Kamikaze, falce e martello
di Maurizio Stefanini
da Ideazione, maggio-giugno 2004

È il 15 gennaio 2003 che nel question time alla Camera il ministro dell’Interno Beppe Pisanu parla per la prima volta di collegamenti tra gruppi terroristici di differenti matrici ideologiche: neo-brigatista, anarco-insurrezionalista, separatista sardo, islamico. In concreto, però, le evidenze sono soprattutto per neo-brigatisti e anarco-insurrezionalisti: «È da ritenere che in qualche caso i due filoni si siano saldati sul piano operativo. In Sardegna questo incontro sembra essersi esteso al ribellismo separatista e alla criminalità locale».

L’ulteriore scenario di un’alleanza con la galassia del terrore di al Qaeda è una mera ipotesi, ancorché inquietante: «Gli sviluppi della situazione internazionale potrebbero favorire collegamenti tra i gruppi terroristi endogeni e quelli di matrice islamica. I gruppi legati al terrorismo islamico, nonostante le forti perdite subite dopo l’11 settembre, continuano ad essere attivi nel nostro paese». Sull’idea Pisanu torna ulteriormente nel dossier di 300 pagine illustrato alle commissioni Affari costituzionali e Difesa della Camera il 27 gennaio 2003, nell’imminenza della guerra in Iraq. «Non si può escludere che nel clima generale prodotto da una guerra, gruppi eversivi di diversa origine e cultura, convergano spontaneamente nel segno della comune avversione alla Nato, agli Usa e ad Israele e addirittura concordino le loro azioni, secondo la vecchia idea del marciare divisi per colpire uniti». E l’incubo sembra clamorosamente confermato dal documento di 10 pagine consegnato ai magistrati romani il 6 marzo 2003 dalla brigatista rossa Nadia Desdemona Lioce, arrestata dopo la sparatoria sul treno Roma-Firenze in cui sono morti un agente della Polfer e il brigatista Mario Galesi. A pagina 7, infatti, è scritto testualmente: «Il polo dominante della catena imperialista, come previsto, dopo l’attacco subito l’11 settembre è costretto a mettere in gioco la sua egemonia ormai ferita e la solidità della coesione politica della catena stessa, sul nodo dell’attacco all’Iraq e sulla propria capacità di modificare e stabilizzare gli equilibri della regione medio-orientale anche abbattendo il principale ostacolo all’egemonia dell’entità sionista, bastione dell’imperialismo. Ossia disarmando e annientando la resistenza palestinese, punto di riferimento e di forza per tutte le masse arabe e islamiche espropriate e umiliate dall’imperialismo e che costituiscono il naturale alleato del proletariato metropolitano dei paesi europei».

Secondo la Lioce è questo il motivo per cui «le avanguardie rivoluzionarie devono fare contrasto alle mire israelo-anglo-statunitensi di ridefinizione a proprio vantaggio degli equilibri in Medio Oriente». Il documento va però letto con attenzione. Anche se c’è un evidente elogio alla capacità operativa di al Qaeda per gli attentati dell’11 settembre 2001, il riferimento è poi la “resistenza palestinese”, mente il gruppo di bin Laden non è espressamente nominato.

D’altra parte, l’offerta di alleanza è «alle masse arabe e islamiche», non alla dirigenza integralista e ai suoi progetti califfali. In questo senso i “musulmani” sono considerati non una religione-ideologia quanto piuttosto un’etnia-cultura, secondo un modello già presente nella storia statuale del socialismo reale: dall’Armata Rossa Musulmana – costituita dai bolscevichi in Asia centrale durante la guerra civile russa – al riconoscimento dei musulmani bosniaci come “nazionalità” nella Jugoslavia di Tito, al regime di autonomia regionale concesso ai musulmani hui nella Repubblica Popolare Cinese.

