Usa 2004.
Il clamoroso falso di Dan Rather
di Andrea Mancia
Dan Rather, il leggendario conduttore di “60 Minutes” per la Cbs, è nei
guai. E neppure John F. Kerry si sente troppo bene. Il sensazionale
scoop dello scorso venerdì sui “documenti scomparsi” dal dossier militare
di George W. Bush si è rivelato essere un clamoroso falso. Neppure
troppo sofisticato, per la verità. Ma andiamo con ordine, perché questa incredibile
storia, che qualcuno ha già paragonato all’avvento degli “archi lunghi”
sui campi da battaglia europei (e al conseguente sconvolgimento degli
equilibri di potenza tra le nazioni medioevali), è troppo gustosa per
essere inghiottita in un solo boccone.
Fango contro fango. I sondaggi e la frustrazione
democratica
Le avvisaglie circolavano già da qualche giorno. Soprattutto dopo un
inquietante articolo scritto il primo settembre da Susan Estrich, ex
stratega elettorale di Michael Dukakis ed editorialista – tra l’altro –
di Los Angeles Times, Washington Post e New York Times. Inviperita dal
crollo nei sondaggi di John Forbes Kerry e dalla campagna, a suo dire,
diffamatoria degli Swift Veterans for
Truth, la Estrich aveva avvisato il mondo che
questa volta, a differenza che nelle disastrose (per lei e per Dukakis)
elezioni presidenziali del 1988, il partito Democratico non si sarebbe
fatto intimidire. E avrebbe risposto al fango con altrettanto fango.
“Non possiamo semplicemente rispondere alle accuse. Non possiamo
semplicemente dire ‘non è vero’. Bisogna combattere il fuoco con il
fuoco. Il fango con il fango. Lo sporco con lo sporco”.
Non soddisfatta
da questa enunciazione di principio molto liberal, la Estrich preparava
addirittura una sorta di lista della spesa per la spazzatura da spargere
a piene mani sui restanti due mesi di campagna elettorale: il passato di
George W. Bush nella Guardia Nazionale tra il 1972 e il 1973, i
trascorsi “superalcolici” del presidente e del suo vice Dick Cheney,
una non meglio precisata storia di aborti clandestini che avrebbe
coinvolto l’ex governatore del Texas e, dulcis in fundo, qualche
chiacchiera sulla cocaina sniffata da George W. a Camp David, quando suo
padre era l’inquilino della Casa Bianca.
Una serie
di suggerimenti neppure troppo trasversali, quelli regalati dalla vivace
commentatrice liberal, che i suoi colleghi non si sono fatti sfuggire.
La spazzatura comincia ad affiorare
Non era bastata l’insistenza con cui per quasi un mese era stata
ignorata la vicenda degli Swifties. E non era bastata neppure
l’incredibile velocità con cui erano state amplificate le
sdegnate smentite di Kerry, soltanto dopo che i blog della destra
americana e i talk-show
radiofonici conservatori avevano reso del tutto inutile l’occultamento della
notizia. Per tutti coloro che non credevano fino in fondo nella
partigianeria dei maggiori giornali e network televisivi statunitensi, alla fine il
colpo di grazia è arrivato. La presa di coscienza finale.
Come spiegare, altrimenti, l’enorme spazio
dato dai mass media tradizionali ad una storiaccia come quella di Kitty
Kelley? Un gossip di quarta sponda che anche i tabloid
inglesi troverebbero imbarazzante. Nel libro “The Family” (“La vera storia della dinastia Bush”)
la Kelley, naturalmente collaboratrice di Los Angeles Times, Washington Post e New York Times,
ha diffuso lo “scoop” di un giovane Bush tutto intento a tirarsi un
paio di strisce di coca a Camp David mentre il padre intratteneva
qualche capo di governo straniero, proprio come la sua
collega Susan Estrich aveva previsto una settimana prima. Potenza della
stampa liberal o insolite capacità divinatorie?
L’unica cosa certa, per
ora, è che la presunta fonte della Kelley, l’ex moglie del
governatore della Florida, Jeb Bush, ha smentito seccamente tutta la
storia. “Sono in pessimi rapporti con tutta la famiglia Bush – ha
affermato l’ex cognata del presidente – ma non posso permettere che
venga diffusa una falsità così abnorme”. Se questa è la verità di un
nemico della famiglia Bush, non osiamo pensare alla versione degli
amici. Eppure il tentativo è stato fatto. Evidentemente è più credibile
la biografa "non autorizzata" di Frank Sinatra rispetto a qualche
centinaio di veterani del Vietnam ancora un po' incazzati con il
compagno Kerry del '71.
