Il lento cammino democratico del Togo
di Susanna Creperio Verratti
[09 mag 05]
La morte del vecchio dittatore africano Eyedema, avvenuta lo scorso 5
febbraio per un attacco cardiaco, poteva chiudere anche per il Togo
la storia dell’Africa di ieri. Invece la successione dinastica del
figlio Faure Gnassingbé, 39 anni, imposta dall’esercito con un colpo di
mano, fa compiere al piccolo stato dell’Africa occidentale un passo
indietro allontanando il popolo sofferente dalla speranza di essere
libero e di ricevere aiuti. Il Parlamento, per favorire il passaggio del
potere al figlio del dittatore, ha cambiato la Costituzione che prevede
in questi casi elezioni entro 60 giorni, approfittando del fatto che il
presidente del Parlamento fosse in Europa. La successione dinastica al
potere in Togo, in spregio al processo di democratizzazione in corso
anche in Africa non promette nulla di buono. “Quello che è accaduto in
Togo - ha dichiarato il presidente del Niger, Mamadou Tanndja - non fa
onore all’Africa”. Le recenti elezioni presidenziali del 24 aprile che
hanno visto la vittoria schiacciante di Gnassingbe con il 6o per cento
dei voti (1,3 milioni di voti), hanno provocato un clima di guerra
civile. L’opposizione dichiara la morte di sei civili durante scontri
con la polizia, il ministro degli interni togolesi denuncia un solo
morto. L’opposizione, guidata dall’UFC di Gilchrist Olimpio ha
dichiarato che, per i numerosi brogli elettorali, è stata “rubata” la
vittoria al suo partito che candidava Boli Akitani (38 per cento di
consenso pari a 841mila voti).
Eppure, nonostante le molte provocazioni e il clima di forte tensione,
più di due milioni di persone si sono recate alle urne dimostrando la
volontà di democratizzare il proprio paese. La Repubblica del Togo,
piccolo paese dell’Africa occidentale, ex colonia francese, indipendente
dal 1960 ha conosciuto, per prima in Africa, un colpo di Stato militare
ad opera di Etienne Eyadema, un kabyè del Nord che depose Sylvanus
Olimpio, un ewe del Sud, nel 1963. La dittatura militare di Eyadema,
fondata sul culto della personalità, iniziò a vacillare negli anni
Novanta sotto la spinta del processo di democratizzazione
dell’opposizione, sostenuto soprattutto dalla Francia, che esercitava
forti pressioni perché il presidente si aprisse a un sistema
multipartitico. Sino al ’93, anno in cui il presidente indisse e vinse
le elezioni, gli scioperi misero in ginocchio il paese e da allora
l’opposizione ha boicottato e bloccato ogni iniziativa di ripresa di
dialogo da parte del governo, nonostante un’apertura al multipartitismo
nelle ultime elezioni politiche del ’94. All’indomani degli episodi di
violenza la Comunità europea interruppe sussidi ed aiuti economici,
sospese la cooperazione nei confronti del Togo, richiamandosi
all’articolo 96 dell’Accordo di Cotonou in applicazione del principio
secondo cui il rispetto delle istituzioni democratiche, dei diritti
dell’uomo e dello Stato di diritto costituiscono gli elementi essenziali
dell’Accordo di parternariato con l’Europa.
Il clima di violenza esploso nei giorni che hanno preceduto le elezioni
presidenziali del 24 aprile scorso ha purtroppo impedito la presenza di
osservatori esterni. La delegazione di giornalisti europei, già invitata
lo scorso anno e di cui chi scrive fece parte, non ha potuto presenziare
in qualità di supervisore europeo per motivi di sicurezza. L’Unione
Europea si dice pronta a finanziare elezioni legislative per il rinnovo
del Parlamento e per verificare la reale risposta politica della
società. L’attuale presidente ha promesso libere elezioni per la
prossima primavera. Ma in un paese privo di comunicazioni e di mezzi
mediatici, ci si domanda come sia possibile una adeguata e corretta
informazione, soprattutto tenendo conto che migliaia sono i villaggi
isolati, ancora guidati dalla figura di preti wudu. Il neopresidente,
riprendendo una soluzione avanzata da Stati Uniti e Unione Europea, ha
proposto la formazione di un governo di unità nazionale. “Io credo che
oggi, viste le nostre difficoltà, bisogna ritrovarci tutti in un unico
governo e ridare un’immagine positiva al paese”, ha dichiarato dopo
l’elezione per un mandato di cinque anni. Oggi il Togo è al collasso
economico. Lo Stato togolese a stento è in grado di pagare gli
insegnanti della scuola pubblica (80-90 allievi per classe), è privo di
fondi per combattere la violenza contro le donne e il traffico dei
bambini. Nei villaggi, disseminati per il paese, bambini e bambine,
tolti alle loro famiglie con la promessa di un futuro migliore, vengono
portati verso il Gabon, attraverso la Nigeria, e venduti come schiavi.
