I paesi arabi di fronte a una guerra civile
di Paolo della Sala*
[03 feb 05]
Dopo le
elezioni irachene la complessa geopolitica medio-orientale avrà una
brusca accelerazione e il focus dello scontro si sposterà fuori
dall’Iraq. La fornitura alla Siria di missili russi a tecnologia evoluta
(SA 18 terra-aria) rientra in questo quadro evolutivo. La vendita ha un
duplice significato: apre un nuovo merchandising e sancisce il rientro
di Putin nello scacchiere. Di conseguenza le zone nelle quali è
necessario concentrare l’attenzione diventano il sud del Libano e la
striscia di Gaza. Ma non è tutto, come si vedrà in seguito.
Il movimento palestinese in Libano, influenzato in passato dai
filo-iraniani Hezbollah, sta stringendo una alleanza strategica con
Hamas, allo scopo di chiudere in una tenaglia Israele e sconfiggere la
linea morbida che potrebbe imporsi a Ramallah. Nel gioco rientra Al
Qaeda, nella persona di Faruk Al Masri, nato ad Algeri ma palestinese.
Al Masri arrivò a Ein Hilweh (Ain el-Héloué, in grafia francese),
principale campo profughi del Libano meridionale, nel 1997. Le Jihad au
quotidien, un documentatissimo saggio di Bernard Rougier pubblicato
dalle Presses Universitaires de France nel novembre 2004 illustra
perfettamente il contesto dei campi palestinesi in Libano, una vicenda
esemplare e paradigmatica della guerra inter-araba in arrivo.
Il contesto dei campi dei rifugiati palestinesi in Libano è singolare
già nel fatto che la polizia libanese non può entrare in essi senza la
previa autorizzazione dei siriani. Ain el-Héloué è abitato da 35.000
(secondo Rougier) o 60.000 persone (secondo il sito
Debka file). In
questo campo, attraverso un processo durato almeno vent'anni, si è
sviluppato lo jihadismo salafita. Il salafismo è: 1. Applicazione
letterale dei testi sacri; 2. imitazione completa della vita quotidiana
delle prime comunità islamiche (salaf); 3. culto di uno jihad universale
che ricusa gli stati arabi (ai quali competerebbe la proclamazione della
guerra santa), sostenendo che ogni musulmano è autorizzato a pronunciare
lo jihad individuale e obbligatorio. Secondo questa visione gli stati
islamici negano la costituzione di uno Stato islamico internazionale e
sono dunque nemici de facto.
"El Héloué appartiene alla geografia mondiale dell'islamismo giaidista:
la sua extraterritorialità, giustificata dall'assenza di una soluzione
al problema dei rifugiati palestinesi, è diventata una risorsa per le
forze interessate a disarticolare lo stato del Libano e intervenire in
altri stati del M.O. e del mondo” (op. cit.). Oggi non è possibile
parlare di comunità palestinese all'interno del campo, tanto profonda è
la differenza tra salafisti impegnati nello jihad internazionalista e
gli uomini di Fatah, Hamas e Jihad che lottano per una prospettiva
nazionale.
Abu Mohammed (detto anche Faruk) Al-Masri è l’uomo di Al Qaeda nel campo
di El-Héloué. Secondo il testo di Rougier, pubblicato solo quattro mesi
fa, "...Masri è stato assassinato nel marzo 2004 per mezzo di una
autobomba piazzata davanti al suo ristorante, mentre si recava per la
preghiera dell'alba (fajr) alla moschea di al-Nur." (op. cit. p. 84).
Secondo un articolo pubblicato da Debka file nel gennaio 2005 Al-Masri
sarebbe invece vivo e vegeto [link]. L'assassinio sarebbe una
messinscena valida per accusare Al Fatah e coprire le attività di Masri.
