secondo uno studio del Dipartimento dei trasporti statunitense (1989), un passeggero seduto nella sezione non fumatori, al confine con quella fumatori, dovrebbe volare senza sosta la bellezza di 48.440 ore (5 anni e mezzo) prima d’inalare l’equivalente d’una sola sigaretta. Un altro studio, eseguito da ricercatori tedeschi e pubblicato nel 2003 sul prestigioso American Journal of Epidemiology afferma che non è stato possibile individuare alcuna correlazione tra l’esposizione al fumo passivo e le malattie cardiovascolari. Queste conclusioni sono il frutto di 37 anni d’osservazione su migliaia d’attendenti di volo.

Naturalmente, il personale di bordo potrebbe trovare fastidioso il lavoro prolungato in “immersione” tra le pur gradevoli nubi di fumo azzurrino. La soluzione, secondo Forces, è semplicissima: sugli aerei che consentono il fumo, le aerolinee dovrebbero impiegare fumatori. Vorrà dire che i non fumatori resteranno a terra, trarranno il proprio reddito altrove, oppure saranno disoccupati. Il fumo farà male, ma questa è la giusta nemesi dei non fumatori intolleranti.

18 maggio 2004

carlo.stagnaro@brunoleoni.it

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