Bush: una vittoria storica
di Andrea Mancia

La farsa mediatica internazionale che ha provato a dipingere prima una clamorosa sconfitta e poi una risicata vittoria di Bush non ha retto a lungo. Ed è stata travolta dalla realtà dei numeri. Il presidente è stato rieletto con quasi 60 milioni di voti. Si tratta del numero più alto di preferenze mai raccolte nella storia delle elezioni presidenziali statunitensi, a dimostrazione del fatto che la destra americana ha beneficiato almeno quanto i suoi avversari del massiccio turnout elettorale. Un sintomo di salute per il partito repubblicano e una verifica importante per quella strategia di unificazione della Right Nation su cui Karl Rove, l'architetto della vittoria di Bush, ha insistito per anni tra lo scherno della maggior parte degli analisti politici.

Dopo le contestatissime elezioni del 2000, Rove aveva dichiarato che dai suoi calcoli mancavano all'appello almeno 4 milioni di voti repubblicani (in gran parte quelli della base cristiano-evangelica) e che questa assenza era la causa principale che aveva portato Gore a ottenere mezzo milione di voti in più di Bush. Fino a due giorni fa, questa teoria era stata archiviata nel "bestiario" della solita destra paranoica e cialtrona che l'élite dei mainstream-media e delle università non perde occasione per dileggiare. La stessa élite che gongolava per ogni endorsement pro-Kerry di scosciate starlette hollywoodiane o attempati rocker sulla via del tramonto, prefigurando un esercito di giovani elettori in marcia per cacciare Bush dalla Casa Bianca e restituire l'America al proprio destino. Nel 2004, Bush ha vinto con un distacco di quasi 4 milioni di voti. Non servono complicati calcoli matematici per capire che Rove aveva ragione. E che i suoi detrattori avevano clamorosamente torto.

Dal 1988, anno dell'elezione di Bush padre alla Casa Bianca, nessun presidente era stato eletto con più del 50% dei voti. Bush ha superato il 51% e si è confermato in tutti gli stati vinti nel 2000, ad eccezione del New Hampshire, strappando ai democratici l'Iowa e il New Mexico. In più, ha ottenuto maggioranze schiaccianti al Sud e all'Ovest, risultati di tutto rispetto in zone tradizionalmente democratiche (come Minnesota, Wisconsin, Michigan, Pennsylvania) e ha sensibilmente ridotto il distacco in alcuni dei "blue state" più popolosi - New Jersey e California in prima fila - trascinando il suo partito verso una clamorosa vittoria alle elezioni per il rinnovo parziale del Congresso. I democratici dovevano vincere sette delle nove sfide più "calde" per riconquistare il controllo del Senato. Invece hanno vinto soltanto in Colorado, lasciando al GOP una maggioranza cresciuta da +3 a +11. I repubblicani hanno guadagnato anche 4 seggi alla Camera, che già controllavano comodamente e in cui adesso hanno una maggioranza più che solida (231-200). Per la prima volta dal 1900 gli Stati Uniti hanno confermato un presidente e un Congresso repubblicani. La rappresentanza dei democratici non era così scarsa alla Camera dal 1948 e al Senato dal 1930.

Rispetto al 2000, Bush ha aumentato la propria percentuale di voti maschili (+2%), femminili (+5%), bianchi (+4%), afro-americani (+2%), ispanici (+9%), asiatici (+3%), protestanti (+3%), cattolici (+5%) ed ebrei (+6%). Soltanto tra gli elettori musulmani (-5%) e gay (-2%) il presidente ha perso consenso. Ma in generale Bush, dopo quattro anni di presidenza difficile, una diffusa ostilità internazionale e la più poderosa campagna d'odio organizzata negli ultimi decenni, ha ricevuto dai cittadini americani un mandato popolare netto ed inequivocabile.

Malgrado le proporzioni storiche di questa vittoria, la maggior parte dei media americani e la quasi totalità di quelli mondiali hanno continuato a parlare di un'elezione "too close to call", anche quando il vantaggio di Bush nel voto popolare e il distacco negli stati-chiave di Florida e Ohio avevano ormai assunto proporzioni vistose e soprattutto incolmabili. CNN ha assegnato l'Ohio a Bush soltanto dopo il discorso di concessione di Kerry, nonostante il presidente, con il 100% delle schede scrutinate, viaggiasse abbondantemente oltre il 51% con un margine di 135mila voti sul candidato democratico. La stessa CNN ha assegnato la Pennsylvania a Kerry pochi minuti dopo la chiusura dei seggi, incurante del fatto che il senatore del Massachusetts avesse soltanto 127mila voti di vantaggio su Bush. A oltre 48 ore dalla chiusura dei seggi, alcuni dei maggiori network televisivi non hanno ancora "concesso" la vittoria a Bush in Iowa e New Mexico, malgrado il presidente abbia un distacco superiore all'1% e ai 10mila voti. Il Wisconsin, vinto da Kerry con un distacco leggermente inferiore, è stato spostato in fretta tra gli stati blu senza troppi problemi.

Si tratta, insomma, dello stesso "doppio binario" seguito da stampa e televisione durante tutta la campagna elettorale. Notizie prive di fondamento, ma potenzialmente in grado di nuocere a Bush, sono state diffuse senza verifica e senza vergogna. Un centinaio di veterani del Vietnam indignati con la deriva pacifista di "Hanoi John" all'inizio degli anni Settanta sono stati costretti al silenzio, prima di essere massacrati in diretta tv da un gregge di giornalisti telecomandati. Lo "spin" dei dibattiti televisivi, tutti vinti da Kerry ancora prima di cominciare, ha raggiunto livelli grotteschi, a cavallo tra commedia dell'arte e fantascienza di serie B, in un tentativo disperato di dare respiro ad una campagna elettorale democratica che nei sondaggi, perfino quelli compiacenti, non era mai riuscita a decollare. E' soltanto qualcuno tra le centinaia di possibili esempi di parzialità e sistematica distorsione della realtà compiuti da spezzoni, più o meno deviati, dei mass media statunitensi: il libro-spazzatura di Kitty Kelley e la cocaina di Bush a Camp David, le voci sul piano segreto repubblicano per smantellare il servizio sanitario nazionale, le bugie sull'imminente introduzione della leva obbligatoria, le centinaia di tonnellate di esplosivo scomparse in Iraq, i brogli elettorali in Afghanistan, il Rathergate, i falsi scoop di Scott Lindlaw dell'Associated Press. C'è davvero bisogno di continuare?

Eppure, malgrado stampa e tv, e nonostante le interferenze della comunità internazionale e dell'Onu nella campagna elettorale, a dispetto degli endorsement (espliciti o impliciti) del gotha del terrorismo mondiale, il popolo statunitense ha scelto di rinnovare la propria fiducia a George W. Bush, un presidente non privo di difetti ma a cui la storia riconoscerà probabilmente il merito di aver guidato con fermezza e coraggio l'Occidente in uno dei periodi più insidiosi della sua esistenza. God bless America.

4 novembre 2004

* Andrea Mancia, caporedattore di Ideazione,
è il titolare del blog
The Right Nation


 

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