Sharon riconquista il Likud e spiazza la sinistra
di Flavio Sereni
[06 ott 05]

Mai come negli ultimi cinque anni la vita politica d’Israele ha avuto un’accelerazione tanto dinamica. Il protagonista sulla scena nello scorrere degli odierni eventi è il vecchio Ariel Sharon, che sta mostrando ad un attonito pubblico, oltre alle proprie proverbiali capacità militari, intuizioni politiche cui molti (in primis la sinistra italiana ed europea) quasi stentano a credere. Tanto che gli attestati di stima e ripetuto sprono che gli si vedono rivolti sulla stampa italiana ed internazionale hanno il sapore di un rovo spinato che stilla nettare. Oggi, terminato l’effettivo smantellamento degli insediamenti israeliani da Gaza, è possibile ragionare sulla lunga (e lungimirante) linea di strategia geopolitica portata avanti con forza negli ultimi anni dal premier della Knesset. In tempi non recentissimi, quando il nemico numero uno d’Israele era Arafat, Sharon ha ripetutamente risposto con forza alle operazioni della guerriglia nazionale palestinese: i contrattacchi israeliani destavano il furore della popolazione, che tendeva così a schierarsi sempre più al fianco di Hamas lasciando isolato l’anziano leader Arafat, la cui legittimità è stata così erosa e scalfita nel corso del tempo (i pianti e l’indicibile commozione popolare visti ai suoi funerali sono stati un po’ un obbligato manierismo di stile).

Con la democratica presa del potere da parte di Abu Mazen, Sharon ha invece optato per una gestione più elastica del rapporto con l’Olp, rimanendo realmente rigido e scontroso solo sul piano formale e della carta stampata; in tal modo, Abu Mazen ha potuto godere di un periodo di relativa tranquillità in cui poter consolidare il proprio potere, così come era nei desideri d’Israele (e non certo in quelli di Hamas). Inoltre, l’ultimo e noto passo della geostrategia di Sharon, il ritiro da Gaza. Il premier israeliano ha barattato la costruzione di un fronte di protesta interno, di entità fortunatamente sopportabile, con la derubricazione del terrorismo palestinese e del suo disarmo nell’agenda di Abu Mazen. Un problema “interno” trasformato in un problema “esterno”. Il problema resta, anche se pesa quasi tutto sulle spalle di Abu Mazen. E’ inoltre da notare come dopo il consolidamento del potere di Abbas, Sharon non abbia operato più sconti ai vertici Olp temendo, in caso contrario, il rischio a Gaza di vedersi trasformato un ritiro in ritirata, una vittoria di Hamas e del terrorismo. In quest’ottica leggiamo le rappresaglie israeliane degli ultimi tempi, così come l’ormai celebre sgambetto diplomatico delle sinagoghe “imprudentemente” lasciate alla custodia palestinese.

Che riflesso ha l’odierna situazione nel complesso gioco politico israeliano e palestinese? Iniziamo dalla Knesset. L’avversario politico oggi più temibile per Sharon non risponde al nome di Peres, ma di Netanyahu. Come è noto, infatti, Arik negli ultimi due anni ha indossato la maschera di Rabin, portando avanti con successo le politiche (prima fra tutte lo smantellamento degli insediamenti) che fino a tempi recenti erano presenti solo nell’agenda dei laburisti. Quest’operazione, fruttuosissima e financo “storica”, ha creato ovviamente spazio per il malcontento della parte più a destra del Likud, i così detti ortodossi, e non solo. Con uno Sharon che vola a bassa quota da colomba con un rametto di ulivo in bocca, non poteva che ripresentarsi in scena il re falco tra i falchi, Netanyahu, in cerca di consenso e di corone. Il partito è spaccato, il disegno di Netanyahu era di andare ad elezioni anticipate precedute da un congresso straordinario del Likud per la scelta del candidato premier. Ma in questi giorni tale disegno si è arenato e la maggioranza del partito resta con Sharon. Per i laburisti scorrono invece giorni neri. E non solo per lo squisito furto politico ad opera del vecchio generale.

L’unico modo in cui è per loro praticabile tornare al governo è il suicidio politico della destra. Con la defenestrazione dell’attuale premier, qualche chance di vittoria potrebbe presentarsi. Le ragioni dell’attuale crisi laburista, politica ma soprattutto elettorale, sono molteplici, e ne ricordiamo tre. Il paese ha accolto tutt’altro che con plauso sia il fallimento degli accordi di Oslo sia l’uscita improvvida da parte laburista da quel governo di unità nazionale che negli ultimi anni tutti invocavano (e il ritorno sui propri passi, seppur frettoloso, non è stato celere come sarebbe dovuto essere). Altri partiti insidiano ciò che rimane nell’agenda di Peres e Rabin, segnatamente il Meretz per le tematiche sociali e lo Shinui sulla lotta per il laicismo. Ma soprattutto non esiste un rinnovo generazionale né nella classe dirigente né, il che è politicamente più fiaccante, nel popolo laburista votante. Un dato per tutti: nelle ultime elezioni la percentuale di coloro che per la prima volta si apprestavano alle urne e che ha votato a sinistra è stata del 4 per cento. E’ evidente come le nuove fasce di elettorato ripongono fiducia nelle politiche di Sharon il trasformista.

Al di là del muro – la cui costruzione è stato l’unico momento in cui la sinistra israeliana è riuscita a rialzare la cresta – neanche Abu Mazen riesce a dormire i sogni tranquilli che sperava. Il suo problema ha nome e cognome: il disarmo di Hamas. L’organizzazione terrorista dopo il ritiro da Gaza ha concepito una nuova strategia, intelligente ed aggressiva: riduzione delle operazioni a Gaza, per non perdere il lauto consenso che si è ritagliata, e concentrazione delle stesse in Cisgiordania, come nel caso del rapimento e dell’assassinio di Sasson Nuriel, al fine di far mantenere alta la guardia sia a Israele sia ai vertici di Al Fatah. Hamas c’è, e nonostante gli ultimi avvenimenti corrano contro di lei, non si mostra fiaccata. Abu Mazen, grazie anche alla mossa di Sharon, è oggi al bivio della scelta tra il disarmo, che ha un costo politico discreto, e la tolleranza ad oltranza, che ha invece un costo storico enorme. Abu Mazen è oggi solo sotto i riflettori internazionali, e deve disarmare Hamas per ottenere una personale vittoria politica. Ma soprattutto deve disarmare Hamas per rendere effettiva la possibilità di una svolta nella storia palestinese, quella svolta che oggi dopo tanto tempo finalmente si inizia ad intravedere, seppur in lontananza, e che quasi fa sensazione pronunciare. Uno Stato palestinese. La pace.

06 ottobre 2005
 


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