Usa-Urss: la fine di un’epoca
di Stefano Magni
La Guerra Fredda non finì da sola. Fu vinta. Il vincitore ha un nome e
un cognome: Ronald Reagan. Spesso si ricorda il suo impegno nel
sostenere la guerriglia anti-sovietica in Nicaragua, in Afghanistan, in
Angola e nel Sud-Est asiatico. Quelle azioni furono fondamentali per
logorare i fianchi dell’Unione Sovietica. Ancor più nota è la politica
denominata Sdi (Strategic defence iniziative): l’annuncio della
costruzione di uno scudo stellare per fermare i missili balistici
sovietici, che poi non fu mai realizzato, ma che servì a terrorizzare i
Sovietici e a svuotare le loro risorse militari nel tentativo di trovare
delle contromisure impossibili.
Meno nota fu la strategia che portò direttamente al disfacimento
dell’Unione Sovietica e che prende il nome da tre direttive
fondamentali, firmate da Reagan dal marzo 1982 al gennaio 1983. La Nsdd
32 (National security decision directive) fu approvata da Reagan nel
marzo del 1982: prescriveva, senza mezzi termini, l’autorizzazione di
qualsiasi azione coperta necessaria a “neutralizzare” l’influenza
dell’Unione Sovietica nell’Europa Orientale. La Nsdd 66, stilata da
Roger Robinson, del Consiglio nazionale per la difesa e approvata dal
presidente nel novembre del 1982, dava inizio a una guerra economica
segreta contro l’Unione Sovietica, mirante a scardinare la triade
strategica su cui si reggeva il già fragile sistema economico comunista:
gas naturale, tecnologia e crediti finanziari dall’Occidente. La Nsdd
75, stilata dallo storico Richard Pipes, prevedeva di “contrattaccare”
il sistema comunista ovunque fosse possibile, sfruttando ogni
opportunità, al fine di “cambiare il sistema sovietico”. Quest’ultima
direttiva riassumeva il senso delle precedenti tre: gli Stati Uniti non
potevano accettare la coesistenza con un sistema totalitario e in piena
espansione. E’ da notare, infatti, che qualsiasi concessione, qualsiasi
politica di appeasement, precedentemente promossa da Eisenhower, da
Nixon, o da Carter, era stata sfruttata ad arte dai sovietici per
espandere la loro influenza nel mondo. Richard Pipes conosceva molto
bene i sovietici. Sapeva che fin dai tempi di Lenin la loro dottrina
rigettava la diplomazia tradizionale, prevedeva il rispetto degli
accordi solo per prendere tempo, finché fossero risultati utili
all’espansione della rivoluzione nel mondo, obiettivo che è sempre stato
il cardine della politica estera e militare di Mosca dal 1918.
Le direttive furono messe in pratica fin da subito. Ne nacque una guerra
segreta, combattuta senza inviare una sola unità militare statunitense,
senza pubblicità e a costi relativamente bassi. In Europa, Reagan puntò
da subito al ventre molle del sistema sovietico: la Polonia. Sostenne da
subito il movimento di Solidarnosc, che prima era un grande sindacato
riformatore e poi costretto dalla repressione sovietica a diventare un
movimento clandestino anti-comunista. Reagan promosse ogni forma di
assistenza: dalla vendita di T-shirt per il finanziamento volontario del
sindacato al materiale per costruire stamperie clandestine, dal
materiale per comunicazioni segrete, all’assistenza diretta
dell’intelligence. Anche Israele fu direttamente coinvolta nelle
operazioni coperte in Polonia. Il Mossad, infatti, gestiva una rete di
informatori, la “Rat line”, dall’Albania fin dentro la Russia,
costituita soprattutto da ebrei europei che fu fondamentale per aiutare
gli americani ad agganciare i primi contatti umani all’interno di
Solidarnosc e a importare in Polonia, via Svezia, il materiale più
sensibile per le comunicazioni.