Le alleanze tra musulmani e marxisti

Esistono anche varie esperienze di alleanza e cooperazione tra musulmani e marxisti in guerriglie anti-occidentali durante la guerra fredda: ad esempio nel Fronte di Liberazione Nazionale dell’Algeria, dove comunque la componente principale era di tipo nazionalista. Più spesso, però, il rapporto è stato piuttosto di concorrenza. Nel mondo palestinese, ad esempio, Hamas fu all’inizio improvvidamente favorita dalle autorità israeliane proprio contro l’Olp, e il suo statuto è violentemente anticomunista, anche se di fatto ha poi “marciato assieme” ai marxisti del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina e del Fronte Democratico di Liberazione della Palestina nel sabotare il dialogo tra Arafat e gli israeliani. Un secondo esempio del genere è stato in Libano, dove marxisti, nasseriani e panarabisti vari sono stati ben presto emarginati e spesso anche liquidati fisicamente dai musulmani sciiti, il cui finale regolamento di conti interno tra Hezbollah e Amal è stato l’atto conclusivo della lunga guerra civile. E un terzo esempio viene dall’Iran di Khomeini, che ha giocato una spregiudicata tattica del divide et impera tra Mujihaeddin-e-Khalq, Feddayn-e-Khalq, Peykar e Tudeh, per mettere infine fuori legge tutti. Ma a proposito di guerra fredda non bisogna dimenticare che, dai musulmani usati come forza d’urto anticomunista nell’Indonesia del 1965 fino alla guerriglia in Afghanistan e all’ascesa di bin Laden, anche le strategie dell’Occidente di alleanza con l’integralismo in chiave di contenimento dell’Urss hanno poi avuto seguiti negativi largamente imprevisti.

Dopo il collasso dell’Unione Sovietica e del blocco da essa diretto, il venir meno della “guida ideologica” e dell’aiuto materiale che da Mosca arrivavano ai movimenti armati “progressisti” ha avuto due evidenti effetti. Prima di tutto, ha reso l’Occidente il nuovo “nemico strategico” numero uno dell’integralismo islamico. E poi, ha gettato vari gruppi armati di estrema sinistra in un’improvvisa situazione di debolezza che ha costretto alcuni ad accettare il dialogo e la fine della lotta armata: è il modello che ha accomunato il Fronte Farabundo Martí dell’El Salvador all’African National Congress sudafricano o alla stessa al Fatah di Arafat, con esiti differenti a seconda del contesto e/o delle qualità della leadership. Altri gruppi, però, si sono invece buttati su un autofinanziamento sempre più basato su attività criminali, dal narcotraffico ai rapimenti ai racket, spesso però poi massicciamente reinvestiti in attività legali. Insomma, si sono trasformati sempre più in narcomafie o mafie tout court, secondo un modello di cui sono state maestre le Forze Armate Rivoluzionarie di Colombia (Farc) e l’Eta. Ma anche al Qaeda ha preso la stessa direzione, e una simile involuzione l’hanno conosciuta anche alcuni gruppi anticomunisti orfani dell’aiuto americano: un esempio su tutti, l’Unione Nazionale per l’Indipendenza Totale dell’Angola (Unita) di Jonas Savimbi, ingloriosamente degradata a cartello di contrabbando dei diamanti. Tra le nuove guerriglie, specie nel continente africano, l’autofinanziamento criminale è poi la regola.

È certo che su questa spirale gruppi guerriglieri di estrema sinistra hanno stabilito legami stabili con organizzazioni mafiose: è il caso in particolare delle Farc con i cartelli dei narcos messicani e brasiliani. È possibile che di affare in affare si sia creata una connection stabile anche tra gruppi marxisti e islamici? In Colombia nell’estate del 2001 la magistratura evocò uno scenario di collegamenti internazionali di cui avrebbero fatto parte non solo una cooperazione stabile tra Farc, Eta e Ira e una legione straniera di oltre 200 “terroristi stranieri” di 18 nazionalità arruolati con i guerriglieri, ma anche contatti con Hezbollah. L’Iran, loro patrono, aveva d’altronde inviato in passato una delegazione nel territorio controllato dalle Farc “a comprare carne”, e alle Farc sono stati sequestrati documenti in arabo e armi di provenienza giordana. Nell’ottobre del 2003 è stato un reportage di U.S. News and World Today a parlare di relazioni del presidente venezuelano Chávez con terroristi sia islamici che marxisti: illazioni che l’interessato ha comunque bollato come «un complotto della Cia» per fargli fare «la fine di Saddam Hussein». Sempre nell’ottobre del 2003, la notizia di un’alleanza vera e propria tra Farc e al Qaeda è annunciata con gran fragore da Gordon Thomas, esperto irlandese di terrorismo e servizi segreti che è “ospite d’onore” a un vertice di Cartagena de Indias, Colombia, tra i rappresentanti di 20 polizie antiterrorismo del continente americano. Nel parlare alla stampa Thomas cita però fonti dei servizi segreti colombiani: evidentemente troppo interessati a che gli Usa nella loro nuova priorità strategica contro al Qaeda non finiscano per trascurare la lotta alle Farc, per essere giudicati del tutto attendibili.

