Quelle tre sconfessioni tedesche
di Daniele Sfregola*
[22 set 05]

Il risultato enigmatico che la tornata elettorale tedesca ha portato con sè parla di un paese paralizzato. La paralisi che abbiamo in mente, però, non è quella più visibile, quella di natura politico-istituzionale di cui tutti parlano in questi giorni. Anche se si sta manifestando inequivocabilmente in quella forma, essa consiste in una congestione "culturale", prima che politica, che trova in Germania i segni evidenti della debolezza di questa Europa che al noto modello "renano", mix generico di mercato frenato e statalismo invadente, si è, per troppo tempo, aggrappata.

I frutti di una costruzione "sociale" della vita culturale del paese, che va dal mito della scuola pubblica (si legga: statale) ad una distorsione illogica del ruolo dei sindacati nelle dinamiche socio-economiche nazionali, dall'impaccio ideologico verso tutto ciò che riguarda la produzione di ricchezza all'ingiustificato (ed ingiustificabile) timore reverenziale verso culture politiche palesemente sconfitte dalla storia ma ammantate di veli "politicamente corretti" e radici ben solide negli schemi mentali dei cittadini, da un lato, e gretta conservazione degli status sociali già definiti, dall'altro.

Ciò che risulta chiaro, a nostro modo di vedere, dall'impasse politica derivante dalle elezioni tedesche è un disperato deficit di cultura politica liberale, anche a dispetto della buona prova fornita dal partito che liberale si definisce. Ciò che vogliamo evidenziare, in altri termini, è il fatto che da questo scontro elettorale, senza vincitori, il vinto solitario è dato dalla volontà di riformare radicalmente i rimasugli indigesti del "welfare state" che fu, che è, ma che non potrà più essere, a dispetto della volontà maggioritaria del paese.

E' un problema non solo tedesco, lo sappiamo bene tutti. Parliamo di Germania, ma è come se stessimo parlando di Francia, di Spagna (in un'ottica realistica, Zapatero è già sulla strada della chiusura della parentesi riformatrice di Aznar), di Belgio, Olanda e, soprattutto, di Italia. Elezioni vinte, perse o pareggiate, alla resa dei conti, la spinta popolare per rendere non irredimibili le sorti del paese non c'è. E, quasi sicuramente, continuerà a non esserci, se non si comprende che la prima, vera battaglia politica (in senso letterale) è quella della riaffermazione dell'individuo, della responsabilità a questi connessa, dell'ineliminabile spazio di libertà, economica oltre che "civile" (pena la perdita lenta e silenziosa anche della seconda), di cui egli ha bisogno, al di là delle soffocanti reti "ammortizzatrici" che caratterizzano il modello assistenziale tuttora in vita.

Il rischio è quello messo lucidamente in risalto dall'ex membro dello staff di George W. Bush, David Frum, su "Il Foglio" di oggi: abbandonare ogni velleità di sviluppo e progresso, passare il testimone alla Cina (che prima o poi sarà chiamata a risolvere la contraddizione di libertà che si porta dentro, come ha spiegato eloquentemente il professor Antonio Donno su "Emporion"), nello scacchiere geoeconomico mondiale.

In tal senso, la Germania, con le elezioni di pochi giorni fa, ha certificato pubblicamente le sue tre sconfessioni: a) la cosiddetta "economia sociale di mercato" è doppiamente pericolosa, perchè non produce occupazione e sviluppo, riducendo enormemente gli spazi di libertà individuale (si veda, ad esempio, il tema dell'iperfiscalità) e, parallelamente, cresce esponenzialmente a livello "culturale", negli schemi mentali quotidiani della stragrande maggioranza della popolazione, cosicchè risulta impossibile modificarne la struttura, in mancanza di in-formazione costante e coraggiosa; b) la trasposizione in chiave elettorale dell'assemblearismo social-democratico, fissato per legge in relazione al sistema di imprese, e che si chiama "sistema proporzionale" (sebbene questo sia lievemente mitigato dai "mandati diretti" maggioritari), produce gli stessi effetti distorsivi, stavolta nel "gioco" democratico, di quelli prodotti dal suo stretto parente nel "gioco" dell'economia; c) la guida politica dell'Europa non può esserci, perchè il disegno di Merkel di una Germania nuova e più attenta ai valori liberali in luogo di quelli "sociali" è stato rifiutato in blocco e tutto ciò che ne seguirà, nel triste, e a noi italiani pateticamente noto, "valzer" delle consultazioni partitiche, nulla potrà dinanzi alla generale considerazione che la vera locomotiva di questa Unione Europea (a livello di idee, oltre che di performances economiche in senso stretto), il Regno Unito di Blair, non partecipa della sua idea più forte, la moneta unica.

I successi di rinnovamento repentino e produttivo di Regno Unito e Stati Uniti sono nati dalle vittorie sul versante delle idee, dalla riaffermazione dell'individuo sullo Stato di un Reagan, dall'intransigenza fiera e rigorosa per le proprie convinzioni politiche di Thatcher e dagli eserciti appassionati di think tank, movimenti, personalità e mass media che hanno preparato il campo, prima di conquistarlo. Non viceversa.

22 settembre 2005

* Daniele Sfregola è il titolare del blog Semplicemente Liberale


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