Libano, anno zero
di Marco Vicenzino*
[26 maggio 05]

Nonostante il ritiro delle forze siriane e le elezioni previste per il prossimo 29 maggio, il Libano deve affrontare ancora sfide enormi il cui esito risulterà decisivo per il suo futuro e per quello del Medio Oriente. La sfida maggiore per tutti i futuri governi è quella di disarmare degli Hezbollah e coinvolgerli appieno nella normale vita politica del Libano. Il disarmo richiede una “soluzione libanese” negoziata da un futuro governo sotto gli auspici delle Nazioni Unite, compresa una fase di smobilitazione e integrazione nelle fila dell’esercito regolare libanese. Essendo l’organizzazione politica, sociale e militare più coesa, essa resta l’anello mancante della piena stabilizzazione del Libano. Sebbene sia rappresentata da nove parlamentari, il fatto che si tratti di un’organizzazione armata la relega ai margini della politica. La maggior parte dei libanesi considerava con orgoglio gli Hezbollah come una legittima resistenza contro l’occupazione israeliana, ed in effetti erano stati l’unica forza araba che aveva sconfitto Israele in due decenni di guerriglia. Tuttavia, i laici e i libanesi non sciiti temono la prospettiva di un futuro regime islamico sciita, così come gli Stati sunniti della regione temono il formarsi di una mezzaluna sciita comprendente Iran, Iraq, Siria e Libano.

La posizione degli Hezbollah

Nonostante la massiccia dimostrazione del 7 marzo, gli Hezbollah sono divisi sulla posizione da adottare di fronte a questa fase di transizione. I falchi sostengono esplicitamente la presenza siriana. Fin dalla morte di Hafez al Assad, i pragmatici sono stati frustrati dall’inettitudine diplomatica siriana, in particolar modo dal grande errore di calcolo che ha incoraggiato l’approvazione della Risoluzione 1559 del Consiglio di Sicurezza, cioè la richiesta del ritiro delle truppe siriane e del disarmo di tutte le milizie. Pur desiderando prendere le distanze dalla Siria, almeno ufficialmente, i pragmatici vogliono evitare di rompere completamente, a causa della sua influenza e del suo appoggio. Benché il ritiro siriano rappresenti una minaccia per gli Hezbollah, essi continueranno a sopravvivere come partito politico, fornendo servizi sociali grazie ai fondi iraniani (fondamentali alla loro esistenza) e conservando il sostegno dei membri costituenti sciiti.

La questione palestinese

Una questione di cui si discute poco è la presenza di più di trecentomila palestinesi nei campi profughi con le loro milizie armate, che hanno avuto un ruolo fondamentale nella rottura del fragile equilibrio di potere fra le varie fazioni libanesi durato dal 1943 al 1975, quando il Libano, allora democrazia parlamentare, era comunemente considerato la “Svizzera del Medio Oriente”, in cui i Cristiani giocavano il ruolo dominante. La Risoluzione 1559 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu sul disarmo include anche quello dei gruppi armati nei campi profughi. L’evoluzione del processo di pace in Medio Oriente e la soluzione del problema dei campi profughi, sono fattori cruciali per la futura stabilità del Libano e di altri paesi della regione. Infine, la comunità internazionale dovrà fornire fondi e logistica per implementare la Risoluzione.

La situazione economica

Lo status quo economico libanese è semplicemente insostenibile. Il sostegno delle banche e della finanza ai gruppi di opposizione rimane una costante. La presenza siriana scoraggiava investimenti diretti stranieri, come pure la mancanza di affidabilità e trasparenza. Hariri, pur rappresentando la stabilità e la ricostruzione post-bellica, governò con il consenso della Siria e sotto la sua guida, durata per la maggior parte degli scorsi dodici anni, il paese ha sperimentato un alternarsi di periodi di boom e crescita, con periodi di malgoverno e corruzione. In tempi di crisi economica, egli riuscì ad attivare la sua rete di contatti internazionali per salvare il Libano e fu sempre puntuale nel pagare i debiti. Comunque, queste misure non sono un surrogato della prudenza fiscale e della trasparenza. Hariri lasciò il suo incarico con un debito pubblico che ammontava a 35 miliardi di dollari. Il debito pubblico in rapporto al Pil era del 186 per cento, uno dei più alti al mondo. Una priorità del nuovo governo deve essere la rinegoziazione del debito per un periodo dai 20 ai 30 anni, considerando che oltre il 50 per cento del bilancio attuale va a ripianare il debito. Anche se rattristati dalla morte di Hariri, molti Libanesi, specialmente i giovani, hanno versato lacrime amare per le condizioni in cui versa il Libano più che per la morte dell’ex primo ministro. La reazione è stata una voglia di cambiamento e la fine dell’occupazione straniera. La ritirata siriana penalizza il redditizio mercato nero vantaggioso per la Siria e i suoi sostenitori libanesi, con un giro di affari stimato fra i due e i tre miliardi di dollari all’anno. Dopo la caduta di Baghdad, la Siria ha perso quel miliardo di dollari che ogni anno guadagnava grazie al commercio illegale di petrolio con l’Iraq, che continuava con l’approvazione tacita dei membri del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. La ritirata dal Libano minerà gravemente la fragile economia di Stato siriana, riducendo le disponibilità finanziare dell’apparato di sicurezza e quindi indebolendo il regime.

