Viaggio-fantasma di Kim Jong Il in Cina
di Enzo Reale*
[23 gen 06]

Una settimana intera ad inseguire un fantasma. Nell'era dell'informazione tecnologica, dei satelliti-spia e della rivoluzione del web può capitare che l'incontro al vertice tra due dittatori asiatici resti avvolto nel più assoluto mistero e che di una visita di stato come quella che Kim Jong Il ha reso al collega Hu Jintao si possa avere certezza soltanto dopo uno scarno comunicato della più grottesca agenzia di stampa del mondo, la KCNA, voce ufficiale del regime di Pyongyang.

Le prime notizie sul viaggio-fantasma risalivano al 10 gennaio: un treno blindato attraversava il confine all'altezza di Dandong (Cina) tra imponenti misure di sicurezza. Kim Jong Il non viaggia mai in aereo. Nessuna conferma da fonti cinesi, silenzio assoluto da quelle nordcoreane, solo speculazioni: forse Kim va in Russia a parlare con Putin - Mosca, Pechino e Seoul sono le tre uniche capitali che, a quanto è dato sapere, il tiranno abbia mai visitato -, forse è diretto a Shanghai, forse non è mai uscito dal suo paradiso comunista. La Deutsche Presse introduceva così un lancio di agenzia: "Il leader nordcoreano Kim Jong Il è scomparso in Cina".

Poi la svolta. Il 12 gennaio tutti gli ospiti di un hotel della città sudorientale di Guangzhou, nella ricca provincia del Guangdong, venivano fatti sloggiare per ordine delle autorità, il traffico nei paraggi bloccato mentre la polizia cordonava la zona. La sera una foto sfuocata di Kim a bordo di un motoscafo di lusso e circondato da guardie del corpo faceva il giro delle televisioni giapponesi. Nessuno confermava né smentiva. Bisognava attendere altri cinque giorni per mettere la parola fine alla saga: Kim era già sulla via del ritorno quando le diplomazie dei due paesi rivelavano l'avvenuto incontro senza fornire maggiori dettagli. Fin qui il gossip.

Sul piano politico, che conclusioni trarre da questo viaggio segreto? Innanzitutto Kim Jong Il ha visitato Pechino in un momento di grande difficoltà. L'isolamento autoimposto e il ricatto nucleare protratto ad oltranza stanno restringendo i suoi spazi di manovra: con una Russia sempre più riluttante a compromettersi con Pyongyang, la Cina sembra essere rimasto l'ultimo vero alleato di Kim (Seoul è una storia a parte). Allo stesso tempo Pechino sa che sull'esito dei negoziati a sei si gioca gran parte della sua credibilità internazionale e che la pressione statunitense per una soluzione definitiva del problema nordcoreano si sta intensificando. Ma c'è altro. Le recenti dichiarazioni del nuovo ambasciatore americano a Seoul, Alexander Vershbow, - "la Corea del Nord è uno stato criminale" – facevano riferimento non solo alla drammatica situazione dei diritti umani nel gulag-state di Kim ma anche e soprattutto alle attività illecite con cui il regime finanzia la sua sopravvivenza: contrabbando di armi e droga, proliferazione nucleare e contraffazione di moneta statunitense, aspetto quest'ultimo che ha messo in grave imbarazzo il governo cinese per il ruolo giocato dalla Banca Delta Asia, con sede a Macao.

Improbabile quindi che Kim Jong Il abbia avuto il tempo di prendere appunti sulle riforme economiche della east coast cinese, come invece alcuni commentatori, probabilmente ingannati dalla sosta nel Guandong, hanno prontamente dedotto. Nessuna volontà riformatrice può essere davvero attribuita ad un regime che fonda la propria sopravvivenza sul controllo e la chiusura totale della società, che ha appena espulso gli ultimi funzionari del World Food Programme e che si appresta a reintrodurre quel sistema di distribuzione pubblica degli alimenti sospeso dopo la terribile carestia degli anni '90.

Una parola toglie il sonno al Caro Leader: sopravvivenza. Sarà il 2006 l'anno della resa dei conti per Pyongyang? Ventidue milioni di nordcoreani attendono con ansia una risposta.

23 gennaio 2006

* Enzo Reale è il titolare del blog 1972, Cina e dintorni, Dossier Pyongyang


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