Si tratta infatti di perfezionare l'alleanza tra tutti i movimenti
sunniti, favorendo l’internazionalizzazione di Hamas e contrastando le
infiltrazioni sciite nei campi palestinesi. Il tutto in funzione di una
ripresa delle operazioni terroristiche contro Israele. Lo status di
"territorio libero" assunto da anni a El-Héloué è in arrivo anche a
Gaza, rendendo possibile l'avvio di una lotta armata contro Sharon e
contro il Abu Mazen (se non si piegherà) in nome della internazionale
dello jihad.
Dopo aver perso la guerra frontale contro l’Occidente, il salafismo
proseguirà la lotta orientandola verso l’interno, cercando di rovesciare
i regimi nazionali arabi, inclusa la stessa OLP, e predicando la Nuova
Internazionale islamica. Le recenti sconfitte subite dal fondamentalismo
potrebbero suggerire agli uomini di Bin Laden una jihad modulare basata
su: 1. La vittoria su Israele, che darebbe di per sé alla Internazionale
Salafista la guida morale dell’Islam; 2. Una vittoria sugli sciiti, che
darebbe lo stesso risultato di una vittoria contro Israele; 3. La
conquista degli stati arabi “moderati”, a partire dall’Arabia.
L’apertura di un nuovo fronte in Arabia appare ineluttabile se si
considera che questa è da sempre la seconda indicazione di Bin Laden (la
prima è la sconfitta di America e Israele, attuata attraverso la
“sottomissione” dell’Europa). La “liberazione” dell’Arabia è infine
motivata dalla presenza di una folta comunità sciita nel nord del paese
(ricchissimo di pozzi di petrolio). Sintetizzando, si tratta di cogliere
quattro risultati: ricacciare indietro l’eresia sciita; garantirsi il
controllo dei pozzi di petrolio; rovesciare la monarchia Saudi; passare
alla guida dello Jihad mondiale su posizioni strategiche enormemente
superiori rispetto a oggi. Questi obiettivi, del tutto velleitari e
utopisti se pensati in un contesto di guerra diretta contro l’Occidente,
diventano meno irrealizzabili se attuati attraverso il rovesciamento dei
regimi arabi.
Quali sono le prospettive per il Medio Oriente? A conferma dei tasselli
delineati in precedenza bisogna aggiungere altri eventi recentissimi.
Nel solo gennaio del 2005 si sono combattute ben quattro battaglie tra
l’esercito kuwaitiano e uomini di Al Qaeda". Uno di questi scontri si è
svolto all’interno di Kuwait city, altri nel distretto di Mubarak
Al-kabir. Cinquanta terroristi (in rotta dall’Iraq e infiltrati dall’est
Arabia) sono stati catturati, un terzo dei quali sauditi. Ma anche
l’Oman è oggetto della penetrazione di jihaidisti: Solo per caso si è
scoperto un attentato contro il raduno del festival Muscat, evitando un
massacro di proporzioni disastrose: centinaia di jihaidisti salafi sono
stati arrestati. [Link]
Gli stati arabi si trovano a combattere su diversi fronti, e potrebbero
a loro volta pensare di risolvere i problemi interni proiettandoli
all’esterno: in questo caso l’obiettivo non sarebbe Israele, ma gli
sciiti. Ne potrebbe derivare una guerra civile inter-araba di
proporzioni enormi, peggiore di quella tra iraq di Saddam e Iran di
Komeyni. In alternativa, i regimi arabi dovranno subire una guerra
civile interna, asimmetrica e guidata dai salafisti e jihadisti reduci
da Afganistan e Iraq. Se la prima ipotesi appare improbabile, la seconda
è più vicina e concreta.
Un’ultima considerazione: se questa prospettiva geopolitica è corretta,
le conseguenze saranno due. L’Occidente potrebbe rinsaldarsi (ma anche
dividersi definitivamente) in difesa dei governi arabi attuali; Israele
dovrà continuare la sua battaglia, ma con meno ostilità da parte
europea.
3 febbraio 2005
* Paolo
della Sala è il titolare del blog
Le
guerre civili
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