Lo stesso Thomas torna alla carica sul tema dopo la strage di Madrid dell’11 marzo 2004. «È stata al Qaeda», dice in un’intervista al settimanale colombiano El Espectador. «I detonatori e la somiglianza con l’attacco dell’11 settembre del 2001 a New York fanno pensare che sia stato il gruppo terrorista islamico. Secondo tutte le agenzie di intelligence l’Eta non ha il potere o la capacità per realizzare attacchi di questo tipo. Ma può anche essere che un piccolo gruppo di estremisti dell’Eta, fanatici se si vuole, come alcuni delle Farc, abbiano lavorato con al Qaeda fornendole l’esperienza, il denaro e forse anche le tattiche». Quella della cooperazione tra al Qaeda e Eta, come terza ipotesi, è citata anche dal sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano su Radio anch’io, il giorno successivo alla strage. E il Sunday Times del 14 marzo fa riferimento a informazioni di un ex membro di al Qaeda residente a Berlino e di nazionalità britannica per sostenere la tesi che alcuni membri dell’Eta si sarebbero addestrati nei campi organizzati da bin Laden sulle montagne di Tora Bora. Lo stesso servizio riferisce anche i sospetti dell’intelligence britannica, sulla possibilità che un gruppo dell’Eta abbia fornito appoggio logistico ed esplosivo per gli attentati di Madrid.

L’ipotesi di cooperazione

Sulla possibilità che la strage di Madrid sia stato il primo clamoroso esempio di cooperazione tra integralismo islamico e un terrorismo “storico” europeo, tuttavia, le indagini non hanno ancora rilevato alcun riscontro oggettivo. Di più: in un’intervista all’Ansa lo sceicco Omar Bakri Mohammed, oriundo siriano residente a Londra da 11 anni e leader di un gruppo considerato vicino ad al Qaeda, rivendica l’attentato di Madrid per il gruppo di bin Laden, e preannuncia anche all’Italia un micidiale attentato indicato col nome sinistro di «fumo dello squadrone della morte» se non ritirerà le sue forze «dai paesi musulmani». Giudica però «semplicemente impossibile» ogni ipotesi di alleanza tra il gruppo di bin Laden e non islamici. «Anche se è un’organizzazione molto ramificata – spiega – al Qaeda non vuole assolutamente avere relazioni con persone che non siano musulmani. Tanto più che solo pochi musulmani possono combattere la guerra santa, quelli puri che non bevono e non fumano e che rispettano pienamente i comandi dell’Islam».

D’altra parte, quando il 17 novembre del 2003 la Lioce è tornata a parlare della sua proposta di alleanza con il “proletariato islamico”, pur ribadendo l’ammirazione per il colpo dell’11 settembre è sembrata fare riferimento come interlocutore piuttosto a un panarabismo stile Baath che non all’integralismo. «L’aggressione all’Iraq prima ha dovuto scontrarsi con la strenua resistenza all’invasione delle forze dell’esercito nazionale poi ha dovuto fare i conti con la determinazione delle dirigenze politiche irachene, con la valorosa resistenza e la capacità di preparare la clandestinizzazione della lotta irachena in chiave nazionalista e antimperialista». «Sul piano internazionale gli Usa hanno dovuto reagire alla perdita del potere deterrente subita con gli attacchi al World Trade Center e al Pentagono e questo ha accelerato il loro disegno politico di consolidamento in Medio Oriente». E i contatti tra terrorismi di matrice marxista e/o nazionalista europei e mediorientali sono tutto, tranne che una novità.


31 maggio 2004

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