Zapatero, lo sponsor perdente
di Franco Oliva
[24 maggio 05]
Tutte le grandi tragedie oscurano i piccoli drammi dei quali sono madre.
Alla regola non si è sottratto il crollo del bastione rosso-verde del
Nord Reno-Westfalia che ha occultato, nella polvere prodotta dallo
sgretolamento del colosso d’argilla Gerhard Schroeder, la faccia
imbambolata, l’espressione incredula, gli occhioni alla Bambi di Jose
Luis Rodriguez Zapatero, il mitico ZP. Per il messianico “jefe de
gobierno” spagnolo e campione della nuova sinistra europea si è trattato
del quarto colpo in sei mesi e altri nuvoloni già avanzano
all’orizzonte. Prima la sconfitta del cavallo sul quale aveva
apertamente e inopinatamente puntato alla corsa presidenziale negli Usa,
quel John F. Kerry, che si era rivelato un ronzino e gli aveva negato la
vendetta contro George W. Bush, colpevole soprattutto di essere stato
amico ed estimatore di Aznar e del suo modello di Spagna e di Europa.
Eppure lui, ZP, gli aveva dato su un piatto d’argento argomenti con la
sua precipitosa fuga, nottetempo, dall’Iraq.
Poi, l’elezione di un Papa, Benedetto XVI-Ratzinger, che non gli piaceva
affatto perché non avrebbe avuto il decoro di accettare in silenzio il
gran ritorno, dopo l’epopea della guerra civile degli anni Trenta del
passato secolo, dell’anticlericalismo della sinistra radicale spagnola.
Quindi la vittoria di quel bellimbusto di Tony Blair, un altro del
quartetto “pro-democrazia in Iraq” (con Bush, Aznar e Berlusconi). E ora
la dura sconfitta di Schroeder, che sembra anticipare di poco lo
schiaffo che i francesi si apprestano a dare al referendum sulla
costituzione europea, al più omaggiato dei suoi nuovi amici del cartello
anti-Bush, Jacques Chirac, che non sarà socialista doc ma è pur sempre
un bel socio anti-americano. Aveva chiuso la campagna elettorale a
Dortmund con l’amico Gerhard e Franz Muentefering, il presidente del
Spd. Aveva fatto appello agli elettori di origine spagnola, secondi dopo
gli italiani nella classifica degli immigrati che hanno contribuito allo
sviluppo della Ruhr nel dopoguerra, riuscendo a mitizzare in mdo
acriticamente positivo le pagine di un eroismo fatto soprattutto di
dolore e di sacrificio. Era istruttivo e quasi divertente leggere nei
giorni scorsi le cronache dell’apparizione tedesca di ZP sui giornali
spagnoli, di diversa tendenza. Anche perché solo loro avevano capito
quello che il loro ineffabile presidente si era affannato a dire.
E non era solo un problema di lingua. La sua tiritera è la stessa che
usa a casa: pace universale, alleanze di civiltà, disprezzo del
capitalismo, internazionalismo socialista, nuovo ordine morale e civile,
bla bla bla... Roba per palati socialisti robusti, ottima per rallegrare
e intrattenere le masse organizzate e festanti delle celebrazioni di
partito o delle marce anti-americane, no global o gay pride. Ma i poveri
ascoltatori tedeschi, più prosaicamente, si aspettavano parole di
fiducia sul loro futuro, minacciato da una politica economica alla
deriva dopo sei anni di gestione rosso-verde. Volevano, soprattutto,
misurare le prospettive per il loro lavoro, con la disocupazione che ha
raggiunto livelli da anteguerra, dopo la chiusura del 95 per cento delle
sue mitiche miniere e fabbriche siderurgiche, con gli imponenti
altoforni simbolo della potenza industriale tedesca. Non hanno avuto le
risposte che si aspettavano e la loro risposta ormai fa parte della
storia elettorale e politica della Germania.
PS. Si spera che gli strateghi dell’Ulivo – singolo o plurale – non
leggano questa nota e non stacchino già da adesso le linee telefoniche
con il palazzo della Moncloa di Madrid per non farsi trovare quando il
buono e simpatico Josè Luis si auto-inviterà a portare la sua
solidarietà e il suo sostegno militante nella prossima campagna
elettorale italiana. La superstizione – lo dice anche Berlusconi – e’ un
peccato, anche se veniale, ma non si sa mai...
22 maggio 2005
|