Medio Oriente: realismo e necessità
di Federico Punzi*
[03 lug 05]

In questi giorni abbiamo letto commenti sull’esito delle elezioni iraniane – come quelli di Venturini sul Corriere o di Anna Momigliano su il Riformista – che risentono di un medesimo pregiudizio di fondo: che data la democrazia ai popoli del Medio Oriente, essi non sappiano farne uso. Entrambi commettono l'errore logico di interpretare l'esito del voto iraniano come un fallimento della strategia americana e uno stop del processo di democratizzazione del Medio Oriente. Prendiamo la Momigliano: "... l'effetto domino della democrazia esportata in Iraq, la cosiddetta primavera mediorientale, si è arrestato; elezioni libere (elezioni libere in Iran? Questa sì che è una notizia) non sempre portano a un governo democratico – e in Medio Oriente più spesso che altrove". Anche qui, sotto-sotto, gratta-gratta, troviamo il pregiudizio un po' razzista che se si mette in mano la democrazia ai popoli del Medio Oriente, questi masochisti scelgono la tirannia. Visto che la democrazia che gli ayatollah mettono in mano al loro popolo è piuttosto fasulla, questi autorevoli commenti convincono ancora meno. Leggiamo ancora: "... la democrazia che annulla se stessa perché non sempre la volontà popolare al governo (elezioni libere, democrazia e volontà popolare in Iran? Queste sì che sono notizie) significa più libertà civili e politiche, o un maggiore rispetto dei diritti umani. Non sempre il suffragio universale porta insomma a quel concetto di democrazia liberale". Infine, la ciliegina sulla torta ci sta, è di stagione: "... la scelta conservatrice del popolo iraniano". Ma se erano ammessi solo candidati conservatori, come faceva il popolo iraniano a scegliere diversamente?

Alla medesima conclusione, che la democrazia così com’è, senza aggettivi e senza attributi geografici, sia una possibilità realistica al di fuori della civiltà occidentale e quindi anche in Medio Oriente, giungono due autorevoli studiosi da campi del sapere molto diversi: Amartya Sen, premio nobel indiano per l’Economia, e Bernard Lewis, professore emerito di Studi sul Vicino Oriente all’Università di Princeton. "Il governo partecipativo non è un'idea intrinseca all'Occidente. E dall'Iraq all'Afghanistan può svilupparsi anche al di fuori di esso". L’Occidente "non ha il monopolio" della forma di governo democratica, scrive Amartya Sen, rispondendo a quanti, nel criticare legittimamente l’intervento militare in Iraq, sembrano però mossi da un ingiustificato "scetticismo riferito a una qualsiasi nozione di Iraq democratico".

La democrazia, dicono, non troverebbe "sintonia con i valori fondamentali propri di altri Paesi, come quelli arabi". Sen invita a considerare la democrazia come "possibilità di ragionamento collettivo e di processo decisionale pubblico – una forma di "governo attraverso il confronto"". In questa ottica, il momento elettorale fa parte di un quadro molto più ampio e sono molti gli elementi che occorre tener presenti e che precedono "pratiche rigidamente definite e precisamente collocate". Ci sono sicuramente la pratica del voto nell’antica Grecia, in particolare ad Atene, il pensiero occidentale moderno, l’illuminismo e le idee liberali e democratiche. Tuttavia, "le radici di queste idee generali" possono essere rintracciate anche in Asia e Africa. "Il salto logico che porta a sostenere la natura tipicamente "occidentale" o "europea" della democrazia genera solo confusione". Un problema sostanziale, osserva il Nobel indiano, è la tendenza a una "suddivisione del mondo in categorie prevalentemente razziali", per cui i discendenti dei Goti o dei Visigoti vengono visti "come i legittimi eredi della tradizione greca, mentre si fa fatica a prendere atto dei legami intellettuali tra greci e antichi egizi, iraniani e indiani".

Una forma di governo attraverso il confronto pubblico fece la sua comparsa non solo nell’antica Grecia, ma anche in India, a partire dal VI sec. A.C., nei cosiddetti "consigli" buddhisti, nei quali i sostenitori di differenti punti di vista si riunivano per discutere le loro divergenze d’opinione. L’imperatore Ashoka, racconta Sen, nel III sec. a.C. "ospitò il più grande di questi consigli nella capitale Pataliputra (oggi Patna)" e tentò di codificare e promuovere quella che deve essere stata "una delle prime formulazioni di regole per il pubblico dibattito – una primitiva versione delle "Robert’s Rules of Order" del XIX secolo". Parimenti, la cosiddetta "Costituzione dei 17 articoli", redatta dal principe buddhista Shotoku nel 604 in Giappone, "insisteva, in uno spirito molto simile a quello della "Magna Charta" di sei secoli successiva: "Le decisioni relative a importanti questioni non dovrebbero essere prese da una sola persona. Dovrebbero essere discusse da più individui"".

