I repubblicani e le sconfitte elettorali del
2005
di Simone Incontro
[14 dic 05]
Il corrispondente di Repubblica, Alberto Flores D’Arcais, ha iniziato il
suo articolo sulle elezioni americane del 2005 riprendendo un editoriale
apparso sul Wall Street Journal in cui si scriveva “La cosa migliore che
i repubblicani possono dire dopo la batosta è che è avvenuta in un anno
non-elettorale”. Ma è stata davvero una batosta per il GOP e per il
presidente George W. Bush? E che tipo di elezioni si sono tenute l’8
novembre 2005?
Cominciamo dalla seconda domanda. Gli elettori americani si sono recati
alle urne per scegliere i governatori di due stati (New Jersey e
Virginia), i sindaci in alcune grandi città tra cui New York, Atlanta,
Boston, Houston e San Diego e per esprimersi su alcune proposte in
alcuni stati tra cui la California del governatore Arnold
Schwarzenegger. Quindi si possono definire elezioni limitate e parziali
in attesa delle più importanti e significative di metà mandato (di
midterm) del 2006. Rispondendo alla prima domanda, se si considerano il
2001 e il 2006, nulla è cambiato: i governatori della Virginia e del New
Jersey sono rimasti democratici ed il sindaco di New York repubblicano.
Tutto è stato confermato anche in queste ultime elezioni.
I
media americani, soprattutto quelli considerati old media, hanno dato
molta importanza a questa tornata elettorale in quanto è arrivata con il
presidente Bush ai minimi di approvazione del suo operato e soprattutto
dopo l’uragano Katrina, la bocciatura della nomina della Myers alla
Corte Suprema e il Ciagate che ha visto coinvolto (ma non ancora
condannato) Libby Scooter, l’assistente del vicepresidente Dick Cheney.
Vedremo ora in dettaglio i risultati delle elezioni che si sono tenute
l’8 novembre 2005.
New York. Nel 2001, sull’onda
emotiva dell’undici settembre e con il supporto di Rudolph Giuliani,
colui che sarebbe diventato “person of the year” secondo Time e sindaco
uscente di New York, Michael Bloomberg aveva ricevuto il 50 per cento
dei voti contro il 47 per cento del rivale democratico Mark Green con
una campagna elettorale costata ben 100 milioni di dollari. Quattro anni
dopo e con circa trenta milioni di dollari in meno Bloomberg è stato
confermato con una vera e propria valanga (landslide) di voti, se si
considera che aveva anche toccato il punto più basso di gradimento con
il 24 per cento di approvazione del suo operato da sindaco e che nelle
elezioni presidenziali la città vota 4 a 1 per il candidato democratico
. Il risultato è stato 59 per cento per Bloomberg contro il 39 per cento
del candidato democratico.
Lo sfidante del sindaco che correva per la rielezione è stato l’ispanico
Fernando Ferrer. Per lui hanno fatto campagna elettorale tutti i big del
partito democratico: i Clinton, John Kerry, il reverendo Al Sharpton e
la promessa Barack Obama. Ferrer ha ricordato agli elettori che sarebbe
stato il primo sindaco ispanico della Grande Mela, ha echeggiato lo
slogan di Edwards delle primarie del 2004 delle “Due Americhe” parlando
delle “Due New York”: quella ricca e quella povera. Nei due dibattiti
televisivi ha cercato d’associare Bloomberg al partito repubblicano a
livello nazionale. Bloomberg, al contrario, ha tenuto una campagna di
basso profilo, nonostante il notevole vantaggio di fundraising, che lo
dipingesse come un sindaco competente e ha esposto nei vari quartieri di
New York i risultati del suo primo mandato.
New Jersey. Nell’agosto del 2004 il
governatore democratico James McGreevey si è dimesso dopo la sua
confessione d’essere gay. Il senatore, o meglio, l’ex senatore
democratico, John Corzine, ha quasi immediatamente annunciato che
avrebbe corso per le elezioni a governatore. Il New Jersey così ha visto
la sfida tra due milionari: l’ex amministratore delegato della Goldman
Sachs, Corzine per il partito democratico e il presidente di una
compagnia legata al mondo dei farmaci Douglas Forrester per quello
repubblicano. L’esito è stato il seguente: Corzine 53,5 per cento contro
43,2 per cento di Forrester. Questa campagna elettorale sarà ricordata
come la più costosa e più negativa dello stato. Sono stati spesi più di
70 milioni di dollari e ci sono stati veri e propri assalti ad personam
nei confronti dei candidati. John Corzine è stato attaccato dalla ex
moglie ed è stato accusato di aver fatto abortire una sua amante in
Ohio. Forrester, a sua volta, è stato preso di mira dai tabloid per una
relazione extraconiugale.
