Dove andremo a parare?
di Stefano Caliciuri

L’Italia del pallone è andata nel pallone. Quello che era considerato l’unico vero e sano interesse per milioni di connazionali, si è trasformato in un devastante vortice smaterializzante di milioni di milioni di euro. Un argomento di cui Ideazione si era già occupata un anno fa, anticipando il rovente dibattito di questi giorni in seguito alle perquisizioni avvenute nelle sedi delle cinquanta maggiori società calcistiche italiane. Siamo solo all’inizio di una procedura che, se non soggetta a compromessi e soprattutto a una radicale riforma, produrrà vittime illustri.

Sono finiti i tempi in cui ci si scandalizzava per i 12 miliardi di lire destinati all’acquisto del calciatore più forte del mondo: oggi è una esasperata guerra al rialzo, tra conti perennemente in rosso e diritti televisivi che lucrano sulla credulità del tifoso. Il sistema sta collassando dentro se stesso, ma soprattutto per colpa di se stesso. Tre quarti delle finanze di ogni società-azienda sono destinati al pagamento degli stipendi: milioni di euro offerti a giovani promesse, perlopiù manovrati da vecchi marpioni della percentuale. Il controsenso sta proprio nella specifica contrattuale del calciatore: un dipendente-professionista senza doveri ma con infiniti diritti. Tutti parlano di tagli alle spese, di razionalizzazione dei costi, di pianificazione delle uscite, ma per cominciare a farlo sul serio perché non cominciare - ad esempio - dalla figura del procuratore? Sempre estraneo alle grandi polemiche, in realtà è l’artefice di tutte le transazioni finanziarie. Un tramite che alle casse delle società calcistiche costa almeno il venticinque per cento della trattativa. Ovviamente non decurtato dallo stipendio del calciatore, ma aggiunto alla spesa della società. L’interesse del procuratore è direttamente proporzionale al contratto del proprio cliente: tanto più questo è bravo, tanto più alto è il suo compenso. Cifra che gli viene assegnata al momento della firma e poi “chi s’è visto, s’è visto”. Infortuni, cali di forma, svogliatezza, nulla più può intaccare il cash ricevuto. Fino al successivo rinnovo di contratto, ovviamente, calibrato sempre con un ritocco al rialzo.

La cosiddetta legge Bosman, che per alcuni aspetti è stata innovativa, ha ulteriormente aggravato questa situazione, poiché ha trasformato un dipendente in professionista a contratto: le società non si sono attrezzate per affrontare questa nuova figura di lavoratore. Il caso Davids (Juventus), ultimo in ordine di tempo, e quanto potrà accadere a Stam (Lazio), dovrebbe portare ad una razionale riflessione. Dalla quale non possono estraniarsi gli stessi calciatori, comportandosi da professionisti nel vero senso della parola, accettando le leggi di mercato e la bilancia dei compensi legati al rendimento. Solo un aspetto di una riforma più ampia che sarà assai più utile al mondo del calcio di uno sconquasso a colpi di manette.

27 febbraio 2004

stecaliciuri@hotmail.com

 

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