L'impegno alla diffusione del liquame non è certo venuto meno per
sottigliezze così insignificanti. Qualche giorno più tardi, ci ha provato il giornalista
dell’Associated Press, Scott Lindlaw, diffondendo la notizia che il
pubblico di un comizio di Bush si era comportato in maniera intollerante
ben oltre i limiti del buon gusto dopo aver appreso che l’ex presidente
Bill Clinton era stato ricoverato in ospedale per problemi cardiaci. “Un
pubblico di migliaia di persone ha salutato la notizia del malore di
Clinton con un boato di disapprovazione (se trovate una traduzione
migliore per “booeing” fatemelo sapere, Ndr). E Bush non ha fatto niente
per fermarli”.
La seconda parte della notizia, per la verità, è
corretta. Ma soltanto perché Bush non aveva nessuna folla rumoreggiante
da bacchettare, visto che l’intero episodio era stato inventato di sana
pianta dal cronista. Un blog pro-Bush ha smascherato la truffa in
poche ore, diffondendo
l’audio del comizio e costringendo l’AP
ad una frettolosa rettifica. Ma ormai gran parte del danno era stato
fatto, perché centinaia di giornali statunitensi ed internazionali
avevano ripreso la “notizia”, stigmatizzando il comportamento del
presidente e dei suoi sostenitori. “La mia missione è quella di impedire
la rielezione di Bush”, aveva confidato Lindlaw ad un suo collega poche
settimane prima. Quando si dice la sincerità.
Shit hits the fan
Non esiste, in italiano, un modo di dire così grossolanamente pittoresco
ed efficace per descrivere una situazione sfuggita a qualsiasi
controllo. Eppure stavolta la spazzatura (per così dire) ha davvero
colpito il ventilatore. Ed è schizzata ovunque, insudiciando soprattutto
chi la stava maneggiando in quel preciso istante. Nella fattispecie, si
tratta del notissimo giornalista televisivo Dan Rather. E qualche
schizzo sembra inevitabilmente diretto verso il candidato
democratico alla Casa Bianca, John F. Kerry.
Ansioso di portare il suo
contributo alla campagna mediatica ABB (Anybody But Bush, chiunque
tranne Bush), l’ormai attempato anchor-man della Cbs ha deciso, come
ogni kamikaze fondamentalista che si rispetti, di immolare gli ultimi
scampoli della propria carriera sull’altare del Bene Comune (la campagna
elettorale di Kerry). Senza neppure attendersi in cambio qualche vergine
in Paradiso. Nell’ultima edizione del rotocalco settimanale “60 minutes”
(in onda anche in Italia, su RaiSat Extra), il buon Dan ha
tentato lo scoop della vita, rendendo pubblici i famosi “documenti
scomparsi” dallo stato di servizio militare di Bush durante il biennio
1972-1973.
Gli anni trascorsi da Bush Jr. alla Guardia Nazionale, prima
in Texas e poi in Alabama, sono una vera fissazione per i democratici,
che ne hanno fatto una delle loro battaglie di prima linea per
dimostrare che – proprio mentre Kerry rischiava la vita per il proprio
paese in Vietnam (fatto su cui gli Swift Veterans for Truth hanno
sollevato più di un dubbio) – il “figlio di papà Bush” si imboscava in
patria, facendo finta di pilotare jet per evitare le umide paludi del
sud-est asiatico e le pallottole dei vietcong. Quando la Casa Bianca,
però, cedendo alle insistenze della stampa “indipendente”, ha deciso di
rendere pubblici tutti i documenti militari relativi alla vicenda, il
caso si era un po’ sgonfiato, anche se gli spin-doctor democratici
avevano continuato ad insinuare che il materiale diffuso da Bush non era
completo.
Scontato,
dunque, che i documenti presentati in pompa magna
dalla Cbs, da cui trapelava un trattamento di favore riservato a George
W., sollevassero un gran polverone sui mass media vicini al candidato
democratico. Come
un sol uomo, la stampa liberal si è scagliata contro il
commander-in-chief, disertore e guerrafondaio, sperando di replicare l’effetto-Swifties e porre un
argine alla crescita esponenziale di Bush registrata nei sondaggi delle
ultime settimane. O meglio, al crollo verticale di Kerry.
