Usa e Corea del Nord.
Nemici per tradizione, amici per convenienza

di Rodolfo Bastianelli

Tra le tante crisi internazionali che gli Stati Uniti si trovano oggi ad affrontare, quella nordcoreana è forse la più difficile da gestire sia per l'imprevedibilità del regime di Pyongyang che per l'inattendibilità delle informazioni esistenti sul suo conto. Governata da oltre mezzo secolo da un regime di impronta stalinista che ha fatto del culto della personalità il suo tratto distintivo, la Corea del Nord è un paese chiuso ed isolato che la propaganda e la paranoia dei leader politici nordcoreani hanno reso impenetrabile ad ogni influsso proveniente dall'esterno.

Dotata di notevoli risorse minerarie e rimasta fino ai primi anni Sessanta più avanti rispetto al sud, la Corea del Nord dopo il crollo dell'Unione Sovietica – che costituiva il principale partner di Pyongyang – è entrata in una profonda crisi economica, aggravata prima dalle inondazioni e poi da una carestia che secondo le fonti ha provocato da 500 mila a 2 milioni di vittime per la malnutrizione. Attualmente, dopo il notevole contributo offerto a Pyongyang dalle istituzioni umanitarie, dal “Programma alimentare mondiale” (Pam) delle Nazioni Unite e da diverse associazioni non governative, il paese sembra aver superato la fase più critica dell'emergenza, anche se, soprattutto nelle zone rurali, le razioni sono tuttora insufficienti a coprire il fabbisogno alimentare della popolazione.

Le strutture sanitarie e scolastiche sono poi al collasso, l'industria, formata principalmente da obsoleti quanto improduttivi impianti risalenti all'era sovietica, funziona a livelli limitati per la mancanza di energia elettrica e di pezzi di ricambio, l'agricoltura, che contribuisce al 30 per cento del Pil nordcoreano, ha tuttora bassi livelli di produttività data l'assenza di fertilizzanti e l'arretratezza dei sistemi usati. Sul piano energetico Pyongyang dipende essenzialmente dalle forniture cinesi, mentre la stessa rete ferroviaria nordcoreana, principale via commerciale del paese, è in gran parte ancora quella costruita dai giapponesi negli anni Trenta, dove, secondo quanto riportato dalle testimonianze, i treni viaggiano a velocità inferiore a quella di un cavallo e sono spesso costretti a fermarsi per improvvise interruzioni della corrente.

Recentemente il governo nordcoreano ha tuttavia cercato di avviare delle riforme economiche, creando prima una "Zona economica speciale" (Zes) nella regione nord-orientale di Najin, Chongjin e Sonbong e successivamente una "Regione amministrativa speciale" (Sar) nella parte occidentale della frontiera cinese, due progetti che però non sono mai decollati e non hanno prodotto risultati concreti. Un passo più significativo si è invece avuto nel 2002 con il varo di una nuova legge sugli investimenti stranieri, la possibilità per alcune aziende di introdurre premi di produttività e la una svalutazione della moneta nazionale, misure che però hanno portato ad un rialzo dei prezzi e ad un aggravamento della situazione economica delle aree rurali.

Per lo sviluppo Pyongyang punta molto sul contributo della Corea del Sud, come dimostra il fatto che nonostante le forti tensioni politiche esistenti, l'interscambio ha conosciuto in questi ultimi anni un notevole sviluppo. Iniziato dopo lo storico vertice di Pyongyang del giugno 2000 tra il Presidente nordcoreano Kim Jong – il ed il suo omologo sudcoreano Kim Dae Jung – il dialogo tra i due paesi ha portato alla decisione di riallacciare i collegamenti ferroviari e progettare la costruzione di una superstrada, mentre lo scorso anno è stato inaugurato nella cittadina di Kaesong a ridosso del 38° parallelo un complesso industriale in cui le aziende di Seoul assemblano i loro prodotti. Un'ulteriore apertura verso il nord è venuta poi con l'elezione nel dicembre di due anni fa del progressista Roh Moo Hyun alla presidenza della Corea del Sud, il quale, pur ribadendo la validità dell'alleanza strategica con gli Stati Uniti, ha sempre sostenuto la necessità del dialogo e la contrarietà ad ogni azione militare contro Pyongyang.

Ma se dal lato economico sembra potersi registrare qualche cambiamento, da quello politico il quadro appare invece essersi ulteriormente deteriorato. La Corea del Nord continua a mantenere in servizio un esercito di oltre un milione di effettivi che assorbe circa il 25 per cento del Pil, dispone di un programma missilistico avanzato, è stata inserita dall'amministrazione americana nella lista degli Stati terroristi ed ha abbandonato il “Trattato di non proliferazione nucleare” (Tnp) riprendendo il programma che, a detta degli analisti, potrebbe condurre Pyongyang a disporre in breve tempo di una decina di testate atomiche.

Uno scenario che preoccupa Washington, che ha sempre affermato di voler evitare un conflitto ribadendo però allo stesso tempo che nessun aiuto economico verrà concesso alla Corea del Nord finché questa non abbandonerà il suo programma nucleare. In realtà, secondo molti esperti di questioni nordcoreane, Pyongyang non avrebbe alcun interesse a far precipitare la situazione, ma punterebbe ad alzare il livello dello scontro per costringere Stati Uniti e Giappone a concludere un accordo che assicuri la sopravvivenza del regime di Kim Jong Il. Perché l'unica cosa certa è che uno scontro non conviene a nessuno.

11 ottobre 2004

rodolfobastianelli@tiscalinet.it

 

 

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