The Clintons. A volte ritornano
di Alessandro Gisotti
Nessun dubbio al riguardo. Se i Democratici avessero tempi e modi per
cancellare il XXII emendamento della Costituzione (quello che afferma:
“Nessuno potrà essere eletto per più di due volte alla carica
presidenziale”), candiderebbero Bill Clinton e non John Forbes Kerry
nella sfida epocale del 2 novembre contro George W. Bush. Nel primo
giorno di Convention Democratica, al FleetCenter di Boston, i cinquemila
delegati del “Partito dell’Asinello” si sono spellati le mani per
applaudire il discorso del quarantaduesimo presidente statunitense. Che,
ancora una volta, ha dimostrato di essere un eccezionale comunicatore.
Il “day one” della kermesse democratica è stata, dunque, contrassegnata
dalla presenza di Clinton. Anzi, “dei” Clinton. Ad introdurre l’ultimo
presidente democratico è stata, infatti, la moglie Hillary Rodham, oggi
potente senatrice di New York, che pensa già alla grand rentrée nella
Casa Bianca. Questa volta, da Commander-in-Chief. Qualcuno, nello staff
di Kerry, aveva improvvidamente pensato di non far intervenire l’ex
first lady. Apriti cielo. Le donne del partito sono scese sul piede di
guerra. E il “caso Hillary” rischiava di diventare “la” notizia della
Convention, che il 29 luglio incoronerà il senatore del Massachussets
quale candidato democratico alla presidenza.
La senatrice Rodham Clinton – tailleur color panna, capigliatura
curatissima – è stata accolta da un tifo degno di una finale del Super
Bowl. Anche il commentatore della Cnn, Jonathan Mann, non ha saputo
trattenersi dal definire almeno tre volte “intriguing”, affascinante, la
lady di ferro della politica a stelle e strisce. Ammirazione che ha
fatto tornare alla mente la vecchia definizione della Cnn, coniata dal
popolo repubblicano: Clinton News Network. Hillary ha intonato un peana
per John Kerry. “Guiderà il mondo – ha affermato – non lo alienerà.
Abbasserà il deficit, non lo innalzerà. Creerà nuovi posti di lavoro,
non li perderà. Risolverà la crisi del sistema sanitario, non la
ignorerà”. Poi, ricordando la sua personale battaglia (persa) sulla
sanità, durante il primo mandato del marito, ha aggiunto: “So due, tre
cose sul sistema sanitario: posso dirvi che negli ultimi quattro anni la
situazione è solo peggiorata”.
E’ stata, quindi, la volta di Bill Clinton, annunciato in modo roboante
dalla moglie, che lo ha poi lungamente abbracciato sul palco, nel
tripudio generale. Una scena che ha fatto rivivere il clima della
campagna presidenziale del 1992, quando il giovane governatore
dell’Arkansas ripeteva ad ogni occasione: “Eleggete me, avrete due
presidenti al prezzo di uno!”. Il sexgate sembra lontano. Clinton ha
parlato di “due Americhe”, un tema caro al senatore Edwards, candidato
democratico alla vicepresidenza. “Democratici e Repubblicani – ha
sottolineato –hanno idee molto differenti sulle scelte da fare, radicate
in visioni fondamentalmente diverse sul modo di affrontare le sfide
interne e su come svolgere il nostro ruolo nel mondo”. Quindi, l’affondo
contro il partito Repubblicano: “Loro hanno bisogno di un paese diviso.
Noi no”. L’ex inquilino della Casa Bianca ha così perorato la causa del
senatore del Massachussets. “Forza e saggezza non sono valori opposti”,
ha avvertito, rispondendo a quanti reputano Kerry troppo morbido in tema
di sicurezza. Cruciale dopo l’11 settembre. “Durante la guerra in
Vietnam – ha ricordato – molti giovani, come l’attuale presidente e
vicepresidente e come me, avrebbero potuto andare in Vietnam, ma non
l’hanno fatto. John Kerry proveniva da un ambiente privilegiato. Anche
lui avrebbe potuto evitare di andarci. Invece, ha detto: mandatemi (Send
me)”. Oggi, ha concluso, dobbiamo dire “ad alta voce all’America:
mandate John Kerry” alla Casa Bianca.
L’intervento di Clinton ha conquistato le prime pagine di tutti i
giornali americani dalla East alla West Coast. Un successo riconosciuto
anche dai suoi avversari più agguerriti. Su National Review, rivista di
punta dei conservatori, Dan Casey ha ammesso che Bill non “è venuto meno
alla sua fama. Il suo è stato un discorso ben costruito e ben
interpretato. Ha giovato a Kerry più di quanto Kerry abbia giovato a se
stesso”. Proprio quest’ultima considerazione centra il nocciolo della
questione. John Forbes Kerry - il senatore con le iniziali che ogni
democratico vorrebbe avere - è un eroe di guerra pluridecorato, ha
vent’anni di esperienza al Senato, parla quattro lingue, scia, fa surf,
sa pilotare un aereo, giocare ad hockey e suonare la chitarra. Eppure,
questo “uomo bionico” non è riuscito ancora a far scoccare la scintilla
nel cuore degli americani. L’occasione è dietro l’angolo: il discorso
d’accettazione del 29 luglio. Non può mancarla. Bush, intanto, aspetta.
La convention repubblicana è ancora lontana.
28 luglio 2004
gisotti@iol.it |