Dan Rather, l’attentatore-suicida
Gli strateghi repubblicani hanno reagito con distacco a questa scelta
tattica del fronte ABB. Bush, del resto, non ha mai puntato tutta la sua
campagna elettorale sugli anni trascorsi nella Guardia Nazionale. E ha
più volte ammesso gli errori compiuti prima dei 40 anni, età in cui ha
ritrovato la fede e smesso di bere. Probabilmente, gran parte dei suoi
sostenitori lo valuta positivamente anche perché ha saputo imparare dai
propri errori e rimettere in gioco la propria vita. Ben altra storia
rispetto all’accanimento quasi patologico con cui Kerry ha fatto, dei
quattro mesi trascorsi a pattugliare il delta del Mekong, il leit-motiv
della propria carriera politica e della propria candidatura alla Casa
Bianca.
Il giudizio comune di molti analisti, anche neutrali (o presunti
tali), è stato di scetticismo di fronte alla possibilità che questa
nuova serie di accuse fosse in grado scalfire il giudizio ormai
consolidato, in positivo o in negativo, che l’elettorato americano si è
ormai fatto di George W. Bush.
Ma la logica e la razionalità non sono
mai state prese molto in considerazione dai suicide-bomber. Così Dan
Rather ha deciso di provarci lo stesso: ha scovato, grazie ad una fonte
“anomima ma incontestabile”, i memorandum privati con cui il colonnello
Killian (morto ormai da una ventina d’anni) si lamentava delle pressioni
ricevute per concedere al giovane Bush un trattamento di riguardo; si è
fatto dare una spolveratina di verosimiglianza da Bobby Hodges, un generale in pensione della Guardia
Nazionale texana, che ha confermato la scarsa opinione che Killiam aveva dell’aviere “raccomandato”
Bush jr.; ha pubblicamente
ed enfaticamente chiesto spiegazioni sulla vicenda al presidente,
quasi sfidandolo ad un contraddittorio pubblico. Ha gettato tutto il suo
peso, e decenni di professione, oltre l'ostacolo.
Tutto bello, tutto molto stile-Watergate. Se non fosse per un piccolo,
insignificante particolare. I documenti sventolati (metaforicamente) da
Rather in faccia a Bush sono tutti, grossolanamente ed indiscutibilmente
falsi.
Chiunque abbia l’età per aver assistito al declino delle macchine
da scrivere e all’avvento dei personal computer è in grado di accorgersi
del falso a prima vista, senza l’aiuto di esperti. Non c’è una sola
possibilità al mondo che le quattro lettere attribuite al colonnello
Killian (1
|
2 |
3 |
4) possano essere state battute a
macchina all’inizio degli anni Settanta. Senza scendere nei dettagli di
questa “querelle tipografica”, si tratta di una questione di font
proporzionali, superscript e kerning. Per non parlare dei dubbi
sollevati in merito all’autenticità della firma di Killian, al
linguaggio molto informale adoperato e al fatto che l’ufficiale che
avrebbe esercitato le pressioni sul colonnello per favorire Bush era, in
realtà, in pensione da almeno un paio d’anni. Ma, per una volta, le
questioni “di sostanza” restano marginalmente sullo sfondo, rispetto a
quelle, eclatanti, “di forma”.
Arco lungo contro cavalleria pesante
Il primo dubbio viene a Buckhead, un anonimo frequentatore del sito
Free Republic, un forum-blog
considerato di estrema destra dai benpensanti. Quelli che danno del
nazista a Bush, per intenderci. Ma è Scott Johnson, un avvocato di
Minneapolis con la passione del blog politico, co-autore di
Powerline, che intravede il potenziale
esplosivo della vicenda. E apre i cancelli dell’Apocalisse. Bastano un
paio di link alle riproduzioni dei documenti per scatenare una reazione
a catena. Esperti di font tipografiche e macchine da scrivere, semplici
utenti di computer, fanatici del desktop-publishing: un centinaio di
frequentatori di Powerline, sito dichiaratamente vicino al movimento
conservatore, portano un briciolo della loro esperienza e una prova o un
indizio in
più, in supporto della tesi secondo cui le lettere non possono essere
state realizzate con una macchina da scrivere dei primi anni Settanta.
Il rivolo di informazioni si trasforma presto in una valanga. E decine
di blog “amici” riprendono la notizia, che nelle prime ore sembra
addirittura troppo bella per essere vera. Glen Johnson, musicista di Los
Angeles che cura un altro blog della destra a stelle e strisce,
Little Green Footballs, prova – quasi
per scherzo – a replicare i “documenti segreti” che costituiscono la
spina dorsale dello “scoop” di Dan Rather con il suo word-processor.
