Il silenzio delle fosse comuni di Saddam
di Stefano Magni

Le armi di distruzione di massa non si saranno trovate, ma in Iraq continuano ad essere scoperte sempre nuove fosse comuni. È del 12 ottobre la notizia della riesumazione di 300 corpi di donne e bambini curdi a Hatra, nel Nord dell’Iraq. Scoperte macabre di questo genere sono frequenti dalla fine della guerra: già nel maggio del 2003, a ostilità appena concluse, era stata trovata una gigantesca fossa comune con 15.000 corpi a Hilla, nell’Iraq meridionale. Circa un mese fa, il 9 settembre, erano state riesumate le salme di decine di donne e bambini trucidati nei pressi della città curda di Halabja. Sono morti che risalgono al “tempo di pace”, quando i bombardieri americani non si erano mai nemmeno avvicinati ai cieli iracheni. Nella fossa comune scoperta più di recente sono stati ritrovati cadaveri di curdi massacrati in un periodo che va dal 1987 al 1988, molto probabilmente all’epoca della Campagna Anfal, quando Saddam Hussein, conclusa la guerra contro l’Iran, volse le armi contro la popolazione curda, rea di aver conquistato un po’ di autonomia nelle regioni dove era in maggioranza. In quella campagna, il cui nome si ispira alla sesta sura del Corano (“Infondere terrore nel cuore dell’infedele”), sono stati impiegati circa 200.000 soldati regolari iracheni, per uccidere un numero ancora da determinare di civili curdi: dai 60.000 ai 180.000, più probabilmente 100.000. Di quel periodo è noto al pubblico solo qualche episodio, come il bombardamento di Halabja con armi chimiche, gas nervino e gas VX.

La campagna di Anfal fu un vero e proprio genocidio sistematico. Non si trattò dell’unico sterminio commesso dal regime di Saddam Hussein ai danni della minoranza curda, ma fu di sicuro il più violento. Pianificato come una vera e propria “soluzione finale” da Al Majid, cugino di Saddam Hussein, il massacro iniziò, di fatto, nel luglio del 1987, con la costituzione in tutto l’Iraq settentrionale, di “zone proibite”, nelle quali non si poteva circolare. Chiunque si trovasse all’interno di queste aree poteva essere arrestato e interrogato dalle forze di sicurezza. Chiunque venisse trovato armato, doveva essere immediatamente giustiziato. La campagna si trasformò ben presto una deportazione massiccia in campi di concentramento, il più noto dei quali era Topzawa, in provincia di Tikrit. I racconti dei sopravvissuti e i documenti che i Curdi riuscirono a consegnare alle organizzazioni dei diritti umani durante la loro breve insurrezione del 1991, dimostrano che i metodi usati in questi campi non erano dissimili da quelli impiegati dai nazisti. All’arrivo nel campo, le donne venivano separate dagli uomini, che venivano a loro volta divisi in “abili a combattere” e non abili. Gli abili a combattere, cioè tutti i maschi dai 15 ai 70 anni venivano trasportati in aree isolate e fucilati in massa da plotoni di esecuzione mobili, organizzate come le Einsatzgruppe naziste. I criteri usati per scegliere gli “abili a combattere” erano del tutto arbitrari. Gli aguzzini valutavano personalmente chi dovesse rientrare in questa categoria da sterminare, per cui anche molti ragazzini al di sotto dei 15 anni e molti anziani ultra-settantenni sono stati passati per le armi.

Non andò meglio alle categorie “risparmiate” dal genocidio: molte donne e molti bambini vennero uccisi durante e dopo i combattimenti fra gli indipendentisti curdi e i regolari iracheni; la maggior parte morirono rti nel corso di bombardamenti indiscriminati contro i villaggi curdi, fra cui il famoso bombardamento chimico di Halabja. Molti degli anziani e dei bambini persero la vita nei campi di concentramento a causa delle condizioni (volutamente) disumane in cui erano costretti a vivere. Vi furono anche deliberati massacri di donne e bambini, come quello di Monte Hamrin, raccontato da uno dei pochissimi sopravvissuti, un bambino di nome Taimur Abdullah Ahmad. Lo scopo della Campagna Anfal era quello di rendere la vita impossibile in tutto il Curdistan. E se i villaggi venivano distrutti (il 90% dei villaggi curdi nell’area fu raso al suolo), nemmeno le campagne vennero risparmiate: 15 milioni di mine disseminate nei campi per impedirne lo sfruttamento agricolo e per intralciare qualsiasi spostamento. Di questo genocidio si conosceva già parecchio prima della guerra del 2003 e prima dell’inizio della ricerca delle fosse comuni. Organizzazioni come Human Rights Watch, dopo aver accumulato una montagna di prove, fra cui ben 4 milioni di documenti originali iracheni, chiedevano di istruire un processo internazionale per Saddam Hussein. Nessuno ha dato loro retta per dieci anni.

19 ottobre 2004

stefano.magni@fastweb.net

 

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