La guerra economica dichiarata all’Unione Sovietica fu dura fin da
subito, anche prima che venisse approvata la Nsdd 66. Dopo
l’instaurazione in Polonia del regime militare filo-sovietico del
generale Jaruzelski, gli Stati Uniti imposero sanzioni all’Urss su tutti
i prodotti di alta tecnologia. Richard Perle, che allora era un membro
influente dell’amministrazione, aveva iniziato dal 1981 a girare per le
capitali europee minacciando ritorsioni per chi avesse venduto alta
tecnologia a Mosca. Con le buone maniere diplomatiche non furono
ottenuti risultati: ai Paesi europei occidentali importava acquistare
gas dall’Unione Sovietica e per questo era nel loro interesse vendere a
Mosca le tecnologie sufficienti a completare i lavori del gasdotto
siberiano. Il Consiglio per la sicurezza nazionale, allora, decise di
passare alle maniere forti: il 18 giugno 1982 si estesero le sanzioni a
tutte le aziende europee che agivano su licenza statunitense. Gli
europei colpiti reagirono con durezza, ma i sovietici si ritrovarono
all’improvviso privi di gran parte della tecnologia utile alla
costruzione del gasdotto siberiano. Si intestardirono nel progetto, per
motivi di orgoglio e dovettero moltiplicare gli sforzi per sostituire la
tecnologia importata con quella locale, distraendo gran parte delle
risorse finanziare e materiali impiegate altrimenti per grandi progetti
infrastrutturali: un dispendio di energie che l’Urss non poteva
permettersi. Negli anni successivi, la guerra economica contro l’Unione
Sovietica, assunse un volto anche più duro. La sezione S&T (scienza e
tecnologia) del Kgb era solita rubare progetti nelle aziende e nelle
università statunitense ed europee. Gli americani pensarono bene di
lasciare loro una gran quantità di progetti finti: vere e proprie bombe
ad orologeria tecnologiche, quali turbine che dopo alcuni mesi cessavano
di funzionare o creavano ulteriori danni, materiale industriale che
cascava a pezzi dopo una prima usura, ecc…
I servizi segreti statunitensi impiegarono con molta cautela questa
strategia. Nell’ambiente tecnologico i progetti circolano fra accademie
e aziende e molti di questi sabotaggi rischiavano di tornare indietro e
creare danni negli stessi Stati Uniti. Ma alla fine, ciò che diede il
colpo di grazia all’economia sovietica, fu l’accordo con l’Arabia
Saudita. William Casey, direttore della Cia, provvide a tessere
pazientemente le relazioni con Re Fahd e la famiglia saudita.
L’amministrazione Reagan vendette loro nuova tecnologia militare (primi
fra tutti, gli aerei radar Awacs), promise loro aiuto in caso di guerra,
amplificando le forze a disposizione per il Golfo e costituendo un
comando ad hoc, il Centcom, per gestire eventuali operazioni militari
nel Golfo Persico. Alla fine i sauditi, che erano sempre rimasti
anti-sovietici, gli unici non condiscendenti alla linea di Mosca in
tutta la regione, risposero come Washington voleva: abbassarono
drasticamente il prezzo del petrolio. L’Unione Sovietica si ritrovò,
all’improvviso, a non essere più competitiva. Fu un colpo durissimo per
l’economia sovietica, da cui non si riprese mai più fino al suo
collasso. Il prezzo che gli Stati Uniti pagarono per questo accordo con
l’Arabia Saudita fu più caro del previsto. Già nel 1982, Re Fahd parlava
a William Casey dei suoi progetti di espansione dell’Islam wahabbita
nell’Asia Centrale e altrove. Casey fu condiscendente: l’Asia Centrale
era il ventre molle dell’Unione Sovietica e bisognava, anche in quella
regione, creare un forte alternativa al potere di Mosca. Nessuno,
all’epoca, si sarebbe mai aspettato quale danno era in grado di creare
l’Arabia Saudita e il suo appoggio all’espansione della forma più
radicale e intransigente dell’Islam. Era un’altra guerra.
9 giugno 2004
pmennitti@ideazione.com |