La vocazione europea di Ankara
di Giuseppe Mancini
È arrivato
il primo sì: il via libera, pur se condizionato e non del tutto
convinto, dato mercoledì 7 ottobre dalla Commissione europea all’inizio
dei negoziati per l’ingresso della Turchia nell’Unione. La vocazione
geopolitica della Turchia moderna, il sogno europeo di Ataturk, dopo
decenni di incomprensioni e diffidenze è più vicino alla realtà: anche
se la decisione operativa, con l’indicazione di una data certa per
l’inizio dei negoziati, verrà in effetti presa solo con la pronuncia del
Consiglio europeo del 17 dicembre: a questo punto una semplice
formalità. In effetti, è già dal 1999, dal vertice di Helsinki, che il
tortuoso processo di avvicinamento della Turchia all’Europa ha preso una
svolta epocale: quando, cioè, la Grecia ha ufficialmente deciso di
rinunciare al diritto di veto nei confronti di Ankara, superando,
pertanto, la storica rivalità che neanche un percorso europeista
parallelo era riuscito a disinnescare. Durante la Guerra fredda,
infatti, Grecia e Turchia hanno vissuto l’inserimento nel campo
occidentale in modo contestuale: l’ingresso nella Nato nel 1952 e poi la
richiesta di associazione alla Cee nel 1959 (i due Stati erano il
baluardo occidentale contro la penetrazione sovietica nel Mediterraneo
orientale, attraverso il controllo degli stretti). L’inserimento è stato
ritardato per entrambe dalle vicissitudini politiche interne, con i
colpi di stato militari in Turchia (1960 e 1980) e in Grecia (1967); ma
alla fine la Grecia è entrata a pieno titolo nella Comunità europea
prima (1981) e nell’Unione politica e monetaria poi (2000), mentre sul
destino europeo della Turchia non c’è mai stata chiarezza. Soprattutto
per l’intransigente approccio di Atene, che ha sempre subordinato il suo
benestare alla soluzione dei problemi politici bilaterali –
l’occupazione turca di Cipro, le rivalità territoriali nell’Egeo.
Nel 1999, a Helsinki, l’ostacolo forse maggiore è stato rimosso,
spalancando la porta principale dell’Europa unita al sogno turco; ma le
perplessità e i mugugni su quanto sia effettivamente compatibile la
vocazione turca con le esigenze di carattere economico e politico
(democrazia, diritti umani, libertà fondamentali non sono cessati, senza
parlare dei timori viscerali verso una cultura e una religione “altre” e
frettolosamente associate ai fenomeni patologici di instabilità
fondamentalista. Nonostante le incomprensioni e le diffidenze, la scelta
europea della Turchia appare comunque convinta e irreversibile. Ankara,
in realtà, potrebbe tentare di ergersi a potenza regionale stabilizzante
nel Caucaso e in Asia centrale, giocando la carta di una possibile
alleanza con Russia e Iran, anche nel contesto della sempre più
difficile crisi irachena. Ma gli interessi di questi Stati più che
compatibili sembrano confliggenti; e su di un piano ancora più concreto,
una politica di espansione economica in Asia richiederebbe delle risorse
di cui la Turchia oggi non dispone. Soprattutto, un’eventuale
cooperazione commerciale panturanica dovrebbe fondarsi sullo sviluppo
delle uniche risorse esistenti: il petrolio e il gas naturale del
Caspio, la cui valorizzazione consiste nel trasporto… in Europa! Del
resto, i risultati conseguiti dall’Eco (Economic Co-operation
Organization), che lega dagli anni ’60 Turchia, Iran e Pakistan, con
l’aggiunta più recente dell’Afghanistan e delle repubbliche
centrasiatiche (escluso il Kazakistan), sono deludenti: per mancanza di
capitali, di tecnologie e di volontà politica. E proprio la crisi
irachena, catalizzando elementi di instabilità e di incertezza, rende
qualsiasi progetto di sviluppo su base regionale precario e velleitario.
Di tutt’altro spessore, invece, è la cooperazione – politica ed
economica – con l’Europa. Ankara, infatti, è inserita a pieno titolo nei
processi multilaterali che puntano alla stabilizzazione e alla
ricostruzione – alla progressiva e completa integrazione continentale –
dell’Europa sud-orientale. L’Iniziativa per la cooperazione in Europa
sud-orientale (Seci), l’Iniziativa di Royaumont, il Patto di stabilità
per l’Europa sud-orientale, il Gruppo dei ministri della Difesa
dell’Europa sud-orientale (Sedm), la Forza multilaterale di
peace-keeping dell’Europa sud-orientale (Seebrig), il Processo di
cooperazione in Europa sud-orientale (Seecp): la Turchia, partecipando
con convinzione a tutti questi progetti, insieme agli stati balcanici e
agli altri stati europei, si sta legando indissolubilmente all’Europa,
anche da un punto di vista geoeconomico. Persino le attività
dell’Organizzazione per la cooperazione economica nel mar Nero (Bsec) –
a cui partecipano, oltre agli stati dell’Europa sud-orientale, anche
Armenia, Azerbaigian, Georgia, Moldova, Ucraina e Russia – sono
complementari, non alternative, alla scelta europea di Ankara. Verso
quell’Europa che, nonostante mille incertezze e mille difficoltà, cerca
di estendere l’area di pace e benessere che ha saputo creare; un’Europa
di cui la Turchia è parte integrante, per vocazione ancor prima che per
posizione geografica.
11 ottobre 2004
giuse.mancini@libero.it
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