Tony Blair. About the Boy
intervista ad Andrea Romano di
Alessandro Gisotti
[04 lug 05]
Chi è davvero Tony Blair e come verrà valutata la sua azione politica di
qui a vent’anni? All’indomani della terza vittoria consecutiva
dell’enfant prodige dei laburisti, ci viene in aiuto un bel libro: “The
Boy. Tony Blair e i destini della sinistra” di Andrea Romano.
Responsabile per la saggistica di Einaudi, Romano è stato a lungo
direttore della Fondazione ItalianiEuropei, think thank di punta della
sinistra riformista italiana. La sua biografia politica di Tony Blair
offre una chiave di lettura per comprendere il blairismo nel contesto
della sinistra europea e il ruolo del New Labour nella storia recente
del Regno Unito. In questa intervista con Ideazione, Andrea Romano si
sofferma sui successi e le sconfitte di Tony Blair e sull’eterno secondo
del partito laburista, Gordon Brown.
“Non affidate ad un ragazzo il lavoro di un uomo”,
recitava uno spot elettorale del partito conservatore nel 1997. Il
giovanilismo è stato invece proprio uno dei punti forti di Tony Blair.
Quanto è rimasto oggi di quella spinta innovatrice dell’homo novus
laburista?
Naturalmente l’età anagrafica della leadership neolaburista si è alzata,
con il passare degli anni. Ma quello che è accaduto è un abbassamento
strutturale dell’età media della composizione più ampia del governo
laburista, nel quale sono entrati in questo periodo molti giovani sotto
i quarant’anni di età. Quei “ragazzi” a cui l’elettorato britannico
affidò nel 1997 il compito di governare il paese sono cresciuti ma
stanno lasciando dietro di sé una generazione di giovani che sta
rapidamente acquistando capacità ed esperienza di governo. Ma anche al
di là del governo, il “giovanilismo” neolaburista si respira in tutto il
paese: basti pensare all’immagine di modernità che noi tutti associamo
alla Gran Bretagna di oggi, dopo i molti anni della crisi economica e di
status di quel paese.
Qual è secondo lei il contributo più significativo
che Blair ha dato per il rinnovamento del Labour Party?
Certamente quello di aver trasformato quello che era uno dei partiti più
sfortunati della sinistra europea, condannato a governare brevemente e
male per buona parte della propria storia, nel partito socialista di
maggiore successo. Oggi tutta la sinistra europea non può evitare di
guardare a Londra, sia come ad un modello positivo che come ad uno
spauracchio.
Quanto ha influito Margaret Thatcher sul destino
di Tony Blair?
Credo che la sua influenza sia stata molto ridotta, se non per quanto
riguarda lo stile della leadership. Che in Blair come nella Thatcher è
stato sempre improntato alla piena assunzione di responsabilità di
fronte alle scelte che si sono considerate giuste. Sia Blair che la
Thatcher sono stati “convinction leaders”: capi mossi da una profonda
convinzione nella giustezza delle cose che facevano e giudicati dal
proprio paese per questo.
Si dice che in Gran Bretagna ci siano due uomini
destinati ad aspettare: il principe Carlo e Gordon Brown. Per il
Cancelliere dello Scacchiere arriverà mai il giorno in cui prenderà il
posto dell’amico-rivale?
Tutto lascia pensare che sarà proprio Gordon Brown a candidarsi alla
guida del governo alle prossime elezioni del 2009, alle quali Blair ha
già deciso di non partecipare. Ma è legittimo pensare che vi sia la
possibilità che qualcuno più giovane di lui possa alla fine prevalere,
magari uscendo da quella nidiata di giovani e brillanti neolaburisti che
in questi anni si stanno facendo le ossa al governo.
Nei suoi lunghi anni al governo, Blair ha
affrontato molte ed impegnative sfide. Qual è il suo più grande
successo, quello destinato ad avere gli effetti più duraturi?
La trasformazione del modello economico britannico, che oggi rappresenta
la punta dell’innovazione europea, insieme alla sua capacità di
costruire in Gran Bretagna un solido “consenso progressista” che mette
insieme i voti del partito laburista con quelli del partito
liberaldemocratico: insieme, i due partiti di centrosinistra arrivano al
60% dell’elettorato.
Quale, invece, lo smacco più cocente?
Certamente l’Europa. Blair non è riuscito ad essere il grande
“traghettatore” della Gran Bretagna verso l’Europa, come si era prefisso
di fare all’inizio del suo mandato. Poteva forzare la situazione nel
1997 sulla moneta unica, quando aveva il vento in poppa, ma ha perso
quell’occasione. E oggi è tutto molto più difficile.
Amato e odiato dalle molte anime della sinistra
italiana, cosa rappresenta oggi Tony Blair per il fronte dei riformisti
italiani?
Blair non deve essere visto come un profeta sceso sulla terra con le
tavole della legge riformiste, ma un esponente di un movimento più ampio
di rinnovamento delle idealità socialdemocratiche. In fondo ha provato a
fare quanto in quegli stessi anni Novanta stavano tentando altri
esponenti della sinistra europea. Ci è riuscito meglio di altri. Ma
soprattutto rimane il fatto che la direzione della sua azione politica
(riassunta nella formula dell’innovazione economica da tenere insieme
alla coesione sociale) rimane l’unica direzione possibile per una
sinistra che voglia governare senza limitarsi a difendere le proprie
identità.
04 luglio 2005
gisotti@iol.it
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