“Vi racconto tutta la verità su Bush e la fede”
intervista a James Towey di Alessandro Gisotti
[02 feb 06]

Per oltre dieci anni, ha lavorato al fianco di Madre Teresa di Calcutta come suo consulente legale e volontario nella sua casa per malati di Aids, a Washington. Dal 2002, è il direttore dell’Ufficio della Casa Bianca per le iniziative religiose, nominato direttamente da George W. Bush. A ragione si può dunque affermare che il cattolico James Towey rappresenta forse un caso più unico che raro: ha infatti servito gli ultimi tra gli ultimi ed ora, da quattro anni, l’uomo più potente della Terra. Affabile, dalla battuta pronta, Towey ha accettato di raccontare la sua esperienza di consigliere del presidente Usa. Ma anche di soffermarsi sul tanto dibattuto rapporto tra Bush e la fede. L’occasione per questa esclusiva intervista è stata offerta da un convegno a Roma per il quarantesimo anniversario della Costituzione conciliare sulla libertà religiosa, Dignitatis Humanae. Evento promosso dall’ambasciata americana presso la Santa Sede al quale, oltre a James Towey, ha preso parte anche il cardinale Theodore McCarrick, arcivescovo di Washington.

Che ruolo hanno nell’agenda politica del presidente le iniziative promosse da organismi religiosi?

Il presidente crede nel potere di queste realtà di trasformare la vita delle persone, in particolare di chi è senza lavoro, di quanti non hanno casa, di coloro che sono disperati. Il governo non può amare, è solito ribadire Bush. Ma il governo può allearsi con questi gruppi basati sulla fede per fornire servizi ai bisognosi. Così i poveri possono avere accesso ai migliori servizi che l’America può offrire.

Quali sono le priorità del suo ufficio alla Casa Bianca?

La nostra priorità è che questi gruppi non siano discriminati per la loro fede. E’ importante poi verificare l’efficacia dei progetti da loro proposti e non fermarsi solo al sentimento di compassione. La nostra sfida inoltre è di essere aperti al contributo di ogni fede, lavorare con ogni gruppo senza favoritismi, come la Costituzione stabilisce. Il mio lavoro, dunque, è garantire che le decisioni del presidente riguardanti queste iniziative promosse da gruppi di fede siano rispettose della Costituzione americana.

Perché la fede è ancora un argomento cruciale nel dibattito politico americano?

Perché l’America sa che cesserebbe di esistere se voltasse le spalle alla fede. Il nostro paese è tuttora formato da persone animate da profonda fede. Ancora oggi il 99 per cento degli americani dichiara di credere in Dio. Il 99 per cento, capite! Quando guardiamo quelle nazioni che sono diventate così secolarizzate e hanno trascinato via la fede dallo spazio pubblico, ebbene vediamo che si sono impoverite a causa di questo fenomeno. Noi crediamo che la presenza di ebrei, musulmani, cristiani nella sfera pubblica arricchisca la società. E, infatti, i gruppi religiosi sono strumenti per il miglioramento della nostra società.

In che misura la fede personale del presidente Bush influisce sulle sue scelte politiche?

Il presidente Bush tiene molto a mantenere privata la sua fede. So bene che va di moda una caricatura che lo dipinge come un uomo che cerca di imporre la propria fede agli altri. E’ semplicemente falso. Io lavoro con lui, abbiamo frequenti incontri e posso affermare che il suo rapporto con la fede è simile a quello di moltissime altre persone che conosco. Certo, è vero che la fede è per lui molto importante. Ma sa bene che il suo lavoro non è quello di “cappellano” del paese, ma di Comandante-in-capo degli Stati Uniti. Quando parliamo di lotta contro il traffico degli esseri umani o del divieto alla sperimentazione sulle cellule staminali embrionali o altri temi etici su cui il presidente deve decidere, sono sicuro che allora la sua fede influisce sui suoi valori. Ma Bush è stato molto chiaro su questo punto durante la campagna presidenziale e i cittadini americani lo hanno eletto.

In Europa, però, molti ritengono che la fede del presidente tenda al fondamentalismo. Cosa risponde a queste critiche?

Secondo me, su questo punto si fanno due pesi e due misure. Il presidente Kennedy ha più volte invocato Dio nei suoi discorsi. Il presidente Carter ha perfino provato a convertire al Cristianesimo il presidente sudcoreano. Anche Bill Clinton non nascondeva mai la sua partecipazione a riti religiosi. Pensiamo a Lincoln: è impossibile comprendere la sua presidenza, distaccandola dalla sua fede personale. Ma quando si parla di Bush le cose cambiano. Ritengo che chi lo attacca su questo aspetto è in realtà a disagio con la propria fede. Porto un esempio: se il presidente ha un incontro con la comunità musulmana o ebraica, nessuno dice niente. Se però riceve un gruppo cristiano evangelico, ecco che subito qualcuno lancia l’allarme: che cosa starà facendo? Li sta favorendo? Questo è semplicemente falso.

02 febbraio 2006

 


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