Numerosi sono anche i precedenti di "confronto pubblico e tolleranza nei confronti dell’eterodossia" nei Paesi musulmani. Sen ricorda il filosofo ebreo Maimonide, costretto nel XII secolo a emigrare da un’Europa intollerante trovando nel mondo arabo non solo un rifugio, ma "una posizione di prestigio alla corte dell’imperatore Saladino al Cairo". Mentre a Roma nel 1600 per decisione del tribunale dell’Inquisizione l’eretico Giordano Bruno fu messo al rogo, "Akbar, il grande imperatore Moghul dell’India (nato e morto musulmano), aveva appena ultimato il suo progetto di codifica legale dei diritti delle minoranze, tra i quali rientrava la libertà di religione per tutti", istituendo ad Agra forse il primo "gruppo di discussione multireligioso, nell’ambito del quale ebbero luogo incontri regolari tra induisti, musulmani, cristiani, giainisti, ebrei, parsi e persino atei, per discutere i punti e le ragioni delle loro differenti opinioni e per capire come convivere".
Dunque, conclude Amartya Sen, sarebbe "un errore tentare di servirsi dei problemi immediati del Paese per rinnegare la generale possibilità, oltre che la necessità, di democrazia in Iraq, Medio Oriente o in qualsiasi altro luogo". Un’operazione "faticosa" ma necessaria per il successo della democrazia in Iraq è quella di non limitarsi alle riunioni di capi tribali e ai consigli religiosi, ma di promuovere "incontri aperti e generali", visto che "tra i requisiti della democrazia rientra lo sviluppo delle opportunità di un confronto pubblico partecipativo", possibile solo attraverso "una più lucida comprensione della natura del "governo attraverso il confronto"". Bernard Lewis è tornato su un tema che lo ha visto più volte protagonista sul numero di maggio/giugno 2005 del bimestrale Foreign Affairs: "Parlare della dittatura come del modo in cui da tempo immemorabile si conducono le cose in Medio Oriente semplicemente non risponde al vero. E’ segno di ignoranza del passato arabo, disprezzo per il presente arabo, non curanza per il futuro arabo. Creare un ordine politico e sociale democratico in Iraq o in ogni altro luogo della regione non sarà facile. Ma è possibile e ci sono crescenti segni che è già cominciato".

Ritroviamo nel bagaglio culturale dell’Islam i principi che rendono possibile la democrazia e lo stato di diritto in Occidente? Sì e no. Il principio di uguaglianza fra gli uomini, cioè che nascono uguali, è un principio base dell’Islam fin dalla sua fondazione. Anche se non ha raggiunto livelli occidentali, il principio è presente nella cultura islamica. Il concetto di libertà invece, non è applicato alla politica, non è parametro di buon o cattivo governo. Nell’Islam ciò che qualifica un buon governo è la giustizia. Per essere qualificato come giusto il potere deve essere stato acquisito ed esercitato con pieno diritto. In altre parole chi governa non dev’essere né un usurpatore né un tiranno. Nel mondo islamico esistono anche concetti come il dovere di obbedienza all’autorità e il dovere di disobbedienza, quando l’obbedienza è peccato o è contro Dio. Il profeta Maometto si è prima opposto all’autorità, ma poi è divenuto un capo di Stato e ha governato. Dunque, i problemi legati ai limiti dell’autorità sono sempre stati presenti nel dibattito pubblico islamico, anche se nel corso del tempo ha prevalso la convinzione che fosse preferibile la tirannia all’anarchia.

Nell’Islam troviamo alcuni principi che indicano in che modo chi governa debba esercitare il proprio potere. Innanzitutto, la consultazione con i rappresentanti di gruppi tribali, etnici, religiosi, militari, notabili. In secondo luogo, fra governati e governanti esistono rapporti consensuali e contrattuali, nei quali vigono doveri reciproci. In terzo luogo, il potere non è ereditario, ma i successori vengono "scelti" da un gruppo di figure ritenute competenti e autorevoli. Dunque, la tirannia e il dispotismo non appartengono alla tradizione del governo islamico. Ma quando le cose hanno cominciato a cambiare? La prima fase è coincisa con l’introduzione dall’Occidente degli aspetti della modernizzazione, tra cui maggiori strumenti di controllo e repressione. Probabilmente l’esito più dannoso del processo di modernizzazione è stato l’annullamento dei corpi sociali intermedi, della società civile, la cui presenza tradizionalmente limitava i poteri dei governanti nel mondo musulmano.

