Le imprese faranno a meno del governo
di Giuseppe Pennisi
[22 set 05]

L’Europa è stata la grande assente dell’accesa, ed a volte anche violenta, campagna elettorale che ha caratterizzato gli ultimi mesi della vita politica della Repubblica Federale Tedesca. Minaccia di esserlo anche in queste settimane in cui si tenta di dare vita ad un governo di coalizione basato su quello che potrebbe essere il minimo comun denominatore dei programmi delle maggiori forze in campo. Non è detto che il tentativo riesca; le posizioni sono state così estremizzate nel corso della campagna elettorale che ciascuna parte in causa avrà difficoltà a spiegare al proprio elettorato l’eventuale “ammorbidimento” delle tesi proposte. Pure in questo processo, tuttavia, l’Europa è assente.

Scrivo questa nota da Berlino. Nei giorni immediatamente successivi al voto la stampa e la televisione tedesca si sono limitati a trattare di Europa per descrivere lo sbigottimento nella capitali Ue di fronte al risultato, inconclusivo ed inconcludente, delle elezioni. Eppure, mai come adesso il futuro dell’Ue dipende dalla situazione politica e dagli orientamenti economici della Germania. Con circa 100 milioni di abitanti (compresi cittadini di etnia, lingua e cultura tedesca in altri Stati dell’Ue), un pil pari ad un quarto circa di quello dell’intera Unione, un forte avanzo commerciale attivo, ma un’economia in ristagno e 5 milioni di disoccupati (1,5 in più di quanto non fossero tre anni fa), la Repubblica è oggi non una pedina sulla scacchiera economica ma la carta da cui dipende la scommessa europea: vincere o perdere nel processo di integrazione economica internazionale.

Il presidente di turno degli organi di governo dell’Ue, Tony Blair, puntava su una svolta in Germania per potere dare corpo (con circa cinque anni e mezzo di ritardo) a quel programma “di Lisbona” (dal nome della capitale portoghese dove nel marzo 2000 venne tenuta una riunione straordinaria del Consiglio dei Capi di Stato e di Governo dell’Ue) che, con una ristrutturazione della spesa comunitaria, riforme economiche nei singoli Stati ed un forte apporto di progresso tecnologico avrebbe fatto diventare l’Unione l’area più dinamica dell’economia internazionale.

La svolta non c’è stata. E nell’immediato, non ci sarà. I tedeschi hanno preferito “non decidere”, prendere al più un”opzione call” di differimento per potere effettuare la svolta (che avrebbe implicato una drastica revisione di uno Stato sociale con radici centenarie) quando avranno maggiori informazioni ed avranno toccato con mano i risultati delle riforme già effettuate dal secondo governo Schröder. Nel breve periodo è probabile che l’economia continuerà a barcamenarsi ad un passo da lumaca quale delineato dall’ultima tornata di previsioni ecometriche (effettuata, peraltro, alla vigilia delle elezioni non dopo la comunicazione dei primi risultati: crescita reale rasoterra nel 2005 (i pre-consuntivi parlano di un aumento tra lo 0,3% e l’1,1%) ed il prossimo (tra l’1% e l’1,6%), andamento dei prezzi al consumo contenuto al di sotto del 2% l’anno, ed un tasso di disoccupazione sul 12% delle forze lavoro.

Gli indici di borsa hanno segnato al ribasso alle notizie sugli esiti elettorali. Il giorno dopo le elezioni, una delle maggiori (ed un tempo più dinamiche ed innovative imprese tedesche), la Siemens ha annunciato una riduzione drastica di personale: solo nel settore dei suoi servizi di supporto alla tecnologia dell’informazione e della comunicazione salteranno 2400 posti di lavoro. Altre imprese – si dice a Berlino – stanno mettendo a punto programmi di ristrutturazione con riduzione di occupazione. Ciò non vuole dire che nella paralisi della politica, l’economia tedesca, soprattutto la sua parte più vitale (l’imprenditoria), non cerchi di andare avanti. Jörg Krämer, direttore agli studi economici del Gruppo Hvb di Monaco sottolinea come “le aziende tedesche sono diventati i veri motori delle riforme”. Josef Joffe, amministratore delegato di uno dei maggiori quotidiani “Die Zeit”, aggiunge: “Quale che sarà il governo che emergerà dalle trattative in corso tra le forze politiche sarà necessariamente instabile: tuttavia, la Repubblica Federale non ha bisogno di un esecutivo per avere imprese in buona salute e dinamiche”.

Queste frasi danno meglio di altre il senso dell’atmosfera che si avverte a Berlino: disillusione nei confronti della politica (che ha partorito un risultato elettorale giudicato “incredibile”) e quindi pure nei confronti dell’Europa, che è in primo luogo politica. E’ una disillusione che deve indurre a riflettere perché, paradossalmente, solamente ripartendo dalla politica si può riannodare le fila e rimettersi su una via delle riforme già intrapresa negli ultimi anni, in materia, ad esempio, di previdenza e soprattutto di mercato del lavoro. Ritrovare il solco già tracciato e stabilire i tempi ed i modi per proseguirlo. E per farlo in un contesto europeo ed assumendosi responsabilità europee.

22 settembre 2005


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