I giorni che hanno cambiato la storia della Spagna
Martedì 16 marzo 2004

"Lasciateci in pace"

Un Spagna nessuno mette in discussione che la vittoria dei socialisti sia stata determinata dal massacro di giovedì scorso. Chi non vuole ammetterlo piuttosto non ne parla ma tutti ne sono consapevoli. Solo Zapatero per ovvie ragioni lo nega nelle interviste ufficiali ma intanto alla prima occasione annuncia il ritiro delle truppe spagnole dall’Iraq entro il 30 giugno. Zapatero a suo modo è un uomo coerente: era sempre in prima fila nelle manifestazioni pacifiste dello scorso anno, si è sempre opposto all’intervento che ha liberato l’Iraq, ha sempre riservato tutta la sua indignazione a quanto Aznar e Bush stavano facendo nella lotta contro il terrorismo.

Un classico esempio di politico fermo al 10 settembre 2001 e non per nulla leader di un grande partito della sinistra europea. Il futuro capo del governo spagnolo usava ripetere durante gli indimenticabili giorni delle mobilitazioni antiamericane lo slogan «Lasciateci in pace». Un inno al disimpegno che è diventato il lemma del suo partito nel corso della campagna elettorale. La Spagna lo ha votato perchè lo vuole così e perchè dopo la strage dell’11 marzo ha definitivamente deciso che non vale la pena combattere la guerra che il terrorismo ha dichiarato e che è meglio nascondersi: chissà che non ci vedano, hanno pensato gli spagnoli, e ci lascino in pace. Zapatero è il capo di governo ideale di questa Spagna che tutti – oltreoceano – consideravano un alleato fedele contro il cancro terrorista ma il cui impegno in prima linea si doveva soltanto al senso di responsabilità di quella classe dirigente che tra il giovedì di sangue e la domenica della paura è stata invece severamente castigata. «Lasciateci in pace», dice la Spagna. Ma non lo dice ai terroristi che l’hanno colpita: lo dice ai politici che le ricordano che i terroristi possono colpirla, che provano anche a fare qualcosa per impedirlo e che dopo un attacco hanno perfino la malsana idea di affermare che forse bisogna fare di più.

La Spagna, come l’Europa, non ha voglia di tutto questo. Non vuol essere disturbata, ha altro a cui pensare. Ecco perchè Zapatero è l’uomo giusto per questo paese. Bambi – lo chiamano così i suoi avversari politici – oggi ha fatto la dichiarazione che tutti si aspettavano da lui: via dall’Iraq. Andate in pace.

Soltanto un incidente di percorso

Per chi ha vinto le elezioni di domenica, l’11 marzo è una pagina da archiviare velocemente. C’è sì il dolore da rispettare, il ricordo delle vittime da onorare, il lutto da mantenere. Ma presto e inesorabilmente il più grave attacco terroristico ad una democrazia occidentale dopo quello dell’11 settembre sarà derubricato alla voce «tragedia» in modo da evitare complicazioni. C’è una gran voglia di lasciarsi tutto alle spalle e di tornare ad occuparsi di quel che è familiare, che si è in grado di gestire, che è più semplice pensare: la sanità, l’educazione, la scuola. Zapatero ha un bel dichiarare che la lotta al terrorismo è una sua priorità ma oggi uno dei temi ricorrenti delle interviste ad esponenti socialisti era l’abolizione dell’ora di religione.

Non ci sarebbe nulla di male nel desiderare un ritorno alla normalità dopo aver vissuto momenti drammatici: se non fosse che ancora una volta questa presunta normalità sarà fondata su una colossale rimozione. Non ci è voluto molto perchè l’11 settembre scomparisse dall’orizzonte politico e culturale di un intero continente; ci vorrà ancora meno perchè l’11 marzo venga svuotato del suo significato. Già oggi si percepiva che la consegna era passare oltre, dimenticare in fretta un incidente di percorso che potrebbe costringere a confrontarsi con la realtà chi invece pensa di aver ben altro da fare. L’idea che qualche arresto ed un giudizio davanti a un tribunale possano chiudere l’intera vicenda è già abbastanza diffusa qui in Spagna. Come se questa non fosse una guerra, ma un caso come un altro di omicidio plurimo.

a cura di Enzo Reale, dal blog 1972

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