La pratica dell’infibulazione è assai diffusa in tutto il paese, non
solo tra i musulmani (25 per cento della popolazione) ma anche tra gli
animisti (52 per cento). Le donne ministro del precedente governo di
Eyadema hanno portato avanti una battaglia nazionale contro la violenza
all’infanzia, a tutti i livelli, a cominciare dalla scuola. In
particolare, Saayo Boyoti, ministra degli Affari sociali, ha fatto
approvare dal consiglio dei ministri il “Progetto del codice del
bambino”, ora in attesa di essere varato dal Parlamento. Obiettivo è la
lotta alla violenza contro donne e bambini. Anche nella società civile
si moltiplicano iniziative di singoli e di associazioni, moltissime
femminili, per combattere la povertà, la prostituzione, sostenere le
madri che lavorano raccogliendo i bambini in asili per toglierli dalla
strada. Nell’aprile 2004 chi scrive è entrata in contatto con la
drammatica realtà del Togo in occasione dell’invito rivolto
dall’associazione Presse Privée Togolaise ad una delegazione di
giornalisti europei, accreditati a Bruxelles, con lo scopo di valutare
lo stato della libertà di stampa in quel paese. I giorni trascorsi a
Lomè hanno favorito incontri con associazioni molto attive e determinate
a combattere l’estrema povertà. In particolare, le Groupement Sourou,
riconosciuto ufficialmente dal 14 settembre del 2000 dal ministereo
dell’Interno, della Sicurezza e della Decentralizzazione, presieduto da
Irène Mondomanzi e formato da 34 donne di un quartiere della capitale,
ha già realizzato iniziative sociali come la custodia per i figli delle
mamme del quartiere che lavorano, una cabina telefonica e una fontana
pubblica.
Il gruppo Sourou (che significa “pazienza”) sta ora cercando di
realizzare importanti progetti per migliorare la vita delle donne e dei
bambini. In particolare intende dare vita a un “Centre de promotion pour
la petite enfance”, centro-pilota per l’educazione di bambini e bambine
per il resto del paese. Il Comitato Clubdonnapolitica ha risposto
all’appello e ha definito con il Sourou un progetto di cooperazione “per
un asilo in Togo” con il patrocinio del ministero italiano per le Pari
Opportunità. Con i fondi già raccolti si darà inizio ai lavori di
costruzione in muratura dell’edificio che ospiterà cinquanta bambini.
Occorrerà poi completarlo con l’arredo e il materiale necessario ed
avviarlo per la durata di tre anni. Oggi migliaia di togolesi stanno
lasciando il proprio paese per rifugiarsi nel Benin evitando le
conseguenze di un conflitto tribale oppure in cerca di lavoro. Il
reddito medio di un togolese è oggi di venti euro al mese. Ogni donna ha
in media sei figli. Non è difficile capire che la povertà porta con sé
miseria umana e sfruttamento. La miseria conduce alla rabbia e alla
violenza. Prostituzione delle bambine e tratta dei bambini affliggono la
piccola Repubblica del Togo. Difficile in queste condizioni esigere che
solo dall’interno si realizzi un completo processo di democratizzazione.
Cooperare con il Togo e non abbandonarlo al suo destino, nonostante le
vigenti sanzioni economiche, significa alimentare la speranza nel
futuro.
09 mag 2005
susanna.creperio@tiscali.it
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