Bielorussia: qualcosa si muove (malgrado Lukashenko)
di Stefano Magni
[30 apr 05]

Eppur si muove. Anche la Bielorussia, che da sempre è immobilizzata da un regime post-comunista guidato in modo autoritario dal presidente Lukashenko, sta incominciando a scalpitare, come si è potuto vedere lo scorso 26 aprile. L’occasione è arrivata il diciannovesimo anniversario della tragedia di Chernobyl. La manifestazione, in memoria dell’evento, si è trasformata in una vera e propria protesta contro il regime di Lukashenko. In questo caso, i manifestanti chiedevano due cose: informazioni su quanto fatto dal governo bielorusso per la popolazione della regione contaminata e una maggior attenzione alla produzione agricola nell’area vicina all’incidente. Tuttora il regime di Minsk obbedisce a criteri di segretezza sovietici anche per quanto riguarda materie che interessano direttamente i cittadini.

I manifestanti non provenivano solo dalla Bielorussia, ma anche dall’Ucraina e dalla Russia. La risposta delle autorità era prevedibile: la folla è stata dispersa dalla polizia e una trentina di persone sono state arrestate. Secondo fonti della polizia di Minsk, sono stati incarcerati cinque cittadini ucraini, quattordici russi e tredici bielorussi. È stata una risposta durissima, considerando che si trattava di una semplice manifestazione pacifica che aveva l’unico scopo di far giungere una petizione a Lukashenka. Il motivo di tanta rigidità lo si può rintracciare nelle parole dello stesso presidente/dittatore, pronunciate nel suo discorso su Chernobyl: “L’opposizione insiste perché l’Occidente ci aiuti, ma l’Occidente non ha aiutato nessuno (…) L’Occidente ci aveva promesso di darci soldi una volta chiuso l’impianto di Chernobyl. Non ci hanno ancora dato nulla. Abbiamo respinto i loro vecchi stracci, perché non ci servono”. Considerando i numerosi programmi di assistenza (compresi i bambini bielorussi ospitati in Italia) non c’è che dire: bella riconoscenza! Ciò che interessa a Lukashenka è, evidentemente, usare l’arma del vittimismo, quella stessa arma che era usata tipicamente anche da Milosevic prima della sua caduta. Da sempre viene data dell’Occidente un’immagine di aggressore, un mondo ostile da cui non ci si deve aspettare nulla di buono. Ed è chiaro, quindi, che non deve nemmeno esistere un’opposizione interna che accusa il regime per malfunzionamento e, magari, si fida di più degli aiuti che possono giungere da oltre la frontiera occidentale.

Benché piccola, limitata nei suoi fini e finita male, la manifestazione di Kiev è comunque un segnale che c’è ancora un’opposizione a Lukashenka. E non è la prima volta che si fa viva: subito dopo l’esito positivo della Rivoluzione Arancione, il movimento giovanile Zubr aveva sfilato per le vie della capitale bielorussa con bandiere e magliette arancioni. Un segno di solidarietà nei confronti dei vicini rivoluzionari, ma anche l’espressione di una speranza di rivoluzione in Bielorussia. Il motto del movimento Zubr “è tempo di cambiare” finora non ha trovato alcun riscontro nella realtà bielorussa, soprattutto dopo che elezioni “bulgare” hanno confermato l’inamovibilità del presidente.

Oltre alla Bielorussia, si sono tenute anche altre manifestazioni ecologiste in molte città della Russia, soprattutto a Kaliningrad (una delle aree più degradate del pianeta, ecologicamente parlando), Voronez e nella stessa Mosca. Anche questo è un segno dei tempi che cambiano? Contrariamente all’Occidente, nell’Unione Sovietica la difesa dell’ambiente è sempre stato un tabù. Nel senso che è sempre stato il regime a decidere per il “bene” del popolo, anche contro la sua stessa.

30 aprile 2005


stefano.magni@fastwebnet.it

 


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