I venticinque Stati Uniti d’Europa
di Angela Regina Punzi
Ci siamo quasi. I dieci paesi dell’Europa centrale e orientale
(Peco) e del Mediterraneo dovranno pazientare ancora un altro po’
prima di diventare membri ufficiali dell’Unione Europea. Molto si
è detto sul loro ingresso: si parla di un allargamento senza
precedenti non solo per il numero di paesi interessati, ma
soprattutto perché i futuri Stati membri – ad eccezione di Malta e
Cipro – vivono da quindici anni un faticoso processo di
transizione dall’economia pianificata all’economia di mercato. Un
lungo ed impegnativo processo di transizione che ha portato alla
creazione di nuovi assetti istituzionali e giuridici, un periodo
durante il quale questi Stati si sono aperti al commercio e ai
flussi di capitali internazionali, dove molto si è fatto per
riorganizzare le strutture produttive. Si è irrobustito il settore
bancario e si è avviata la creazione di mercati finanziari; il
commercio estero è stato orientato soprattutto verso gli attuali
Stati dell’Unione così da poter attrarre cospicui investimenti
diretti esteri. La data dell’investitura è vicina – primo maggio
2004 – giorno in cui i nuovi Stati membri parteciperanno
all’Unione economica e monetaria solo in qualità di “paesi con
deroga”, ovvero non adotteranno ancora l’euro, ma saranno
impegnati ad aderire alla moneta unica in una fase successiva.
Negli ultimi quindici anni, ovvero da quando è iniziato il
processo di transizione, la crescita economica della maggior parte
dei paesi aderenti ha avuto un andamento abbastanza diverso da
quello della Ue. Dopo le recessioni all’inizio del periodo di
trasformazione, nei primi anni Novanta, le economie di questi
paesi sono cresciute più rapidamente rispetto agli attuali Stati
membri. Il Pil pro-capite dei paesi aderenti, espresso in parità
di poteri d’acquisto, è infatti salito dal 42 al 49 per cento
della media Ue fra il 1993 e il 2002. Non mancano però le
differenze tra paesi: i livelli del 2002 oscillano tra il 35 per
cento della Lettonia e il 74 per cento di Cipro e della Slovenia.
Tenendo conto delle differenze, la chiusura del divario rispetto
alla Ue potrà richiedere tempi significativamente diversi a
seconda dei paesi. E’ possibile che i più avanzati, quali Cipro e
Malta, riescano ad allinearsi alla media europea verso la metà del
prossimo decennio. La Repubblica Ceca, invece, dovrebbe conseguire
la convergenza del reddito reale intorno al 2020, l’Ungheria,
Malta e la Slovacchia fra tre decenni, e i paesi con redditi più
bassi verso la metà del secolo. Mentre la convergenza verso la
posizione di Portogallo e Grecia – i due paesi Ue con il più basso
livello di Pil pro-capite – è già un dato di fatto per Cipro e
Slovenia.
I paesi in ingresso hanno un Pil nominale di circa 440 miliardi di
euro contro quasi i 9.200 dell’Unione a 15. Tale asimmetria è il
risultato del persistente divario, ancora relativamente ampio, fra
i livelli di reddito pro-capite degli Stati membri attuali e
futuri. Eppure nel 2003 i Peco sono cresciuti a tassi sostenuti
nonostante il difficile contesto internazionale, riuscendo nel
contempo a tenere sotto controllo l’inflazione. Restano due
principali punti deboli: gli eccessivi disavanzi di bilancio e
delle partite correnti. A livello individuale i paesi che nel 2003
hanno registrato gli squilibri fiscali più significativi sono la
Repubblica Ceca, l’Ungheria, Malta e la Slovacchia, con un
disavanzo pubblico pari a una media ponderata del 6,6% del Pil.
Nel 2003 circa la metà dei paesi aderenti aveva tassi di
inflazione inferiori alla media europea. Ultimamente c’è stato un
significativo processo di contenimento dell’inflazione nella
maggior parte dei paesi aderenti. In futuro però si prevede che il
proseguimento del processo di liberalizzazione dei prezzi verso
livelli compatibili con l’economia di mercato continuerà
presumibilmente a produrre pressioni al rialzo sui livelli dei
prezzi in diversi paesi.
I tassi di disoccupazione sono abbastanza elevati, pari in media
al 13,6 per cento nel 2003. Esistono tuttavia forti differenze
nazionali, con oscillazioni tra il 3,9 per cento di Cipro e il
19,9 per cento della Polonia. In alcuni paesi la crescita
economica non è stata accompagnata da un calo della disoccupazione
(o lo è stata solo di recente) il che suggerisce come tale
fenomeno sia in gran misura di carattere strutturale piuttosto che
ciclico. La persistenza degli elevati tassi di disoccupazione
inoltre può essere riconducibile alla mancata corrispondenza tra
qualifiche richieste e offerte (skills mismatches) e a bassi
livelli di mobilità interregionale delle forze lavoro. In generale
si può dire che in tali paesi sono stati raggiunti importanti
risultati economici: tra cui un’ampia stabilizzazione
macroeconomica, progressi nel contenimento dell’inflazione e un
continuo e considerevole miglioramento dei fondamentali economici
e delle politiche strutturali. L’ingresso nella Ue certo non
concluderà il processo di transizione, né eliminerà l’esigenza di
proseguire con le riforme. In futuro le politiche macroeconomiche
però dovranno essere orientate non solo a preservare i risultati
conseguiti durante il processo di convergenza, ma anche a
risolvere le difficoltà prodotte principalmente da squilibri
esterni e di bilancio.
17 febbraio 2004
a.punzi@libero.it
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