La campagna di Corzine è stata molto efficace, seppur il New Jersey sia
uno stato tradizionalmente democratico. L’ex senatore ha giocato
sull’impopolarità di Bush e ha lanciato uno spot che, riferito a
Forrester diceva:: “He’s George Bush’s choice for governor. Is she
yours? (E’ la scelta di George Bush per la carica di governatore. E’
anche la tua?) Corzine, imparando dalla strategia vincente di Bush del
2004, ha dedicato grande attenzione nelle aree dei sobborghi.
Virginia. La Virginia è stata,
insieme alla California di Schwarzenegger, l’osservata speciale di
questa tornata elettorale in quanto il presidente è intervenuto in prima
persona a sostegno del candidato repubblicano alla carica di
governatore.
Negli ultimi quarant’anni la Virginia ha scelto i candidati repubblicani
alla corsa per la Casa Bianca, mentre quando si è trattato di
governatori, ha optato per il partito democratico quattro volte negli
ultimi venticinque anni. Bush nel 2004 si è aggiudicato i grandi
elettori della Virginia con il 53,68 per cento. Il governatore uscente,
il popolarissimo Mark Warner (si dice probabile front runner del partito
democratico per il 2008) aveva vinto la Virginia nel 2001 nonostante
Bush avesse una popolarità pari al 90 per cento. I protagonisti delle
elezioni del 2005 sono stati l’ex procuratore generale Jerry W. Kilgore
per il partito repubblicano e il vicegovernatore uscente Timothy M.
Kaine per quello democratico. Il secondo ha vinto con il 51,6 per cento,
mentre il primo ha raggiunto il 46,1 per cento. Se al fianco di Kaine,
il popolarissimo Warner non è mai mancato, il candidato democratico ha,
inoltre, impostato una campagna elettorale che ha abbracciato la
questione dei valori morali e, durante i confronti televisivi, si è
definito un conservatore, ha citato la Bibbia e ha attaccato
l’avversario accostandolo all’establishment di Washington, lontano dal
sentire comune del cittadino. Kilgore, che ha visto Bush far campagna
elettorale con lui l’ultima sera di campagna elettorale (di ritorno dal
viaggio in Sud America), ha attaccato il suo avversario in quanto Kaine
è contrario alla pena di morte e non bisogna dimenticare che la Virginia
è seconda solo al Texas per quanto riguarda le esecuzioni. Il candidato
repubblicano ha dipinto il suo avversario come un politico troppo
liberal e l’ ha contrapposto alle sue origini rurali delle fattorie
della Virginia del Sud, vera e propria culla di valori e d’integrità.
I segretari del partito democratico e repubblicano si sono incontrati,
seppur in momenti separati (per scelta del democratico Howard Dean, che,
per questo è stato soprannominato dal sito drudgereport.com come il
cartone animato della Disney “Little Chicken”) per commentare i
risultati delle elezioni nella domenica successiva all’esito nel talk
show politico per eccellenza Meet The Press. Il segretario del partito
repubblicano Ken Mehlman ha sostenuto che nella fase post Undici
settembre i repubblicani sono, e continuano ad essere, i rappresentanti
del cambiamento, mentre i democratici, quelli dello status quo.
La
controparte democratica di Mehlman ha rimarcato che l’amministrazione di
Bush è corrotta ed incompetente e queste elezioni sono state una piccola
anticipazione di quello che accadrà nelle elezioni di midterm del 2006.
Il modello per i democratici, scrive Joe Klein sul settimanale Time,
potrebbe essere quello delle elezioni del midterm del 1994 di Newt
Gingrich, ovvero un “Contract with America” riaggiornato alle nuove
esigenze ed ai nuovi bisogni degli americani. Il partito
repubblicano, comunque, come riporta il Washington Post, non si ferma ed
è concentrato per le elezioni di metà mandato del 2006 come si può
notare dalla raccolta fondi dove il partito del presidente ha già
raccolto 83,5 milioni di dollari contro i 42 milioni dei democratici
guidati da Dean.
Sergio Romano, che aveva scritto un endorsement per Kerry nella corsa
presidenziale del 2004, nella sua risposta ad un lettore nello spazio
“Lettere al Corriere” del 15 novembre 2005 scrive che il partito del
presidente comincia ad essere preoccupato dal suo stile di governo e
teme di dover pagare, alle prossime elezioni, per gli errori di un uomo
che ha molto temperamento, ma poco buon senso.
La
coalizione conservatrice che sostiene Bush, in realtà, presenta molte
posizioni come sottolinea Christian Rocca nel suo intervento che si
trova nel blog
Camillo. Bush era già stato definito un
“one-term president” durante le elezioni del 2004 e il loro esito ha
smentito questa ipotesi. Di certo le elezioni di metà mandato del 2006
determineranno il suo futuro: se andranno bene, molto probabilmente
sceglierà il suo successore del partito repubblicano per la corsa alla
Casa Bianca, se, invece, i democratici recupereranno e riequilibreranno
così lo scenario politico, il presidente sarà l’ennesima lame duck,
anatra zoppa, della storia politica americana.
14 dicembre 2005
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