La seconda fase coincide con la penetrazione, negli anni ’40, dell’ideologia nazista. Dopo l’invasione della Francia, i territori arabi sotto dominio francese scelsero di rimanere dalla parte del Governo di Vichy e divennero basi militari e di propaganda nazista in tutto il mondo arabo. Principi come il panarabismo, il nazionalismo, il socialismo, l’antisemitismo costituirono l’ossatura ideologica dei partiti Baath in Siria e Iraq e del nasserismo in Egitto. Ampiamente studiato il legame fra il mufti di Gerusalemme Haj Amin al-Husseini e Adolf Hitler. A termine della II Guerra Mondiale, partiti francesi e inglesi, il mondo arabo subì la penetrazione della propaganda sovietica, e nell’ideologia dei partiti al governo furono introdotto senza troppa fatica elementi dell’ideologia comunista. La dittatura come forma di governo nel mondo arabo è dunque un prodotto d’esportazione europeo e aliena alla fondazione della civiltà islamica. Alcune idee centrali della civiltà occidentale, dall’antichità greco-romana fino a oggi, sono invece assenti nell’Islam: le nozioni di cittadinanza e di partecipazione dei cittadini al governo della cosa pubblica. Legami etnici, tribali, religiosi sostituiscono l’idea di cittadinanza, anche se ciò non impedisce forme di condivisione del potere in assemblee come la Loya Jirga in Afghanistan.

Di recente, i mezzi di comunicazione di massa sono stati eccellenti armi per la propaganda e strumenti di controllo in mano ai regimi, ma i mezzi più moderni di comunicazione (internet, tv satellitare, telefonia mobile) sfuggono al controllo delle autorità e mettono in crisi ciò che mantiene al potere i dittatori, cioè il controllo della produzione, della distribuzione e della circolazione di informazioni e idee. Con le stesse dinamiche osservate per il crollo del consenso nell’Unione Sovietica, assistiamo oggi alla crescita nel mondo arabo della percezione del proprio sottosviluppo nei confronti non solo del ricco occidente, ma anche dell’oriente asiatico in rapido sviluppo: Cina, India, Corea del Sud, Sud-Est asiatico. Qualora si consolidi la democrazia in Iraq, un esempio interno al Medio Oriente potrebbe avere effetti dirompenti. L’Iraq, tra l’altro, beneficia di due condizioni che si debbono al regime "laico" di Saddam: la presenza di un’istruita classe media e una discreta partecipazione delle donne nella vita pubblica.

Ovviamente, l’esperimento iracheno è ancora sottoposto al pericolo del fallimento, soprattutto per mano di nemici esterni, per i quali il successo della democrazia in Iraq costituirebbe una minaccia alla loro stessa sopravvivenza al potere. Diversi gruppi con interessi divergenti e ideologie contrastanti stanno facendo del loro meglio. Da un parte i fondamentalisti islamici, che rifiutano la modernizzazione e la democrazia come elementi corruttori delle società islamiche ad opera degli infedeli (il Grande Satana americano e i suoi cortigiani). La prima reazione fondamentalista alla penetrazione di idee e costumi occidentali ha origine in Egitto nel 1928, con la costituzione del movimento dei Fratelli Musulmani, oggi un’internazionale dell’islam radicale diffusa in tutto il Medio Oriente che riunisce partiti, movimenti, gruppi, dai più ai meno estremisti. Facendo leva su un linguaggio familiare e sulle insicurezze della popolazione dinanzi alla modernizzazione, questi movimenti traggono la loro popolarità dal recupero di valori tradizionali e rassicuranti. L’Islam politico diviene una forza internazionale nel 1979, con la rivoluzione islamica in Iran. Come dimostra sempre più la Repubblica islamica iraniana, il fondamentalismo perde la sua popolarità e suscita crescente scontento nella popolazione quando conquista il potere e governa.

Altrettanto pericoloso è il fondamentalismo sunnita, soprattutto nella sua versione wahhabita. I suoi punti di forza e la sua attrattiva sono dovuti al regno dei Saud in Arabia: il governo sulle città sante e le immense ricchezze dovute al controllo dei giacimenti petroliferi. La convinzione diffusa che il wahhabismo abbia causato il crollo dell’Unione Sovietica con la vittoria sull’Armata Rossa in Afghanistan ha generato una seconda convinzione: che distruggere l’America sia addirittura più facile, e comunque ineluttabile. Alla luce delle conclusioni a cui giungono Amartya Sen e Bernard Lewis, la democrazia in Medio Oriente non solo è una possibilità realistica, ma una necessità storica e politica, se, come ripete spesso Marco Pannella, la democrazia è un diritto soggettivo storicamente acquisito per ogni essere umano. I due studiosi sembrano muoversi dalla premessa logica, culturale e antropologica, che a essere comparate fra loro non sono le diverse civiltà, come qualcuno è tentato di fare, ma le forme di governo che determinano diversi gradi di sviluppo. "Libertà è sviluppo. Perché non c'è crescita senza democrazia", è il titolo di un libro di Amartya Sen.

03 luglio 2005

f.punzi@radioradicale.it

* Federico Punzi è il titolare del blog JimMomo


I blog di Ideazione

The Right Nation
Walking Class
1972
Le guerre civili
I love America
Regime Change
Krillix
Mattinale
JimMomo



Network
italiano


















Network
internazionale