La balcanizzazione spagnola
di Enzo Reale*
[19 gen 05]

I fatti. Nell'ultima seduta del 2004 il parlamento basco approva la riforma statutaria nota come Plan Ibarretxe (dal nome del lehendakari del PNV). Votano a favore anche tre membri dell'illegalizzata Batasuna (il braccio politico di ETA). Nucleo centrale del piano è la trasformazione del País Vasco in stato libero associato alla Spagna. In pratica la separazione unilaterale dal resto del paese. Dopo averci pensato un po' Zapatero dichiara che il Plan Ibarretxe è inaccettabile ma che - contrariamente a quanto richiesto dai popolari - saranno le Cortes e non il Tribunale Costituzionale a dichiararne l'inammissibilità. Ibarretxe convoca una conferenza-stampa in cui ribadisce la sua volontà di tirare dritto in quanto nessuno può sostituire “la volontà del popolo basco” e chiede l'apertura di un tavolo di negoziazione con Madrid.

Giovedì scorso Zapatero riceve il lehendakari alla Moncloa: la riunione dura quattro ore ma alla fine ognuno sembra rimanere sulle sue posizioni. Per bocca della vicepresidente De la Vega il governo fa sapere di aver ribadito il suo no mentre Ibarretxe conferma la volontà di convocare un referendum qualora la decisione del parlamento basco venga respinta. Il giorno dopo tocca a Rajoy: il presidente del governo e il capo dell'opposizione annunciano un patto di stato per le riforme previa costituzione di una commissione che studi il da farsi. Secondo PSOE e PP è la risposta congiunta al Plan Ibarretxe, quella che apre una nuova stagione di dialogo fra i due principali partiti del paese. Intanto però lo stesso giorno il presidente del parlamento di Vitoria consegna al suo omologo di Madrid la proposta separatista perché venga sottoposta alle Cortes. Contemporaneamente Batasuna, per bocca del suo massimo rappresentante Arnaldo Otegi, detta le sue condizioni e fa sapere che è disposta a rinunciare ad uno “scenario indipendentista” in cambio di un dialogo del governo centrale con ETA. Da San Sebastián Zapatero risponde con apparente fermezza che nessun dialogo è possibile senza la previa rinuncia alla violenza da parte della banda terrorista.

Domenica mattina diversi media baschi pubblicano un comunicato di ETA in persona: sì al processo di negoziazione proposto da Otegi ma nessuna rinuncia esplicita alle armi. Tutto bene, dunque? E' davvero riuscito Zapatero - come nella sua edizione del sabato annunciava trionfante il quotidiano della sinistra catalana El Periódico - a creare attraverso «dialogo», «fermezza» e «contundenza» un nuovo scenario nel complicato gioco delle rivendicazioni nazionaliste e del modello di stato? Non così in fretta. Uno sguardo agli avvenimenti degli ultimi mesi aiuta a capire che in realtà Zapatero è più parte del problema che della soluzione. Fu infatti Zapatero, appena insediato, a dichiarare che qualunque riforma statutaria fosse stata approvata dal parlamento autonomico catalano sarebbe stata recepita a Madrid senza modifiche (a Vitoria hanno preso appunti). Fu Zapatero, nel corso di un dibattito parlamentare, a dichiarare che il concetto di Spagna come nazione avrebbe dovuto essere interpretato con maggiore «flessibilità». Fu Zapatero a ricevere con tutti gli onori il lehendakari Ibarretxe nel luglio scorso in un chiaro segno di rottura con la politica del suo predecessore che rifiutava qualsiasi contatto istituzionale con i rappresentanti del nazionalismo estremista. E' stato Zapatero a legare i destini del suo esecutivo all'alleanza con gli indipendentisti catalani di Esquerra Republicana, permettendo loro di assumere un ruolo decisivo non solo nella politica autonomica ma anche nel congiunto dello stato spagnolo. E' stato il Partito Socialista Basco ad avvicinarsi sempre di piu alle posizioni del PNV nell'intento di accreditarsi come rappresentante della «nazione» basca alla stregua dei movimenti più radicali tanto da provocare forti dissensi perfino al proprio interno: non tutti - nemmeno tra i socialisti - sono disposti a seguire l'avventurismo degli Ibarretxe.