Apre Microsoft Word e con suo sommo stupore, senza cambiare neppure una
impostazione del programma,
replica alla perfezione le lettere
attribuite al colonnello Killian. Altro che anni Settanta: siamo di
fronte ad un falso pacchiano realizzato con il programma di
videoscrittura più diffuso al mondo, stampato e fotocopiato decine di
volte per simulare goffamente l’effetto-antichità. Come avrebbe scritto
il giorno dopo
Mark Steyn, sul Chicago Sun-Times, il
classico "caso dell'uomo morto da vent'anni che è ancora capace di usare
Windows XP".
Per alcune ore, la notizia della clamorosa truffa resta confinata tra le
frontiere digitali del cyberspazio. I blog della sinistra anti-Bush (non
se ne trova uno schiettamente filo-Kerry neppure con il lanternino)
provano, penosamente, a costituire un fronte compatto di
contro-informazione. Chi scopre che una macchina da scrivere IBM da
seimila dollari avrebbe potuto, in teoria, stampare lettere abbastanza
simili grazie ad alcune macchinose modifiche artigianali. Chi giura che
il Times New Roman andava di gran moda negli uffici della Guardia
Nazionale (anche se quel particolare carattere tipografico fu
commercializzato soltanto negli anni Ottanta). Chi cerca di andare oltre
il problema, ricordando a tutti di stare calmi, non lasciarsi prendere
dal panico e concentrarsi sui punti fermi della campagna elettorale
democratica: Bush è un cretino, i neocon vogliono conquistare il mondo
per renderlo schiavo del sionismo internazionale e l’11 settembre è
stato colpa degli Stati Uniti. Qualche liberal onesto, che ha il
coraggio di riconoscere il falso (tanto è palese), viene preso a male
parole e trattato come un pazzo sconclusionato, come un repubblicano
insomma. Un barlume di speranza, per i blogger della sinistra, arriva
quando qualcuno spiega che la Casa Bianca ha diffuso gli stessi
documenti in possesso dalla Cbs, poche ore dopo la trasmissione del
programma di Dan Rather. Ma è soltanto un’illusione, perché si scopre
presto che si tratta proprio delle stesse fotocopie, spedite via fax
dalla redazione di “60 minutes” a Washington per un bizzarro ed
estremamente intempestivo scrupolo di coscienza.
Le schermaglie continuano per un po’, fino a quando la segnalazione del
falso non viene pubblicata sul Drudge Report, il sito del giornalista
investigativo Matt Drudge diventato celebre per lo scoop (vero,
stavolta) della relazione “inappropriata” tra Bill Clinton e Monica
Lewinsky nello Studio Ovale. La bomba esplode definitivamente. E da qui
in poi la vicenda diventa una via crucis straziante per Rather e la
credibilità dei mainstream media (la cavalleria pesante), sfidata e
battuta dalla blogosphere (l'arco lungo, la nuova tecnologia che cambia
le regole del gioco).
In rapida successione, la notizia
viene ripresa da Fox News, New York Post, Abc e Washington Post, insieme
ad una miriade di testate politiche e locali. Poi dilaga ovunque. In principio tutti usano
il condizionale, ma presto i falsi vengono dati per scontati. Basta
guardarli, del resto. Più tardi arrivano anche le prese di distanza dei
personaggi coinvolti, direttamente o indirettamente, nella vicenda.
La
vedova del colonnello Killian dichiara che al marito non piaceva
scrivere, soprattutto a macchina, e che non ha mai avuto un archivio
privato. Il figlio del colonnello dice che il padre gli ha sempre
parlato bene del giovane Bush. Il generale Hodges, il “testimone
principale” di Rather, accusa la Cbs di averlo truffato. E spiega che il
testo dei documenti gli è stato letto per telefono, mentre ora –
guardando le lettere – è convinto che si tratti di un falso. Decine di esperti
interpellati da televisioni e giornali concordano unanimemente: è
impossibile che i documenti siano stati redatti con una macchina da
scrivere in commercio negli anni Settanta.
Manca la
resa finale. Tutti si aspettano una replica
della Cbs e di Dan Rather. Ma quando il popolare conduttore si presenta
davanti alle telecamere per offrire la propria versione dei fatti, e
magari svelare il nome della sua fonte misteriosa o degli esperti che
hanno garantito l’autenticità dei documenti, l’attempato kamikaze
democratico non va molto oltre un “io sono Dan Rather, vi assicuro che
le lettere sono vere, dovete fidarvi di me”. Ormai, però, non gli crede
più nessuno. Forse neppure Kerry.
Il vecchio cavaliere aristocratico è
stato trafitto a morte da una freccia, invisibile e silenziosa,
scagliata con un lungo arco ricurvo da un arciere senza nome. Sul suo
volto, prima dell’attimo fatale, non c’era l’ombra di un sorriso.
13 settembre 2004
mancia@ideazione.com
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