Medio Oriente a ritmo di riforme
di Marco Vicenzino*
[06 giu 05]
Anche prima della ritirata dal Libano, era chiaro che il regime di Assad
dominato dalla minoranza Alawita, fosse in bancarotta ideologica e
mantenesse il controllo attraverso la forza bruta e la coercizione. Il
suo unico obiettivo è sopravvivere, mediando con l’élite dominante. Per
principio, l’ultima parola spetta a Bashar Assad. In pratica, fazioni in
competizione fra loro nella sua cerchia più ristretta di collaboratori
esercitano una grande influenza per proteggere i feudi che si erano
assicurati in quanto fedeli servitori di Hafez al Assad. Tuttavia è
finito il tempo delle sottigliezze politiche e dell’astuzia diplomatica
del padre. Alla morte di suo fratello, che avrebbe dovuto essere l’erede
al trono, l’inesperto Bashar fu prelevato dalla sua vita di libero
professionista a Londra per essere addestrato alla guida di un regime
autocratico. Quando egli prese il potere, l’iniziale apertura politica
ebbe vita breve. In effetti, a partire dall’assassinio di Hariri, la
repressione interna è cresciuta così da schiacciare ogni dissenso ed
eliminare ogni discussione sull'impatto che il processo di
democratizzazione in LIbano potrebbe avere sul regime siriano.
Un dispiegamento siriano di “volontà popolare” difficilmente provocherà
una “conversione a Damasco” del regime. Ogni dissenso o ogni mossa della
maggioranza sunnita, che costituisce oltre l’80 per cento della
popolazione, può portarlia alla stessa fine degli islamisti sunniti
massacrati a Hama nel 1982. Nonostante disponga di armi decrepite,
l’esercito siriano può ancora mantenere l’ordine interno con la forza,
se necessario. Tuttavia i concetti di intervento umanitario e di
sovranità nazionale si sono evoluti negli ultimi venti anni. D’altra
parte non si può escludere il collasso del regime dal suo interno. Gli
Stati Uniti continuano a fare pressioni sulla Siria, in particolare per
le sue attività sul confine con l’Iraq e il cambio di regime verrebbe
sicuramente accolto bene dall’amministrazione Bush. Però, dal punto di
vista di Israele, la sopravvivenza del regime di Assad può esserle
utile. Nonostante la minaccia costituita dal suo appoggio agli Hezbollah
e a gruppi militanti palestinesi, la Siria non costituisce un problema
di esistenza e rimane un nemico debole e prevedibile.
Invece l’esito di un cambiamento del regime è imprevedibile. Può dare
origine ad un governo riformatore così come ad un regime militante
espressione della maggioranza sunnita, probabilmente anche islamista,
che destabilizzerebbe ulteriormente la regione. Il Medio Oriente è
evidentemente nelle prime fasi di una sua trasformazione rivoluzionaria,
che però, pur avendo subito un’accelerazione negli ultimi mesi, non ha
ancora un suo percorso e un suo modello ben delineati. Gli esempi
comprendono le elezioni in Afghanistan, Iraq, Palestina e lo sviluppo
graduale del processo di pace nel Medio Oriente, il Libano, le elezioni
municipali in Arabia Saudita e l’apertura politica in Egitto. Tuttavia,
in tempi di rivoluzioni, ci si deve preparare all’imprevisto, sia
positivo che negativo. Si possono sprigionare forze che diventano
incontrollabili e possono far nascere dinamiche drammaticamente
differenti rispetto alle intenzioni di chi ha architettato la
rivoluzione. Il peggior scenario è che in seguito a elezioni libere e
aperte in tutta la regione vincano partiti estremisti che, una volta al
potere, distruggano quelle istituzioni democratiche che avevano permesso
loro di arrivare al governo.
Nell’incoraggiare la riforma, bisogna sottolineare l’importanza di avere
dei governi rappresentativi, affidabili e trasparenti e di investire
risorse per lo sviluppo di strutture e istituzioni della società civile
che possono prosperare nel tempo. Cercare di imporre una democrazia
occidentale senza tener conto della storia e della cultura politica può
essere controproducente e scatenare una reazione radicale. Le modalità
del sostegno devono essere determinate dal grado di recettività della
società locale. Se lento, si proceda con cautela; se è rapido, si
proceda di conseguenza. Ogni società deve essere trattata secondo le sue
caratteristiche. Non si può adottare un’unica misura. Il successo, in
ultima istanza, dipende dalla volontà della popolazione locale di
accettare, perseguire e applicare il cambiamento.
06 giugno 2005
traduzione dall’inglese di Stefano Magni
* Marco Vicenzino è stato Deputy Executive
Director dell'International Institute for Strategic Studies statunitense
e docente di Diritto internazionale alla School of International Service
dell'American University di Washington. Come analista e commentatore di
affari internazionali, ha collaborato con Financial Times, Le Figaro, El
Mundo, El Pais, La Vanguardia, Al Hayat e Panorama. |