La Lega Araba dopo Tunisi
di Stefano Magni

Cosa cambierà dopo il vertice della Lega Araba di Tunisi? Probabilmente niente. Cosa è cambiato nell’atteggiamento e nelle dichiarazioni dei Paesi presenti al vertice? Parecchio.

Il summit di Tunisi è il primo dopo la fine della guerra in Iraq. Contrariamente a ciò che ci si poteva aspettare non ci sono stati toni anti-americani e non c’è nemmeno stata una richiesta formale di ritiro immediato delle forze della Coalizione dall’Iraq. La Lega Araba si è limitata a chiedere, al pari della Francia di Chirac, un reale passaggio di potere ad un governo iracheno. Anche per il fronte israeliano, benché fossero in corso i più duri combattimenti a Gaza, non ci sono state le dichiarazioni di condanna unilaterale che ci si poteva attendere. O meglio: i leader arabi hanno condannato quali crimini di guerra le “operazioni militari contro i civili palestinesi e i dirigenti palestinesi”, ma li hanno messi sullo stesso piano rispetto alle “operazioni contro i civili, senza discriminazioni”, intendendo condannare anche il terrorismo palestinese, con una formula vaga, timida e ambigua, ma pur sempre di disapprovazione.

Ciò che più importa, comunque, sono le dichiarazioni sulla democratizzazione del mondo arabo: si è parlato anche qui in termini molto cauti e astratti, di “espandere la partecipazione nella politica e negli affari pubblici”, di “responsabile (leggasi: controllata) libertà di espressione” e molte volte di “modernizzazione”, termine che, nella storia contemporanea del Medio Oriente, è entrato molte volte nel lessico politico ordinario, con significati politici sempre diversi. Negli anni ’20, la Persia e la Turchia di Ataturk avevano imboccato una modernizzazione che si ispirava al nazionalismo europeo e tedesco in particolare. Poi la modernizzazione è coincisa, vuoi con uno sviluppo tecnologico e con una laicizzazione della società guidata dall’alto, da regimi autoritari, vuoi con la guida e la pianificazione dell’economia, copiate dal modello sovietico. Il termine “modernizzazione” non è mai coinciso con “democratizzazione” o “liberalizzazione”, ma questa potrebbe essere la volta buona.

Però c’è anche il rovescio della medaglia. “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”, sembrano dire i “gattopardi” arabi, anche questa volta. Dal vertice di Tunisi non è emersa l’intenzione di costituire degli organi di controllo sullo sviluppo della democrazia, le dichiarazioni abbondano di precisazioni che le riforme saranno effettuate “nel rispetto delle tradizioni locali e dell’Islam”, il che vuol dire che rimarranno probabilmente solo sulla carta. L’unico presidente che aveva serie intenzioni pratiche, Hosni Mubarak, ha addirittura abbandonato i lavori prima della conclusione del summit. E c’è da dire che già il lavoro svolto, a livello inter-arabo, dal presidente egiziano, era consistito soprattutto nell’elaborare una bozza di lavoro alternativa (e meno democratica, o comunque meno filo-occidentale) alla Greater Middle East Initiative americana: il progetto di riforma che l’amministrazione Bush presenterà al prossimo G8 per riformare (seriamente) i Paesi mediorientali in senso democratico e liberale.

Una prima bozza del “grande disegno” di Bush per il Medio Oriente, era stata fermamente condannata dalla stampa araba, come una sorta di nuovo colonialismo, per cui ne era stata preparata una seconda: prendendo atto del Rapporto sullo Sviluppo Arabo del 2002, della Conferenza di Sanaa (su impulso di Emma Bonino) e di quella di Alessandria d’Egitto (a cui parteciparono 200 intellettuali egiziani), quindi tenendo conto di richieste di maggiori diritti individuali da parte di soggetti, pubblici e privati, arabi, l’iniziativa americana si ripropone di sanare i tre gravi deficit culturali e politici del Medio Oriente, cioè la mancanza di libertà, la mancanza di scolarizzazione e la disuguaglianza fra uomini e donne. Il progetto politico americano è stato (naturalmente) temperato dai membri europei del G8, i quali, evidentemente non credono molto nella possibilità di esportare la democrazia nei Paesi extraoccidentali e si sono maggiormente concentrati sugli aspetti della “modernizzazione” degli stessi.

Si tratta di un’iniziativa articolata su cinque proposte: la costituzione di un “Forum per il futuro” presso il G8 (un punto di riunione e scambio fra ministri degli esteri mediorientali, dal Maghreb all’Afghanistan), la nascita di un organismo di appoggio a tutte le iniziative democratiche nelle società arabe, la nascita di un altro organismo che ha il compito di finanziare le iniziative democratiche nelle società arabe e islamiche, la formazione di gruppi di insegnanti che liberino le popolazioni locali dall’analfabetismo (e dall’indottrinamento) e infine il sostegno economico fornito ad iniziative indipendenti nelle società locali, ancora fortemente controllate da forti e invadenti apparati statali. Ebbene: questa iniziativa è la pietra dello scandalo, per lo meno per i leader arabi che si sono affrettati a preparare una risposta a Tunisi. Certo è che non si può evitare di osservare come il manico del coltello sia ancora nelle mani dell’Occidente. Sono ancora i Paesi occidentali, liberal-democratici, che dettano la linea, fissano gli obiettivi da raggiungere e prendono l’iniziativa, mentre la risposta araba non è di contrapposizione ideologica, né di radicalizzazione delle posizioni vicine al fondamentalismo islamico, ma semmai di timido adeguamento. E’ solo un caso che questo tipo di risposta provenga dai Paesi della Lega Araba, dopo che un regime nazionalista arabo, quale quello di Saddam Hussein in Iraq, è stato rovesciato con la forza delle armi? Dopo che, per la prima volta dalla fine dei mandati europei, un esercito occidentale entra da conquistatore in una capitale araba?

31 maggio 2004

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