Zapatero ha aperto un vaso di Pandora che adesso non riesce a chiudere senza l'aiuto di coloro che fino a ieri aveva tentato di emarginare con il suo settarismo: i popolari. I quali, se sapessero fare opposizione, avrebbero un'occasione irripetibile per smascherare tutte le contraddizioni del governo più ideologicamente ostile nella storia della giovane democrazia spagnola ma, non avendo ancora assorbito lo shock post-traumatico da sconfitta elettorale, sembra non vedano l'ora di fare da stampella ad un esecutivo in balia dei venti. E attenzione perché la tempesta non arriva solo da Nord ma anche da Nord-Est: prima dell'estate il parlamento catalano a maggioranza di sinistra e nazionalista scodellerà sul tavolo della Moncloa il proprio piano di riforma dello statuto che, c'è da giurarci, volerà alto. Il tutto mentre l'alleato Carod (Segretario di Esquerra Republicana) minaccia fuoco e fiamme nel caso l'accordo con il PP vada a buon fine. Come vedete non ci si annoia. Fa riflettere che al presidente del governo siano servite quattro ore di incontro per dire di no a Ibarretxe. Forse quella dimostrazione di «contundenza» non è stata poi così decisiva se è vero che il risultato inmediato del tanto sbandierato dialogo con i nazionalisti è stato, finora, il ritorno sulla scena politica di terroristi (ETA) e loro portavoce politici (Batasuna) impegnatissimi in un'attività «diplomatica» senza precedenti: adesso non è soltanto il Plan Ibarretxe a presentarsi macchiato del sangue delle vittime del terrore e dell'intimidazione ma è lo stesso dibattito politico nazionale a ritrovarsi ostaggio dei proclami contorti di chi ha sempre conosciuto un solo linguaggio, quello della violenza e della minaccia. Balkan Spain, titolava qualche giorno fa il WSJ in un suo editoriale.

Il punto interrogativo è d'obbligo al momento, anche se la prospettiva non è del tutto irrealistica se si considerano due fattori essenziali: la storia insegna che il dialogo con il nazionalismo estremista può proseguire solo finché le sue pretese non vengano disattese («negoziare» nell'accezione che il nazionalismo intransigente assegna a questo termine significa spesso discutere con una pistola puntata alla tempia dell'interlocutore); la Spagna è tradizionalmente terreno fertile per scontri ideologici esasperati. A livello di opinione pubblica quello in corso non è considerato tale: lo si vede più che altro come l'ennesimo contenzioso tra partiti nazionali e autonomisti. Ma stavolta le spiegazioni rassicuranti potrebbero non bastare perché è stato compiuto un salto di qualità nelle rivendicazioni nazionaliste e di fronte ad una rottura costituzionale evidente la reazione da parte delle istituzioni è stata, nonostante tutte le dichiarazioni di principio, debole.

Il Plan Ibarretxe sarà bocciato dal parlamento ma il lehendakari ha già pronto il passo successivo: la convocazione di un referendum nel País Vasco che, nelle sue intenzioni (e probabilmente nella realtà, data la prevedibile astensione di buona parte della popolazione) ratificherà quella che lui definisce la «volontà del popolo basco» e che altro non sarà invece che l'ennesima manipolazione ideologica. Nonostante Zapatero si sia dato molto da fare per abrogarla, esiste una norma del codice penale che punisce questo tipo di iniziativa da parte dei presidenti autonomici. Tutti si augurano che la miccia sia disinnescata in anticipo, perché quello potrebbe essere davvero un punto di non ritorno. A Vitoria e a Barcellona (non dimenticate la Catalogna) si scriverà nei prossimi mesi il futuro istituzionale di questo paese. Non resta che sperare che, tra una commissione e una santa alleanza, a Madrid qualcuno trovi tempo e coraggio per una risposta politica seria. Prima che faccia notte.

19 gennaio 2005

enzreale@gmail.com

* Enzo Reale è il titolare del blog 1972

 

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