Opposizioni ed elezioni

L’opposizione è costituita da una fragile coalizione di drusi, cristiani, sunniti ed elementi laici degli sciiti. Dopo l’approvazione della Risoluzione 1559, è iniziato un processo di riconciliazione fra drusi e cristiani maroniti dopo anni di ostilità.
L’assassinio di Hariri ha svolto la funzione di catalizzatore per la comunità sunnita e ha indotto alcuni gruppi minori a serrare i ranghi, compresi quei gruppi che in passato si erano rifiutati di contestare la Siria, per paura di rappresaglie e altri che addirittura erano al servizio degli interessi siriani. I cristiani sono tutt’altro che compatti, ma il ritorno di Michel Aoun, che aveva lasciato il Libano dopo che era stato sconfitto dai siriani, ha reso molto più dinamico lo scenario politico. Walid Jumblatt, la quintessenza del sopravvissuto politico, il cui padre fu assassinato da Hafez Al Assad, emerge come il principale leader politico dopo l’assassinio di Hariri. Dotato di un notevole acume politico e della leadership indiscussa della comunità drusa, ha cambiato posizione regolarmente nel corso degli anni mirando soprattutto a sopravvivere. Sebbene sia un efficiente leader di una fazione, non ha i requisiti e la lungimiranza politica necessari a guidare il Libano.

Un’opinione diffusa fra molti libanesi dell’opposizione è che la comunità internazionale, principalmente gli Stati Uniti, non darà più il suo appoggio. Guardano soprattutto all’ondivaga politica statunitense negli ultimi trent’anni, in particolare l’accettazione del protettorato siriano de facto come compenso alla partecipazione della Siria nella guerra contro l’Iraq del 1991. Tuttavia, attualmente, l’amministrazione Bush è vincolata da una legge degli Stati Uniti, il Syrian Accountability Act, dalla Risoluzione 1559 e soprattutto da un vincolo di credibilità. Mancare alla promessa della democratizzazione, che è stata coerentemente e costantemente ricordata nel discorso inaugurale e nel discorso dello Stato dell’Unione del presidente, avrebbe conseguenze devastanti per la sua credibilità personale e per la politica estera degli Stati Uniti nel Medio Oriente e altrove. In particolar modo, porrebbe fine simbolicamente al suo Grande Disegno per il Medio Oriente e il Nord Africa.

Il coinvolgimento delle democrazie del mondo, dell’Onu e di importanti Ong, resta un elemento essenziale per assicurare elezioni libere e trasparenti. Squadre di osservatori internazionali ed educatori elettorali dovrebbero essere immediatamente inviate in Libano per lavorare per cooperare con le organizzazioni locali. L’influenza e le manipolazioni siriane possono minacciare le elezioni, in particolar modo nelle aree fuori Beirut, dove i signori della guerra filo-siriani possono essere allertati, membri vulnerabili dell’opposizione possono essere persuasi ad abbandonare la lotta e migliaia di lavoratori immigrati siriani possono ottenere la cittadinanza o essere registrati illegalmente per votare. La popolazione libanese, attualmente, ammonta a tre milioni e mezzo di abitanti e il numero dei lavoratori immigrati siriani è stimato fra i 500e i 900mila. Elementi dei servizi segreti siriani e i loro collaboratori libanesi, impiegheranno tutti i mezzi necessari per sabotare le elezioni.

Il futuro del Libano

Nonostante le truppe siriane si siano ritirate dal Libano, la geografia impone che l’influenza siriana negli affari libanesi continui ad essere una realtà, analoga al ruolo della Russia in parte dell’ex Unione Sovietica. Comunque, i libanesi, con l’aiuto della comunità internazionale, possono aiutare a determinare l’entità di questa influenza. Per alcuni, il Libano è un paese troppo piccolo per permettersi persone con grandi idee. Questi individui sono stati assassinati o sono fuggiti in esilio. Il cinismo alimenta la corruzione, la disillusione, corrode la cultura politica e fa strage della speranza dei giovani per un futuro migliore. Il successo della diaspora libanese dimostra che la Nazione è ricca di talenti. Se il successo può esser raggiunto all’estero, perché non raggiungerlo in patria? Finché l’identità e l’appartenenza politica sono determinate dalla lealtà ad una fazione o ad un leader, il Libano potrà fare ben pochi passi avanti. Gli interessi di fazione devono essere rimpiazzati da interessi nazionali. Le facce e i nomi che hanno dominato la scena politica del Libano per decenni non possono sostituirsi ad una nuova leadership politica di larghe vedute e integra che promuova un’agenda basata più sulle idee e meno sulle persone.

26 maggio 2005

traduzione dall’inglese di Stefano Magni

* Marco Vicenzino è stato Deputy Executive Director dell'International Institute for Strategic Studies statunitense e docente di Diritto internazionale alla School of International Service dell'American University di Washington. Come analista e commentatore di affari internazionali, ha collaborato con Financial Times, Le Figaro, El Mundo, El Pais, La Vanguardia, Al Hayat e Panorama.
 


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