Armenia, la ferita nascosta dell’Europa
di Francesco Fusaro
[06 nov 06]
Orrende, sconosciute e oscure ai più sono le vicende accadute nella
penisola anatolica a cavallo della prima guerra mondiale, tra il 1915 e
il 1917, che videro la morte di 1.500.000 armeni. L'obiettivo principale
del partito “Unione e Progresso” (Ittihad ve Terakki), in quegli anni al
potere, era la creazione di un grande impero panturco che si estendesse
dal mar Egeo ai confini della Cina, e gli armeni, situati a mo' di cuneo
fra i turchi dell'Anatolia e quelli del Caucaso, rappresentavano un
ostacolo alla realizzazione di questo progetto. La ferocia con cui il
movimento dei "Giovani Turchi" portò avanti il proprio piano e la
noncuranza delle potenze europee, impegnate nelle proprie operazioni
militari, fecero il resto: alla fine del 1916 circa i due terzi della
popolazione armena residente nella penisola anatolica furono eliminati.
Di quel genocidio - riconosciuto in epoca recente dal Parlamento europeo
e da diversi parlamenti nazionali, tra cui quelli francese, svedese e
olandese- la Turchia di oggi non ne vuole sentir parlare, anzitutto per
le imprevedibili conseguenze economiche e territoriali che si potrebbero
avere - basti pensare che nello stemma nazionale armeno campeggia il
monte Ararat, attualmente in territorio turco - ma anche perché, come
sostenuto dallo storico e sociologo turco Taner Akcam, un’eventuale
conferma dei massacri armeni, riconoscendo i crimini commessi da alcuni
dei fondatori della moderna Repubblica turca, farebbe decadere l’intera
rappresentazione simbolica della storia del paese.
Nonostante fonti storiche certe, però, a più di novanta anni di distanza
dalla prima pulizia etnica del XX secolo, continua ad esserci discordia
su quanto avvenne in quel periodo, come dimostra, del resto,
l’abbandono, da parte del Parlamento europeo, della clausola sul
riconoscimento del genocidio armeno nei negoziati per l'ingresso della
Turchia. A prescindere dalle problematiche strettamente connesse
all'allargamento, che dipenderà principalmente dall'evoluzione delle
relazioni greco-cipriote e dal grado di tutela delle libertà di
espressione e di culto che sarà possibile raggiungere in Turchia,
bisogna notare come il mancato inserimento della clausola sul
riconoscimento del genocidio armeno sembra essere un grave errore
politico.
A quanti ritengono ingiusta l’introduzione di nuovi criteri cui la
Turchia debba adeguarsi in vista dell’adesione, è opportuno far notare
la necessità che Ankara riconosca i propri sbagli, e questo perché alla
base del processo d’integrazione europea c’è un’idea di riconciliazione,
non solo con il presente, leggi Cipro, ma anche con il passato.
Dinanzi al declino demografico europeo, alle problematiche energetiche
ed alle crescenti tensioni con il mondo islamico, si è parlato solamente
del grave errore che l’Ue commetterebbe nell’abbandonare i negoziati per
l’adesione della Turchia, paese d’indiscutibile importanza geopolitica e
possibile ponte tra civiltà, ma non si è fatto cenno al terribile orrore
che commetteremmo qualora ci rendessimo complici del negazionismo turco.
Non è l'Unione europea fondata sulla comunione di popoli con storia e
tradizioni differenti, riuniti intorno ai valori comuni del rispetto dei
diritti umani, della democrazia e dello stato di diritto? Non è forse
vero che il riconoscimento del dramma dell'Olocausto abbia favorito la
crescita politica non solo della Germania, ma dell'Europa tutta?
In tale ottica non sembra, quindi, solo importante l’epocale apertura ad
un paese mussulmano che può rappresentare un cantiere per il confronto
tra differenti culture ed un esempio di convivenza tra democrazia
politica e religione islamica, ma anche in che modo tale apertura debba
avvenire. Il riconoscimento di uno dei crimini più efferati di sempre
dovrebbe essere, infatti, un atto dovuto, se non per il rispetto nei
confronti dei morti e dei loro discendenti, almeno per evitare che la
rimozione di un evento così tragico favorisca, così come già avvenuto,
il ripetersi di altre disumane barbarie, avallando quella legge non
empirica della storia secondo cui ogni amnesia è, in un certo senso,
un’amnistia.
Già una volta i paesi europei hanno assistito impassibili all'uccisione
organizzata e premeditata dell'intero popolo armeno e sarebbe eccessivo,
oggi, essere indifferenti alle richieste di giustizia e di verità
provenienti da queste martoriate genti alla ricerca della propria
dignità e di una propria storia.
06 novembre 2006
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